My Raiway

La Repubblica: “Rai Way, il governo blocca Mediaset. Enel sul mercato, il Tesoro vende il 5,7%”, “Il Biscione lancia un’opa sul 100% della spa che controlla le torri televisive. Renzi: mai sotto il 51%”.
Con foto di magistrati in toga, a centro pagina, sulla legge sulla responsabilità civile dei giudici appena approvata: “Riforma, la rivolta dei magistrati”.
A centro pagina anche il giudizio della Commissione Ue sulla legge di stabilità italiana: “L’Europa promuove l’Italia, niente procedura sul debito”.
Il “retroscena” con foto dell’ex Cavaliere, firmato da Carmelo Lopapa: “La tentazione di Berlusconi: basta, vado ad Antigua”.
A fondo pagina: “Casa Bianca, il potere è nonna, ora Hillary punta sulla terza età”.
Nella colonna a destra, il richiamo ad un’intervista ad un infermiere di Firenze: “’Così stacco la spina ai malati senza speranze’”, “Parla un infermiere di Firenze: ‘C’è un’eutanasia silenziosa voluta da medici e famiglie’”.

La Stampa: “Mediaset vuole le antenne Rai”, “Offerta da 1,2 miliardi per Rai way. Il governo: il 51% deve restare dello Stato”, “Nascerebbe un gruppo con l’80% delle infrastrutture per le trasmissioni tv. Timori e proteste da Pd e grillini”.
A centro pagina, foto di caschi blu Onu: “L’Onu paralizzata dalla nuova Guerra Fredda”, “La denuncia di Amnesty: non riesce a fermare l’escalation delle violenze, stop al diritto di veto”.
A destra il reportage di Atene di Roberto Giovannini: “’Atene, qui la speranza è quasi finita’”.

Il Sole 24 Ore: “Il Gruppo Berlusconi lancia un’opa sul 100 per 100 della società delle torri a 4,5 euro per azione”. “Il Governo ferma Mediaset: ‘Rai Way resti pubblica’”. “‘Vincolo del 51 per cento allo Stato’. Antitrust e Consob in campo”.
Di spalla: “Bruxelles promuove l’Italia: manovra ok, debito da ridurre”. “A Parigi due anni per tagliare il deficit, monito a Berlino sul surplus”. “Draghi: acquisteremo bond finché l’inflazione non risalirà”.
L’editoriale di Adriana Cerretelli, sulle “pagelle” della Ue: “Se i primi della classe diventano imputati”.
A centro pagina la vicenda Rai Way: “Mani forti sul titolo prima dell’Opa”. “L’attivismo dei fondi, da Blackrock a Kairos, una girandola di operazioni speculative”.
Sotto, un articolo di Giovanni Minoli sulla Rai: “La riforma della Rai? Ripartire dal prodotto”.
In prima anche: “Il Csm: sulla responsabilità civile vigileremo”. “Nello Rossi: un pericolo”.

Il Giornale: “Crescita Italia. Berlusconi ci mette 1,2 miliardi”. “Mediaset lancia un’offerta per le antenne Rai”. “Il mercato approva, la sinistra urla al golpe”. E poi: “Il governo privatizza e vende il 5,7 per cento di Enel per 2,2 miliardi”.
A centro pagina: “Alfano preferisce l’Islam più duro”. “Nella nuova Consulta anche chi si è rifiutato di firmare la carta dei valori italiani”.
Da segnalare anche un articolo sulla “riforma bluff” della responsabilità civile: “Macché punizione, senza separazione delle carriere le toghe hanno vinto”.

Il Fatto, con foto di Berlusconi e Renzi: “Mediaset premier”, “Il Biscione lancia l’opa su Rai Way: vuole le antenne di Stato che Renzi ha quotato in Borsa. Così il Caimano avrebbe in pugno tutto il settore televisivo, anche quello pubblico”, “Il governo: ‘Il 51% resterà al Tesoro’. Ma la partita è appena iniziata: Confalonieri sicuro di portare a casa il bottino. E intanto Mondadori avanza sui libri Rizzoli”.
Sul tema, un richiamo all’intervista del quotidiano al senatore Pd Massimo Mucchetti: “Il vero rischio è un inciucio tra i 2 colossi”.
A centro pagina, da Palermo: “’Un cecchino sul tetto voleva uccidere il pm Nino Di Matteo’”, “Sventato piano per colpirlo mentre scende dalla jeep”.

Il Corriere della Sera: “Conti, l’Italia passa l’esame”. “Nessuna procedura di infrazione dalla Ue. Dubbi della Germania sulla Grecia”.
“Il ministero dell’Istruzione valuta sconti fiscali per chi sceglie le scuole private”.
In alto: “Scoppia il caso dell’opa Mediaset su Ray Way”. “Il governo: ‘Per legge il 51 per cento resta pubblico”.
Sul tema due commenti: “Il conflitto di interessi che acceca noi e la tv”, di Daniele Manca. E poi “Tutte le ipocrisie di un falso pluralismo”, di Milena Gabanelli.
A centro pagina, con foto: “Lilian, Maria e Mitzy: tre madri contro Maduro”. “In Venezuela, il fronte delle donne in nome dei figli uccisi”.
A fondo pagina: “La scrittrice che deve rimanere invisibile”. “Elena Ferrante, senza volto, in gara per lo Strega. Bene, ma ora niente ipotesi di complotto”, di Pierluigi Battista.

Rai, Ray Way

Alla vicenda Mediaset-Rai Way è dedicata l’analisi di Claudio Tito, in prima pagina su La Repubblica: “Un avvertimento nella battaglia tivù”. “Sebbene l’operazione sia fallita sul nascere, il fatto stesso che il gruppo guidato da Silvio Berlusconi abbia preso in considerazione questa possibilità impone delle domande – scrive Tito. Soprattutto fa capire che restano irrisolti alcuni problemi concernenti il rapporto tra il leader di Forza Italia e la sua dimensione imprenditoriale”. Ma il fallimento dell’opa su Rai Way non poteva che essere previsto dalla dirigenza berlusconiana. Dunque l’obiettivo dell’offerta è, secondo Tito, quello di prepararsi al riordino del settore, “un modo per dire: bisogna fare i conti con Mediaset, ora e nei prossimi anni. A pagina 2, il “retroscena” di Ettore Livini: “Saltato il Nazareno, Berlusconi all’attacco sulla tv e sui libri della Rcs”: “Il patto del Nazareno è saltato. I salotti buoni, ormai, sono materia da archeofinanza. Le casseforti di casa Berlusconi – orfane dei dividendi Mediaset – sono a corto di liquidità. E la Fininvest, ritrovatasi all’improvviso con le mani libere, è partita all’attacco”, scrive Livini. L’obiettivo reale sarebbe quindi di tipo “segnaletico”: “dimostrare che Fininvest è viva e imporre la sua presenza al delicatissimo tavolo dove la politica sta riscrivendo in questi mesi il futuro di tlc, banda larga e televisioni nazionali. Rai Way e Ei Tower sono solo un capitolo di questa partita, In ballo ci sono il destino di Metroweb, i grandi investimenti sulla rete digitale, il riassetto di Viale Mazzini e il futuro della Telecom, dove l’azionariato è in rapido movimento”.

“Non avremo altre antenne al di fuori di Mediaset”, scrivono a pagina 2 de Il Fatto Giorgio Meletti e Carlo Tecce: “La Ei towers del Caimano lancia un’offerta pubblica di acquisto e scambio su Rai Way. Il governo dice no, ma gli uomini di Berlusconi sono sicuri di farcela”. E alla pagina seguente: “Un unico network tv, il sogno più antico di B.”, “Gli analisti, a settembre, avevano già previsto il tentativo di fusione. Negli altri Paesi civili è vietato il monopolio assoluto sulle trasmissioni”.
Per il direttore Marco Travaglio, che ne scrive in prima pagina con il suo editoriale dal titolo “Il Nazarenzi”, “se va in porto l’assalto concordato sulle antenne di Rai Way, messe sul mercato dall’apposito Nazarenzi”, diventa di Berlusconi la rete degli impianti di Berlusconi: “come se uno solo possedesse Trenitalia, Italo e anche i binari”. “Ora – scrive Travaglio – Renzi finge di cascare dal pero e precisa che il 51% deve restare in mano pubblica”, ma non può comunque impedire che Berlusconi diventi socio della Rai, cioè del Tesoro, cioè dello Stato, almeno fino al 14%, anche se Mediaset punta al 66,7% per avere la maggioranza: “che è comunque una quota enorme e un conflitto di interessi spaventoso: sia perché B. è un leader politico, sia perché Mediaset è il principale concorrente della Rai”. Tutto lecito, “grazie alla legge-barzelletta Frattini sul conflitto di interessi. E chi ha lasciato in vigore la Gasparri e la Frattini, pur avendo giurato di raderle al suolo una volta al governo? Il centrosinistra tra il 2006 e il 2008 e dal 2013 ad oggi”. A pagina 2 i lettori troveranno anche un’intervista a Nicola D’Angelo, ex commissario dell’Agcom (“Un’operazione preparata da anni”, si riassume nel titolo). D’Angelo dice che la tempistica dell’opa Mediaset su Rai Way “risulta singolare”, visto che il governo ha appena annunciato una riforma della Rai. Palazzo Chigi invoca il limite di vendita del 49% definito da un decreto del presidente del Consiglio dei ministri, ma questo vincolo “è debole, perché confina il vincolo di cessione di Rai Way in un preambolo. Questo paletto potrebbe cadere, le regole dell’opa potrebbero sovrastare il preambolo”.

Su La Repubblica, pagina 3: “Quelle antenne fanno gola a tutti, portano anche i segnali dei cellulari”, “La Rai ha 2.300 siti per la trasmissione in tutta Italia”.

La Stampa, pagina 2, “il caso” di Alessandro Barbera: “Un solo gestore dei ripetitori per fare gola ai big della telefonia”. Sulle ragioni che hanno spinto Mediaset a fare l’offerta di opa (preparata in ogni dettaglio, fino al punto da presentare all’Antitrust la richiesta di autorizzazione alla concentrazione e che ha prodotto un rialzo dei titoli coinvolti, tanto che la Consob ha fatto sapere, con imbarazzo, che si sta cercando di capire chi ha venduto e comprato e un funzionario pubblico che resta anonimo dice che ci sono “tutti i presupposti della turbativa”), Barbera scrive che l’ipotesi più plausibile è quella di “una forzatura con l’obiettivo di costringere la Rai e il governo a sedersi al tavolo per discutere del riassetto della infrastruttura di trasmissione del digitale terrestre. Tutti gli esperti del settore dicono che, dopo l’arrivo sul mercato di Rai Way, due operatori sono troppi e che sarebbe ragionevole avere un solo soggetto che trasmetta per tutti. Nell’ambiente circola un’ipotesi suggestiva: Mediaset potrebbe aver fatto l’offerta per ottenere almeno la quota di Rai Wai in mano alla Rai (il 15 per cento) che gli permetterebbe di salire al 49%. a quel punto Rai Way ed Ei Towers sarebbero di fatto un solo soggetto, pronto ad essere ceduto, tutto o in parte, ad altre aziende interessate a quelle torri per trasmettere il segnale telefonico -si fanno i nomi di Telecom e Tre- e ad un soggetto pubblico che ne garantirebbe la neutralità, come la Cassa depositi e prestiti. La nota di Palazzo Chigi non esclude a priori questo scenario”.
Alla pagina seguente, due “retroscena”: “Dal governo un prudente ‘no grazie’. Ma la strada per trattare resta aperta”, “Dietro la manovra potrebbe esserci un duopolio diverso rispetto al passato” (di Fabio Martini) e, sulla stessa pagina: “Il Biscione pronto a rilanciare: ‘Facciano loro una proposta per le nostre infrastrutture’, ‘Se rifiutano è un no ad personam contro Silvio Berlusconi’” (di Luca Ubaldeschi).

Sul Giornale, Alessandro Sallusti (“Berlusconi ci mette 1,2 miliardi”) scrive che di fronte all’annuncio che “Mediaset sarebbe pronta ai investire 1,2 miliardi di euro per modernizzare il Paese” “non dico un applauso, ma certo mi sarei aspettato un’accoglienza diversa a tanta disponibilità”. Sallusti ricorda che Ray Way non produce contenuti e non ha nulla a che fare con la gestione delle frequenze, è “una scatola che ha al suo interno il ferro e il cemento per costruire i tralicci (detti torri) che trasportano i segnali”. Scrive anche che “siamo l’unico Paese europeo ad avere due filiere diverse”, ovvero le torri della Rai e quelle di Mediaset. Scrive anche che Mediaset “non pone paletti”, ed è anche disposta alla ipotesi contraria, Rai Way che ingloba Ei Towers, “purché “si raggiunga l’obiettivo di modernizzare il sistema”. E se il “mercato finanziario ha reagito alla grande”, il “mercato politico si è chiuso a riccio”. “Se la sentirà Renzi di impedire alla Rai di incassare una montagna di soldi solo perché vengono da Berlusconi?”, si chiede.

Sul Sole 24 Ore si parla della “anomalia italiana” sulle “Torri”: “Nel caso di Ei Towers che nella nottata ha annunciato un’Opas su Rai Way stiamo parlando di torri per il broadcasting, in presenza di un’anomalia, tutta italiana, di due reti parallele a copertura nazionale, a riflettere il sostanziale Far West regolamentare entro il quale nel secolo scorso avevano mosso i primi passi le tv commerciali. Altrove – in Spagna, in Francia ma anche in Uk – l’infrastruttura nazionale è unica”. E dunque mettere insieme “Ei Towers (1,25 miliardi di capitalizzazione di Borsa pre-annuncio) e Rai Way (950 milioni) avrebbe dunque molto senso sotto il profilo industriale e finanziario. Ma la mossa, per altro verso, pare quasi una provocazione visto che per realizzare l’operazione occorrerebbe che il Governo modificasse il decreto con il quale aveva autorizzato a cedere fino al 49% di Rai Way (non quindi la maggioranza) al momento della quotazione avvenuta a novembre. E questo per consegnare un’infrastruttura classificata come strategica a una società nella quale il maggior azionista resterebbe il principale concorrente della Rai, Mediaset, il cui socio di riferimento è Silvio Berlusconi, a capo del partito d’opposizione Forza Italia”.
Ma “mettere insieme le due società delle torri permetterebbe comunque di razionalizzare la struttura e di sprigionare sinergie rilevanti, ancora da quantificare, ma stimabili in almeno 60 milioni come base di partenza. E, a stare al report sfornato a caldo da Mediobanca securities, creerebbe valore per gli azionisti già a partire dal primo anno”.
Ancora sul Sole 24 Ore Guido Gentili scrive che “la partita delle torri” rischia “di finire col gioco della torre”. In un Paese normale sarebbe altrettanto normale “che tra le ragioni economiche e industriali e le ragioni politiche si trovasse una sintesi utile per tutti al termine di un confronto aperto e trasparente”. Ma “nel caso specifico, Mediaset, gigante privato, sottintende un altro nome, Berlusconi, che richiama all’arcinoto “conflitto d’interessi”. Rai Way vuol dire Rai, il colosso pubblico controllato dal ministero dell’Economia, cioè dal Governo, fonte di poteri grandi e piccoli e legata comunque a doppio filo con la politica ed i partiti”. E dunque “la Rai considera ‘ostile’ l’offerta” Mediaset”, anche perché la legge vieta di venderne più del 49 per cento”. La notizia si intreccia con il piano di riassetto della Rai del dg Gubitosi, che “non piace a sinistra”, come non piace né a sinistra né a destra una riforma della legge Gasparri. E “sono passati ormai vent’anni di polemiche furibonde, con e senza Berlusconi al governo, prima e dopo la legge Gasparri, e la Rai è sempre lì. Un gioco della torre dove nessuno cade e non s’affermano né il mercato e le buone idee industriali né le buone regole politiche”.

Del piano Gubitosi sulla informazione Rai parla Milena Gabanelli sul Corriere e ricorda – a proposito di telegiornali – che “Gubitosi ha deciso di accorpare e il modello di riferimento è quello considerato il migliore su scala planetaria: la BBC. Si studiano gli aspetti di razionalizzazione tecnica: gli anglosassoni hanno creato una unica newsroom per la raccolta delle notizie e il coordinamento dei mezzi e dei giornalisti sulle diverse piattaforme. In pochi anni hanno ridotto i costi del 20%, eliminato 50 dirigenti intermedi, e sono diventati imbattibili nella qualità dell’offerta”. Gabanelli spiega che la Commissione di Vigilanza ha audito Anne Hockaday, oggi responsabile della newsroom della Bbc, e dovrebbe averne concluso – scrive la Gabanelli – che il “pluralismo informativo” “con la newsroom c’entra come i cavoli a merenda”, e si chiede “che senso hanno 3 telegiornali, ognuno con la propria struttura, mezzi, personale e dirigenza”, oltre a “Rai news 24, la tgr, il giornale radio”. Scrive che “per la prima volta, dalla caduta del muro di Berlino, un direttore generale ci sta provando”. Infine, scrive che la riforma “è urgente”, “perché il cda è in scadenza, e al comando vorremmo persone competenti, con possibilità di conferma se hanno lavorato bene”.

Sul Sole, Giovanni Minoli scrive che in Gran Bretagna la scelta è stata quella di far prevalere “nella programmazione e nelle scelte editoriali dei suoi servizi pubblici gli interessi prevalenti dei cittadini rispetto a quelle dei puri consumatori. A prezzo anche di ristrutturazioni selvagge nelle strutture organizzative e nella qualità dei programmi con tagli drastici nei corporate e scelte a favore della centralità del prodotto e degli uomini di prodotto”, scrive che il piano di Gubitosi “è coraggioso, ha una sua coerenza e ha precedenti in Europa. È un punto di partenza contro interessi corporativi e incrostazioni sindacali che sventolano la bandiera del pluralismo”, ma non è tutto, perché “il 70% della programmazione non è informazione ma intrattenimento, fiction, documentari, cinema e programmi per ragazzi”.

Ue

Sul Sole, Adriana Cerretelli parla delle “pagelle” della Commissione Europea e scrive di una “Francia ‘sorvegliata speciale sul deficit'”, e di una “Germania sotto procedura con richiamo all’ordine dalle parole forti e inconsuete: ‘I suoi insufficienti investimenti pubblici e privati e il suo eccessivo surplus corrente (da anni sopra il 6% del Pil, ndr) aumentano il rischio sistemico per l’eurozona’”. Insomma: “il virtuoso per antonomasia che finisce pubblicamente fustigato e gli eterni renitenti più o meno assolti o comunque graziati dagli eccessi disciplinari delle regole europee, di cui peraltro si sono appurati sul campo gli effetti deleteri per crescita e occupazione?”. Promossa la manovra italiana, perché “‘la sua rigida applicazione dopo 4 anni di recessione avrebbe richiesto una correzione troppo brutale e messo il Paese in una situazione insostenibile'”, come ha “ha tenuto a sottolineare Pierre Moscovici, il commissario competente”.

Su La Stampa, due pagine dedicate alla crisi greca. A pagina 8 il corrispondente da Bruxelles Marco Zatterin si concentra sulle preoccupazioni del ministro delle Finanze greco: “L’allarme di Vroufakis: ‘Difficile rimborsare Bce e Fmi’”, “Il ministro delle Finanze rilancia: problemi con le rate. Gelo della Germania. Draghi: ‘L’effetto della nostra iniezione si sta già sentendo’”. “Mobile e astuto – scrive Zatterin – il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis concede un’intervista a Charlie Hebdo (tornato con 2,5 milioni di copie), poi annuncia che ‘non avremo problemi di liquidità con il settore pubblico, bensì nel ripagare ora le rate al Fmi e alla Bce in luglio’. Sembra una provocazione, più che un dato di fatto. Tanto che il tedesco Schauble non perde l’occasione per rispondergli che ‘ci sono molti dubbi in Germania’ sul fatto che Atene rispetterà gli impegni”. Zatterin sottolinea anche come il deteriorarsi del clima di fiducia nell’Eurozona sia emerso attraverso la tensione che si è manifestata ieri all’europarlamento, dove il governatore Bce Draghi è stato protagonista di uno “scambio vivace” con alcuni parlamentari euroscettici, grillini, leghisti e indipendentisti britannici. Draghi è stato accusato di essere al servizio delle banche. Alla pagina seguente, un reportage da Atene di Roberto Giovannini racconta le tensioni interne alla coalizione Syriza, da cui è probabile uscirà la componente trozkista (“Atene, il ritorno della paura, ‘Dopo l’accordo temiamo che tutto resti come prima’. Tsipras ha quattro mesi per non passare dalla luna di miele all’incubo”).

Sul Corriere della Sera: “I dubbi tedeschi sul piano greco. Verso un terzo pacchetto di aiuti”. “Il Bundestag si prepara (a malincuore) ad approvare la proposta di Atene”. Si legge che il Parlamento domani approverà sicuramente il piano greco – come ha fatto il governo tedesco – ma “il suo rating è estremamente basso”, anche perché sta prendendo corpo l’ipotesi che in luglio la Grecia avrà bisogno di un altro intervento di salvataggio finanziario, tra i 20 e i 40 miliardi. I sondaggi indicano che solo due tedeschi su dieci sono favorevoli all’accordo
Per tornare al Sole, segnaliamo una intervista a Jean Claude Trichet, ex presidente della Bce: “Il nuovo piano di Atene rischia di compromettere il recupero della competitività”. Secondo Trichet il piano presentato dalla Grecia contiene “misure positive” come la lotta all’evasione fiscale ma anche “misure negative” – “aumento dei costi di produzione, assunzione di nuovi funzionari” che “creando nuovi costi fissi rimettono in dubbio i guadagni di competitività raggiunti finora e rischiano quindi di provocare disoccupazione”. Per la Grecia la scelta non è tra “austerità e crescita”, ma un “ritorno ordinato a un equilibro finanziario che è condizione per una crescita e una occupazione durevoli”.

Internazionale

Due pagine de La Repubblica tornano ad occuparsi dell’offensiva dell’Is e della situazione in Medio Oriente: “Is, allarme per l’Italia: ‘Siamo a rischio’. I cristiani rapiti in Siria deportati a Raqqa”, “Il capo della polizia Pansa: ‘Pericoli accentuati’. Tre fermati a New York: progettavano attacchi. L’Austria vara ‘l’Islam europeo’: è polemica. ‘Ferito il capo militare del Califfato Al Shishani”. L’Austria, spiega Alix Van Buren, ha varato una legge intesa a promuovere ‘l’Islam europeo’: vietati fondi stranieri agli imam e obbligo della lingua tedesca nelle moschee, ma anche nuovi diritti come il cibo halal a scuola e giorni di ferie nelle festività islamiche. Ed è Alix Van Buren ad intervistare Vali Nasr, l’autore de “La rivincita sciita”, consulente del Dipartimento di Stato Usa: “L’Is – dice Nasr rispondendo ad una domanda sulla ‘pulizia etnica di proporzioni storiche’ denunciata da organizzazioni come Amnesty – applica con calcolo la strategia dello ‘shock and awe’, del colpisci e terrorizza, per riprendere una famigerata frase di Rumsfeld durante la guerra in Iraq. Si tratta di prendere a bersaglio, letteralmente, la popolazione, d’infondere terrore nelle zone che l’Is controlla”, “L’Is vuole obliterare ogni traccia delle comunità non arabe, non islamiche, non sunnite, ma anche dei molti sunniti moderati: tutti ‘infedeli’ nella visione radicale dell’Is”. Ma ha sfruttato “rivalità e pregiudizi locali”, come accadde anche nell’Europa delle Seconda Guerra mondiale o nei Balcani negli anni Novanta o in Rwanda, poiché “ha trovato sostegno in alcuni villaggi arabi contro il popolo yazida, i curdi, gli sciiti, pescando nel risentimento scaturito dalla guerra civile in Iraq dopo Saddam”. L’Is, dice ancora Nasr, “rispetta la visione salafita, wahabita, ristretta e intollerante. Per questo vengono distrutti anche i santuari sufi, le chiese cristiane, i mausolei dei mistici e dei santi. L’Is si spinge più avanti di Al Qaeda, piega l’Islam ai propri fini, lo reinventa”. E “per frenare le pulizie etniche c’è un solo modo: porre fine alla guerra civile in Siria e sconfiggere l’Is con le armi”.

Sul Corriere, da segnalare Lorenzo Cremonesi inviato tra le “milizie cristiane” irachene arruolate contro l’Isis, da Al Qosh: “Porgere l’altra guancia? Un errore. Siamo cristiani, crediamo nella pace, però non vogliamo morire come martiri imbelli. Dagli assassini dello Stato Islamico dobbiamo difenderci con le armi. Non sarà un modo di fare troppo cristiano, è vero. Ma, se vogliamo che le chiese del Medio Oriente continuino a esistere, non ci resta che una strada: combattere”.

Su La Stampa, il corrispondente da Gerusalemme Maurizio Molnari firma un “retroscena”: “Verso la battaglia di Mosul. Così si farà la guerra all’Is”, “Pronti i piani americani per strappare al Califfato la città dell’Iraq. Manovra a tenaglia di curdi e governativi, raid e truppe speciali”

Su La Repubblica: “Netanyahu negli Usa, la Casa Bianca all’attacco: ‘Una visita distruttiva’”. Il quotidiano riferisce le parole pronunciate da Susan Rice, consigliere per la sicurezza del presidente Obama: “La decisione di Netanyahu di parlare alle Camere riunite, incentrando il suo discorso sull’Iran, danneggia i rapporti tra Israele e Stati Uniti, impegnati in una difficile trattativa con gli ayatollah. Il fatto poi di farlo due settimane prima delle elezioni politiche in Israele ha introdotto un livello di partigianeria che credo sia non solo inopportuno ma anche distruttivo per il nostro rapporto”.
Sulla stessa pagina, intervista di Fabio Scuto a Naftali Bennet, leader di ‘Focolare ebraico’: “Il falco Bennet: ‘Ma è in gioco la sopravvivenza di Israele’”, “Un errore uno Stato palestinese. Non vedo una pace prossima, auspico la calma”, “Se vincerà la sinistra sarà la catastrofe. Hamas si impadronirà del Paese”.

Ancora sul Corriere Francesco Battistini racconta la visita in Tunisia del ministro degli esteri italiano Gentiloni: “La primavera araba riuscita. Finestra per l’Europa sulla crisi libica”. La Tunisia è il “paese al mondo che esporta più jihadisti”, eppure “è tra i più de-jihadizzati”. Gentiloni dice che “con Ennahda si ragiona”, “con i Fratelli Musulmani egiziani la vedo un po’ più dura”. Ghannouci, ex presidente, sconfitto alle elezioni da Essebsi due mesi fa, leader della Fratellanza Musulmana tunisina, “ha accettato di governare con i nuovi padroni laici, persino restauratori del panarabismo di Bourghiba”, dice “noi siamo diversi dai Fratelli Musulmani d’Egitto, e anche da quelli di Alba Libica. Noi non vogliamo lo scontro. C’è un islam che cerca di sedersi a un tavolo e trovare una soluzione”.

Sullo stesso quotidiano si racconta la lotta delle “mujeres en blanco” venezuelane, le donne e madri in prima fila nelle manifestazioni contro il governo Maduro, responsabile nei giorni scorsi dell’ennesimo omicidio in piazza, un ragazzino di 14 anni freddato da un colpo alla testa sparato da un agente anti-sommossa. Si parla anche di Lilian Tintori, moglie di Leopoldo Lopez, leader del partito di opposizione Voluntad Popular, in prigione in un carcere militare in attesa di processo come il sindaco di Caracas, Ledezma, pure imputato di “attentato contro la pace” e di un presunto tentativo di golpe contro Maduro.

E poi

Da segnalare sul Sole 24 Ore una intervista a Nello Rossi, Procuratore aggiunto a Roma, “uno dei magistrati più impegnati sulla responsabilità civile ai tempi della legge Vassalli, ora modificata dalla riforma Renzi/Orlando”. Dice che la legge approvata ieri “riscrive alcune parti della legge Vassalli, che risale al 1988”, dice che “gli effetti nocivi della legge potrebbero incidere gravemente sul funzionamento della giustizia e provocare danni non facilmente riparabili”, e spiega che uno dei danni possibili è “la scelta del soccombente di trasformare l’azione di responsabilità in un improprio quarto grado di giudizio”. Sulla Vassalli che non ha funzionato, visto che ci sono state solo 7 condanne: “Considero molto singolare questo argomento statistico, che ha portato all’eliminazione del filtro di ammissibilità dei ricorsi. Prima di eliminarlo, il ministro avrebbe avuto l’onere di analizzare nel merito almeno una parte di quei ricorsi: erano davvero fondati o la stragrande maggioranza era pretestuosa e meritava l’inammissibilità? Se il prossimo monitoraggio fosse ‘statistico’, non sarebbe un passo avanti”. Sul fatto che a decidere sul filtro sono i magistrati, dice: “I magistrati hanno dimostrato di non avere alcun pregiudizio favorevole nei confronti di colleghi, in presenza di accuse fondate. E poi la vera preoccupazione non è per l’esito del giudizio ma per la possibile moltiplicazione arbitraria di procedimenti pretestuosi”.

Il Giornale scrive che “il premier Matteo Renzi condivide su Twitter la foto di Enzo Tortora che fa il segno della vittoria, postata dalla figlia Gaia, dedicando la riforma al presentatore vittima della ‘malagiustizia’, il ministro della Giustizia Andrea Orlando parla di ‘rivoluzione’, ma per i magistrati è una ‘rivoluzione contro la giustizia’. Proprio non ci stanno a rispondere dei danni provocati come un medico qualsiasi. Approvata la legge che era un cavallo di battaglia del centrodestra, scoppiano le polemiche di giudici e pm. L’Anm oggi in conferenza stampa attaccherà la riforma ritenuta ‘punitiva e intimidatoria’ per le toghe, ma anche ‘contro i cittadini’. È in stato di mobilitazione e in attesa di un incontro con il capo dello Stato Sergio Mattarella, che presiede il Csm. Lo sciopero, cui il direttivo ha rinunciato domenica, potrebbe tornare in campo anche per le pressioni della corrente Magistratura indipendente”.

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