CROCE E DELIZIE

Corrado Ocone

Filosofo

Bruno Gravagnuolo, l’onorevole Trombetta e l’egemonia della sinistra sulla cultura italiana.

“Una cultura fascista nel duplice senso di fatta da fascisti dichiarati o a contenuto fascista non è mai realmente esistita”. Queste parole di Norberto Bobbio mi sono più volte sovvenute in mente mentre leggevo, nei giorni scorsi, la bella Storia della cultura fascista di Alessandra Tarquini (Il Mulino, pagine 240, euro 18). Perché, in verità, dalla lettura di queste pagine emerge, con dovizia di fonti e con la capacità sintetica che è propria dell’autrice, che nel ventennio ci fu non solo una politica culturale del regime e anche una vitalità specifica di numerose arti e discipline, ma maturò pure una ideologia e una concezione del mondo di chiara impronta fascista. Soprattutto, con il procedere semplice e articolato dello storico, Tarquini, benemerita studiosa anche di Gentile, mostra come il fascismo non abbia rappresentato nemmeno nella storia culturale una parentesi (l’avvento degli icsos di crociana memoria). E che così come non si spiegherebbe la sua genesi senza considerare i movimenti ideologici e politici che lo precedettero, parimenti non si capirebbe ciò che è avvenuto nel dopoguerra se si prescindesse da esso. Era questo concetto, questa banale affermazione di storicismo, che mi premeva affermare nel recensire il carteggio Bobbio-Garin su “La Lettura” del 16 dicembre scorso. Era infatti evidente che alcuni fra i maggiori intellettuali del dopoguerra avevano avallato proprio quella rottura, facendo passare in secondo piano i molteplici fili che legano gli intellettuali antifascisti alla cultura elaborata negli anni del fascismo e anche a quella precedente. Il tutto in nome di una generica abiura dell’idealismo, nella doppia versione crociana e gentiliana.  E in questo passaggio Bobbio e Garin avevano avuto un ruolo non secondario, tanto che la storia da loro consegnataci dello svolgimento del pensiero italiano nel Novecento ci appare oggi mossa da evidenti fattori di origine politica e si mostra a noi insufficiente o schematica. Senonché il buon Bruno Gravagnuolo non capisce il nocciolo del discorso e mi dedica, bontà sua, qualche giorno dopo, su “L’Unità” un suo “tocco e ritocco” (ma io con questa mia nota faccio come Totò con l’onorevole Trombetta: ritocco ancora!): http://cerca.unita.it/ARCHIVE/xml/2495000/2491866.xml?key=Tocco+E+Ritocco+Bruno+Gravagnuolo&first=1&orderby=1&f=fir. Lascio stare la sottesa accusa di ignoranza che mi rivolge il simpatico veterogiornalista del quotidiano fondato da Antonio Gramsci e, per carità di patria, taccio di idee bislacche come Bobbio giusnaturalista (il campione del positivismo giuridico!) e introduttore di Popper (sic!) e Stuart Mill in Italia. Mi preme di più osservare che il nostro, glissando sul punto essenziale, se ne esce con la solita filastrocca (la “canzone da organetto” di nietzscheana memoria) del Croce “liberale conservatore” sul lato pratico e chiuso verso “scienze esatte, scienze umane, nuova storia, psicoanalisi e arte moderna” su quello teorico. Gravagnuolo dice giustamente, facendo riferimento al dialogo fra Bobbio e Togliatti, che il filosofo torinese rappresentò un “cuneo della cultura del Pci”. Il che in effetti fu. Ma ciò, se da una parte mise in crisi alcuni dogmi del vecchio partito, dall’altra sacrificò la cultura liberale anche di sinistra ad un compromesso con una cultura che tale non era (che è poi il classico compito che spetta ai pontieri, e non a caso una delle riviste che svolse questo ruolo si chiamava “Il Ponte” ed era diretta da Piero Calmandrei). Da qui, quell’evidente asimmetria fra antifascismo (elevato a dogma) e anticomunismo (reso inaccettabile) che caratterizza la cultura della sinistra egemonica del dopoguerra italiano. Una ideologia che, a livello politico, si fondava sul modello dell’arco costituzionale e che trovava realisticamente nella Resistenza la sua legittimazione storica. Nulla di male e tutto storicamente comprensibile. Meno lo è il fatto che coloro che, anche a sinistra, furono continuamente ostili al fascismo come al comunismo, senza fare sconti a quest’ultimo, siano ancora oggi ostracizzati o semplicemente dimenticati. Perché, faccio solo un esempio fra i tanti, nessuno parla di Nicola Chiaramonte, Andrea Caffi, Ignazio Silone, di quegli intellettuali profondi e cosmopoliti riuniti attorno a “Tempo presente” e che collaboravano in stretta simbiosi col gruppo americano di “Politics”(Dwight Macdonald, Hannah Arendt,  Paul Goodman, Mary McCarthy e tanti altri)? Tenterò una risposta, parlando di loro, molto presto. Forse già nel prossimo post.

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