500 anni fa la Riforma
Analisi dei miti e della realtà

Un saggio di Luciano Pellicani

Nel celebre opuscolo L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza, Engels affermò che il processo di formazione della moderna società di mercato fu, fondamentalmente, una “lunga lotta della borghesia europea contro il feudalesimo che culminò in tre grandi battaglie decisive. La prima fu la Riforma protestante” [1].

In realtà, nulla corrobora questa tesi. La Riforma fu, in tutto e per tutto, un rigurgito di spirito medievale che “non venne come alleato del capitalismo, ma come suo maggiore nemico: non come sforzo per gonfiare le energie dell’Id ma come sforzo di limitarle prima che divenissero troppo potenti…Il protestantesimo , anziché essere il nuovo credo della borghesia, quando apparve fu un vero tentativo di impedire il sorgere del capitalismo…Esso alle sue origini fu il tentativo di domare lo spirito commerciale e di impedirgli di conquistare la Chiesa” [2].

D’altra parte, come avrebbe potuto essere diversamente? Sotto qualsiasi aspetto lo si consideri e lo si valuti, “il capitalismo è sempre consistito in elementi mondani e profani, e troverà quindi sempre più seguaci, quanto più lo sguardo degli uomini sarò rivolto alle gioie della terra, e sarà odiato e condannato da quegli uomini per i quali la vita terrena vale soltanto come preparazione dell’aldilà. Ogni intensificazione dell’elemento religioso deve necessariamente suscitare una certa diffidenza per le questioni economiche, e la diffidenza di fronte alle questioni economiche significa indebolimento e sfacelo dello spirito capitalistico. E poiché il movimento della Riforma intensificò senza dubbio la vita interiore dell’uomo e rafforzò le sue esigenze metafisiche, gli interessi capitalistici dovettero all’inizio subire un danno proporzionato in misura inversa alla diffusione dello spirito della Riforma” [3].

E, in effetti, se Lutero e Calvino attaccarono frontalmente l’autorità carismatica della Chiesa, lo fecero perché essi desideravano rendere la vita più religiosa di quanto essa non fosse, restaurando la purezza e l’intensità della Fede, insediata dallo spirito acquisitivo e dall’incipiente processo di secolarizzazione culturale. Proprio perché la Chiesa non combatteva il dilagante neopaganesimo con sufficiente vigore – anzi, era scesa a patti con esso e, per di più, si era fatta corrompere dalla brama di denaro sino al punto di praticare in maniera sfacciata la simonia, essi intesero “liberarla da idee inclinazioni mondane , per ricondurla ai suoi compiti meramente sacerdotali”[4]. Così, scatenarono uno dei più devastanti scismi spirituali della storia della civiltà occidentale ; e lo fecero precisamente per edificare un solido argine contro Mammona e la Ragione , in cui scorgevano i maggiori e più insidiosi pericoli per la Fede. Insomma, la Riforma, come fu percepito con la massima chiarezza da Nietzsche, fu, in tutto e per tutto, “una specie di raddoppiamento dello spirito medievale” [5] il cui proclamato obbiettivo era la ri-sacralizzazione della società europea legando indissolubilmente i credenti “alla Scrittura , alla Tradizione e alla Dottrina” [6]. La Cristianità , per gli “zeloti della Rivelazione “, doveva tornare ad essere quella che era stata prima della ri-nascita dell’homo naturalis: ”una civiltà ecclesiastica in senso medievale “ ordinata “secondo norme soprannaturali” [7]; quindi , esattamente il contrario di quello che pensava Engels e di quello che pensano ancora oggi i sostenitori della così detta “rivoluzione protoborghese”[8]; ed esattamente il contrario di quella “poderosa riemergenza delle forze secolarizzanti che erano state contenute dal cattolicesimo” che Peter Berger – ipnotizzato dalla fantasiosa interpretazione dell’ethos puritano di Max Weber [9]– ha immaginato [10].

Per comprendere le profonde motivazioni che mossero Lutero contro il nuovo ordine che la borghesia stava creando – nonché le ragioni della straordinaria mobilitazione di massa che il suo messaggio suscitò, occorre tenere presente la particolare logica di sviluppo dell’economia di mercato e le sue traumatiche conseguenze sociali e morali. Infatti, il mercato – luogo in cui gli attori sociali, attraverso l’istituto del contratto, si scambiano beni e prestazioni sulla base di un puro calcolo utilitaristico che esclude ogni forma di solidarietà che non sia quella dettata dalla convenienza – tende a divorare i legami tipici della Gemeinschaft e a sostituirli con i legami tipici della Gesellschaft , vale a dire a trasformare “la convivenza durevole genuina in una convivenza passeggera e apparente” [11].

Non si tratta, quindi, solo del fatto che, con l’espansione delle relazioni mercantili , i valori mondani prendono progressivamente il sopravvento sui valori religiosi , allontanando gli uomini dalla via della salvezza o comunque intiepidendo la loro fede ; si tratta anche del fatto che il mercato tende a dis-sociare il corpo sociale , sciogliendo tutti i legami morali e affettivi – primi fra tutti, quelli creati dai riti religiosi – che tengono insieme i socii. La stessa parola socius subisce una profonda alterazione semantica: non vuol più dire membro di una comunità ad essa legato da vincoli di solidarietà; ora – a partire dal momento, e nella misura, in cui la logica catallattica si espande – indica semplicemente colui che, avendo impiegato un capitale, partecipa ai profitti (o alle eventuali perdite) di una società commerciale. Un uomo egoista, dunque, mosso esclusivamente dal mero calcolo dei costi e dei ricavi. E, in effetti, come una “associazione di egoisti “viene descritto il capitalismo sia dal comunista Marx, sia – e la cosa è altamente significativa – dal liberale Keynes [12], ossia come una società a-morale , se non proprio immorale . Il suo principio costitutivo è l’autonomia dell’economia, ossia la netta separazione tra il mondo degli affari e tutto ciò che non rientra nella sfera dell’utile di modo che la Ratio — intesa nel suo significato etimologico [13] — domini, incontrastata.

Ma, poiché “solo una parte delle molte esigenze dell’esistenza sociale può svolgersi senza mezzi materiali di un tipo o dell’altro” [14], accade che la separazione fra la sfera del mercato — in cui si svolgono le transazioni economiche — e le altre sfere dell’agire e del pensare produce l’invasione e la colonizzazione della comunità da parte dello spirito acquisitivo e calcolatore. E questo perché “quando il mercato è abbandonato alla sua autonormatività, esso conosce soltanto la dignità della cosa e non della persona, non doveri di fratellanza e di pietà, non relazioni umane originarie di cui le comunità personali sono portatrici . Questi costituiscono altrettanti ostacoli al libero sviluppo della nuda comunità di denaro” [15]. Conseguenza: i principi morali e religiosi sono espulsi dalla vita comunitaria o, quanto meno, neutralizzati di modo che essi non possano impastoiare la logica del profitto, turbare il calcolo delle convenienze e frenare la libertà di intrapresa. Come ha mostrato nelle sue penetranti analisi Karl Polanyi, “normalmente l’ordine economico è semplicemente una funzione dell’ordine sociale nel quale esso è contenuto” [16]. Ebbene: con la nascita del capitalismo — vale a dire con la “liberazione” dell’economia da tutto ciò che economia non è – emerge un fenomeno unico nella storia universale: non solo si realizza “la separazione radicale degli aspetti economici dal tessuto sociale e la loro costituzione in un ambito autonomo” [17], ma addirittura si manifesta una potente spinta verso la subordinazione di tutta quanta la vita umana ( individuale e collettiva ) alle leggi , impersonali e amorali, del mercato.

Stando così le cose, non può sorprendere il fatto che, all’origine sia della Riforma che della guerra dei contadini, troviamo “l’antagonismo fra il sistema feudale e il sistema capitalistico” [18]. Più precisamente, troviamo “un capitalismo che, dopo essersi costituito su basi commerciali, cerca di dominare il mercato del lavoro; un proletariato nascente che ha cessato di essere o di poter diventare proprietario dei suoi strumenti di lavoro; e, fra i due, qualcosa che assomiglia già alla lotta di classe” [19]. In aggiunta, troviamo il crescente malessere dei ceti sociali posti fra il Capitale e il Lavoro, fra i quali un ruolo decisivo sono destinati a svolgere i “retori” , che l’invenzione della stampa , rendendo più accessibile il sapere , ha fatto crescere ipertroficamente e che il mercato non è in grado di assorbire [20].

Le conseguenze sociali e psicologiche dell’espansione della logica catallattica sono state così analizzate da Erich Fromm: ”Il sistema sociale medievale era crollato, e con esso la stabilità e la relativa sicurezza che aveva offerto all’individuo. Ora, con l’inizio del capitalismo, tutte le classi della società si misero in moto. Non c’era alcun punto fisso nell’ordine economico che potesse essere considerato naturale, indiscutibile. L’individuo era abbandonato a se stesso; tutto dipendeva dal suo sforzo personale, non dalla sicurezza del suo prestigio personale. Questo sviluppo, tuttavia, aveva su ciascuna classe effetti diversi. Per i poveri delle città, gli operai e gli apprendisti, significava crescente sfruttamento e impoverimento anche per i contadini comportava una maggiore pressione economica e personale; la bassa nobiltà si trovava davanti alla rovina, sebbene in modo diverso. Mentre per queste classi il nuovo sviluppo era in sostanza un mutamento in peggio, la situazione era molto complessa per la classe media urbana…Vasti settori di questa classe vennero a trovarsi in una situazione sempre peggiore. Molti artigiani e piccoli commercianti dovevano affrontare la superiore potenza dei monopolisti e di altri concorrenti forniti di maggiori capitali, e fu sempre più difficile per loro restare indipendenti. Spesso si trovavano a lottare con forze esorbitanti, e per molti di loro era una lotta disperata. Altri settori della classe media erano prosperi e partecipavano alla generale spinta verso l’alto del capitalismo in scesa. Ma la crescente importanza del capitale, del mercato e della concorrenza rendeva insicura, isolata e piena di ansietà anche la situazione sociale di questi ultimi” [21].

E’ vero che la crescente importanza del mercato nella vita economica significava, per l’individuo, la possibilità di scegliere la propria professione e di liberarsi, almeno parzialmente, della vigenza normativa della tradizione. Ma questa libertà per molti era ambigua in quanto “venivano meno quei vincoli che solevano dargli sicurezza e sentimento di appartenenza. La vita non veniva più vissuta in un mondo chiuso ruotante intorno all’uomo; il mondo era diventato illimitato e al tempo stesso minaccioso. Perdendo il suo posto fisso in un mondo chiuso, l’uomo perdeva anche la risposta sul significato della vita; la conseguenza era che cominciava a sorgergli il dubbio su se stesso e sullo scopo della vita. Era minacciato da possenti forze impersonali: il capitale e il mercato. Il rapporto con i suoi simili, ora che tutti erano diventati potenzialmente suoi concorrenti, era diventato un rapporto di ostilità; egli era libero, ossia era solo, isolato, minacciato da tutte le parti. Non avendo la ricchezza e il potere, e avendo per di più perduto il senso dell’unità con gli uomini e l’universo, era sopraffatto dal senso della sua personale nullità e impotenza. Il paradiso era perduto per sempre, l’individuo era restato solo ad affrontare il mondo: un estraneo gettato in un mondo illimitato e minaccioso” [22].

In effetti, il dinamismo autopropulsivo del mercato faceva sì che il capitalismo fosse vissuto come un sistema indecifrabile e incontrollabile da tutti i gruppi sociali scarsamente attrezzati per partecipare con successo al gioco della catallassi e che “la crisi andava gettando (o rischiava di gettare ) brutalmente ai margini della via: agricoltori espropriati, mercanti falliti , nobili rovinati” [23]. Questi si sentivano come estranei in un mondo che non erano più in grado di capire e che appariva loro come impazzito, animato, come era, da una frenesia acquisitiva che tutto alterava e corrompeva. “Tutto il mondo – questo l’istruttivo referto stilato da Martin Butzer sui mali che infestavano la Cristianità a motivo del disfrenamento della cupiditas pecuniae – corre dietro quei commerci e quelle occupazioni che portano il massimo di guadagni. Lo studio delle arti e delle scienze viene messo da parte a vantaggio del genere più basso di lavoro manuale. Tutti i cervelli più brillanti, dotati da Dio della capacità di condurre studi nobili, vengono assorbiti dal commercio, che oggigiorno è così saturo di disonestà da essere diventato l’ultimo mestiere a cui un uomo onorevole dovrebbe dedicarsi” [24].

Una tale perversione delle motivazioni e della scala dei valori avrebbe dovuto essere energicamente contrastata dalla Chiesa. E, invece, ormai da tempo, accadeva che,“per i borghesi , la fede era una sicurezza, la pratica religiosa una contabilità: se si poteva comprare il Paradiso, voleva dire che Dio tollerava e incoraggiava l’arricchimento e non era ostile al profitto. Gli ecclesiastici non davano forse l’esempio praticando il prestito ad alto interesse e perfino, in certe regioni, scomunicando i loro debitori” [25]? E la Chiesa stessa non si era trasformata in un “mostruoso mercato” [26], nel quale e grazie al quale persino la salvezza era diventata un oggetto di compravendita?

Era chiaro, quindi, che la Chiesa aveva tradito la sua missione spirituale, piegando la testa davanti a Mammona o – peggio – facendosi contaminare dalle sue sataniche lusinghe a tal punto che il denaro era diventato il fondamento di tutti i valori. Tant’è che “col denaro era possibile comprare cariche ecclesiastiche, la remissione dei peccati, la garanzia celeste e anche il Paradiso” [27]. Accadeva così che le categorie sociali colpite dall’espansione della logica catallatica — il “proletariato interno” dell’”autunno del Medioevo” [28]– si sentivano abbandonate proprio dalla istituzione che avrebbe dovuto difenderle e proteggerle . Una istituzione dominata da una classe sociale – il clero – “che pretendeva rappresentare quella giustizia superna , eppure esercitava tutti i diritti , che la legge di Dio condannava ; una classe sociale che si era accaparrata le terre migliori, che disponeva dei servi della gleba , che aveva facoltà di prelevare ogni anno, per il suo uso, attraverso la decima e altri ingranaggi , una parte dei frutti della fatica e del risparmio della Nazione ; un ordine sociale , infine, che era legato a un potere immenso, misterioso e lontano, che lo proteggeva e che assicurava e legittimava tutti gli esistenti privilegi sociali” [29].

Contro questa classe, rapace e parassitaria — e contro l’istituzione nel cui seno essa veniva allevata in spregio ai più elementari principi di giustizia e ai valori che essa diceva di incarnare — si leva la tonante voce di protesta di Lutero: “ E’ un tal verminaio e cancro in quella Roma – e tutto ciò che si vanta di appartenere al Papato – quale non fu mai in Babilonia. Solo di scrivani del Papa ven’è più di tremila, e chi vorrà contare la gente degli altri uffici, quando i soli uffici sono tanti che a malapena si possono contare? E tutti costoro guatano ai conventi e ai benefizi della Nazione tedesca come un lupo alle pecore. Io ritengo che oggidì la terra tedesca paghi al Papa assai più che nei tempi andati agli imperatori. Anzi molti stimano che ogni anno più di tre volte centomila fiorini passino di Germania a Roma, e proprio per niente , perché non ne ricaviamo che dileggio e beffe ; e pure ancora ci meravigliamo che principi, nobiltà, città , conventi , campagne e genti impoveriscono , mentre dovremmo meravigliarci d’avere ancora da campare. E, poiché siamo giunti al sodo, vogliamo sostarvi un poco e mostrare a noi stessi che i Tedeschi non sono poi dei pazzi tanto grossolani da non conoscere né comprendere affatto il sistema dei Romani. Questi quando danno a credere di voler combattere i Turchi, mandano in giro ambascerie a radunar denaro e molte volte anche vanno offrendo le indulgenze, sempre con la stessa scusa, cioè la guerra contro i Turchi: stimando che quegli zotici babbei dei Tedeschi debbano restare in eterno zucche dure , buoni solo a cacciar fuori soldi, favorendo la loro indicibile avidità… Come si spiega che noi Tedeschi dobbiamo sottoporci a un simile brigantaggio e a una simile estorsione delle nostre proprietà da parte del Papa.? Se impicchiamo giustamente i ladri e decapitiamo i briganti, perché dovremmo lasciar libera l’avarizia romana? Perché si tratta del più grande ladro e brigante che sia mai venuto o possa venire al mondo, e tutto questo nel santo nome di Cristo e di Pietro! Chi può sopportare più a lungo questa sopraffazione e rimanere in silenzio? “[30].

A questa indignata denuncia del vampirismo della Chiesa – che, con la vendita delle indulgenze, aveva raggiunto il suo culmine, generando lo scontento universale -, segue, immediata, una drastica terapia: “La stagione è ormai matura per togliere ai Papi il loro diritto semestrale e strappar loro nuovamente tutto quello che per tale via viene portato a Roma. Ora, i principi e la nobiltà devono darsi da fare affinché i beni rubati sia restituiti e i ladri puniti…Innanzi tutto si dovrebbe cacciar via dalla terra tedesca i messi papali con le loro facoltà, che essi ci rivendono per molto denaro, il che è vera ria ribalderia e non altro che un arraffar denaro e fare del torto un buon diritto, quindi rompere e insegnare a rompere fede e fedeltà. Ma tutto ciò è lo sprinto del male che glielo fa fare inducendoli a diffondere dottrine sì diaboliche e a ricavar ancora denaro, onde ci ammaestrano al peccato e ci guidano all’Inferno. Ove non ci fosse alcuna altra perversa malizia a mostrare che il Papa è davvero l’Anticristo, tanto sarebbe sufficiente …Ahimé Cristo, mio Signore , levati , fai balenare il Tuo giudizio e distruggi quel nido di demoni ch’è Roma ; là siede l’uomo del quale Paolo ha detto che ardirà innalzarsi oltre Te e sedere nella Tua Chiesa e atteggiarsi a potenza del Papa , se non insegnare ed accrescere peccato e malvagità , e indurre le anime alla dannazione del Tuo Nome e del Tuo regno ? Oh nobili principi e signori, per quanto tempo ancora lascerete che la vostra terra e il vostro popolo sia preda inerme dei lupi rapaci? “ [31].

In queste infuocate parole non potevano non riconoscersi gli intellettuali “cui Roma e il romano pontefice portavano via i posti più lucrosi e più onorevoli, e togliendo ad essi il mezzo onde soddisfare i propri bisogni e le proprie ambizioni. La letteratura polemica dell’epoca è piena delle loro rimostranze contro la malasorte del fiore dei giovani colti della Germania, cui non rimane altra libertà se non quella di peregrinare pel mondo, esposti a mille pericoli. laddove, dotti come essi sono, non già in turpi favole pagane, ma nella nobilissima filosofia cristiana e nel diritto canonico, potrebbero, dovrebbero , dedicarsi agli studi , e attendere a guidare gli uomini sul sentiero della virtù. Questa la protesta degli intellettuali, i quali contribuirono in modo speciale a foggiare la retorica della rivoluzione, e perciò a renderne più violento lo scoppio” [32].

E’ evidente, dunque, che la Riforma luterana non fu solo una rivoluzione religiosa che, dopo aver proclamato il principio sola scriptura, volle restaurare l’originario messaggio paolino della giustificazione centrato sul primato assoluto della Fede [33]; fu anche una rivolta nazionalista contro il giogo della “Nuova Babilonia” – la Chiesa romana – capitanata , in modo tipico, da quella classe sociale che puntualmente si incontra in tutte le rivoluzioni dell’età moderna: l’intellighenzia proletarizzata [34]. E fu altresì una reazione della Periferia – tale era l’arretrata Germania del XVI secolo – contro il Centro dell’economia-mondo creata dalla borghesia. Una reazione che, grazie al furibondo antimammonismo di Lutero, “aveva in sé la base per una nuova critica del capitalismo, una nuova critica che andava molto a fondo, poiché l’accusa colpiva il capitalismo stesso, e non gli abusi additati dalla casistica cattolica” [35]. E, infatti, Lutero non esita a descrivere – e stigmatizzare – il capitalismo come una vera e propria opera del Diavolo, ricorrendo a formule del seguente tenore:

“E’ il modo del mondo di non pensare ad altro che al denaro… gli uomini vi si attaccano anima e corpo. Dio e il nostro prossimo sono disprezzati e la gente serve Mammona. Verranno tempi orribili, ancora peggiori di quelli che toccarono a Sodoma e Gomorra…L’usura vive sicura e imperversa come se fosse Dio e il signore di tutte le terre…Sulla terra non c’è peggior nemico della comunità del mercante e dell’usuraio, perché egli vuole diventare dio DI tutti gli uomini …Il denaro è il verbo del Diavolo, con il quale egli crea ogni cosa, nello steso momento in cui Dio ha cercato il Verbo…il denaro è l’anima di questo mondo” [36]. “Non conosco buone costumanze entrate in patria per mezzo dei mercanti e per questo motivo Dio nei tempi andati fece dimorare il suo popolo d’Israele lungi dal mare, non permettendogli di esercitare la mercatura. Ma la calamità maggiore della terra tedesca è senza dubbio il prestito a interesse …E’ il diavolo che l’ha escogitato e il Papa ha agito male convalidandolo in tutto il mondo. Perciò prego e scongiuro che ciascuno consideri la rovina propria , dei propri figli ed eredi, che ormai non rumoreggia più dinanzi alla porta, ma dentro alla stessa casa , imperatori e principi, signori e città, facciano in modo che tale usura sia per l’innanzi maledetta a proibita…E’ assai meglio un solo edificio fondato in una città con onesti proventi di eredità e di censo , che non venti con il ricavato dello strozzinaggio …Invero il prestito a interesse dovrebbe essere un segno che il mondo , per i suoi peccati , è venduto al demonio…E si dovrebbe mettere un freno alla bocca dei Fugger e dei suoi compari” [37].

Questa l’eziologica luterana delle terribili sciagure che si erano abbattute sulla Germania a motivo del dilagare dei peccati tipici dell’homo naturalis. Una eziologia estremamente primitiva. Di fronte alla “complessità dell’organizzazione del commercio estero e della finanza, o alle sottigliezze dell’analisi economica, Lutero è come un selvaggio di fronte a una dinamo o a una locomotiva. E’ persino troppo spaventato ed adirato per sentirsi incuriosito. I tentativi di spiegare il meccanismo non fanno che infuriarlo, ed egli si limita a ripetere che lì dentro c’è il Diavolo” [38]. Ma, appunto per ciò, la sua protesta esprimeva, in un linguaggio che tutti potevano capire, un risentimento largamente diffuso e una convinzione altrettanto diffusa: che, essendo gli avidi mercanti e i rapaci sacerdoti la causa di tutti i mali che quotidianamente si riversavano sul popolo tedesco, essi dovevano essere banditi dalla Germania. In aggiunta, doveva essere “calpestata e distrutta la ragione, insieme alla sua saggezza”, poiché era proprio la ragione, “in ogni tempo contraria alle leggi divine” [39], che impediva di riconoscere che ciò che veramente contava – la salvezza dell’anima – “dipendeva unicamente dalla decisione, dalla volontà e dall’azione di Dio” [40]. In tal modo, quella che sulle prime era stata – o era sembrata – una radicalizzazione della critica erasmiana della corruzione della Chiesa [41], assunse le forme e i contenuti di una rivolta contro la cultura moderna colpevole di idolatrare la “ragione, la bella fidanzata del Diavolo, la bella prostituta che pretendeva marciare da sola e che immaginava che ciò che essa diceva era lo Spirito Santo che la ispirava, mentre era la peggiore cortigiana di Satana” [42].

Il fondamentalismo di Lutero non ammetteva compromessi fra il cristianesimo e la cultura moderna in tutte le sue manifestazioni [43]. Esso, “ultimo sussulto della religione del Medioevo“[44], ebbe come obbiettivo dichiarato quello di restaurare la piena ed esclusiva vigenza normativa della Fede contro le potenze sataniche – la cupidigia e la ragione – che avevano reso possibile la rivincita dell’homo naturalis. In nome della Rivelazione, Lutero dichiarò una guerra totale contro la Modernità, stigmatizzata come una rinascita “dell’antico paganesimo, che trascinava con sé nel peccato il mondo intero”[45]. Pertanto, la Riforma non fu solo un rancoroso grido di protesta contro l’intollerabile parassitismo del clero e la sfrenata avidità della borghesia plutocratica; fu – anche e soprattutto – un energico sforzo volto a soffocare lo spirito, laico e razionalista, del Rinascimento.

Il Rinascimento si era affermato come reazione contro il sostrato ecclesiologico dell’Europa medievale e come energica rivalutazione di quella “naturalità” dell’uomo che il cristianesimo aveva combattuto sin dai suoi primi vagiti. La soteriologia cristiana era centrata sulla contrapposizione Mundus-Ecclesia e sull’idea che, grazie al battesimo – lavacrum regenerationis – , l’uomo subiva una secunda nativitas, perché la generatio veniva sostituita dalla regeneratio [46]. In tal modo, il renatus “abbandonava la sua naturalità, il suo carattere di homo animalis per trasformarsi in un uomo diverso, cioè nuovo, un homo novus. Rinascendo, egli entrava in una nuova società. Doveva vivere secondo le norme di questa nuova società – l’Ecclesia – cosicché per lui cominciava una novitas vitae. E la società di cui il neobattezzato diventava membro aveva fondamenti divini (e aveva anche una forma di governo voluta da Dio). In campo pubblico, quindi, il battesimo significava l’incorporazione dell’uomo naturale nella Chiesa, con la conseguenza che egli doveva ordinare la propria vita secondo norme pertinenti alla Chiesa come istituzione divina” [47].

Di qui la vocazione integralista della Chiesa, la sua pretesa di essere la fonte suprema e inappellabile delle norme, dei valori e dei fini ultimi – rectius, del fine ultimo: la salvezza dell’anima – che i “rigenerati” erano obbligati a riconoscere quali comandi divini. Il che faceva della Cristianità medievale – nella misura in cui era stato istituzionalizzato il principio secondo il quale “nessun dominio della vita umana poteva sfuggire a Gesù Cristo” [48] – una Città sacra nel senso più forte della parola.

Ebbene: con il Rinascimento , l’homo naturalis , dopo secoli di ibernazione , riemerse prepotentemente da quella che Leonardo Bruni era solito chiamare la “notte oscura” del Medioevo [49], riconquistò il centro della scena pubblica e affermò i diritti della sua “naturalità” contro l’etica cristiana e soprattutto contro la concezione ecclesiologica della società [50]. Così la religione – a mano a mano che gli studia humanitatis fagocitavano gli studia divinitatis — cessò di essere, per gli umanisti, il centro motore della vita, precisamente perché essi rivendicarono – e con la massima energia – i diritti dell’homo ut homo, dell’uomo quale esso era prima del messaggio cristiano di rigenerazione e di salvezza. Di qui il fatto che gli umanisti — avendo preso congedo dalla visione teocentrica del mondo per sostituirla con una visione antropocentrica centrata sulla “superiorità della Ratio sulla Traditio “[51] – contribuirono non poco, con la loro “esaltazione della vita civile e della libera costruzione umana di una Città terrena” [52], a legittimare la figura del mercator , che la retorica dei chierici aveva stigmatizzato come la più insidiosa incarnazione dell’homo naturalis . Essi, infatti, non si limitarono ad esaltare la libido sciendi; rivalutarono anche la libido habendi [53].

Il Rinascimento, dunque, fu effettivamente quello che indica il suo nome: una ri-nascita non solo delle lettere antiche, ma anche – e soprattutto — della concezione antropologica che esse esprimevano [54]. E’ per questo che i dottori delle Sacre Scritture percepirono la cultura degli umanisti come una riemersione del paganesimo e come una rivincita del Saeculum; quindi, un fenomeno profondamente anti-cristiano. Per le stesse ragioni, Lutero – tutto pervaso dall’idea paolina secondo la quale “l’uomo naturale non era come doveva essere, e con la sua interiore spiritualità doveva superare la naturalità” [55]  – attaccò frontalmente sia Mammona che la “cieca ragione” [56]. In esse — tipiche manifestazioni dell’homo naturalis –, egli vide le “sataniche” forze che stavano portando l’Europa fuori dal cristianesimo, verso un mondo completamente – e colpevolmente – desacralizzato. Lungi dallo spalancare le porte alla Modernità e i suoi valori cardinali – come vuole un diffuso e tenace luogo comune [57] – la Riforma fu una reazione fondamentalista contro il processo di secolarizzazione [58]. E fu, contemporaneamente, una dichiarazione di guerra contro l’ordine esistente [59] la cui espressione più virulenta fu il movimento millenaristico guidato da Thomas Müntzer, “il teologo della Rivoluzione” – la definizione è di Ernst Bloch [60] — che “attizzava l’odio contro le classi dominanti, eccitava le più selvagge passioni e parlava solo con quei passaggi violenti che il delirio religioso e nazionale metteva sulle labbra dei profeti del Vecchio Testamento” [61]. Egli amava presentarsi come un essere paracletico, investito della missione soteriologica di “combattere i nemici della fede “ [62] per liberare gli oppressi e gli sfruttati dal dominio dei preti, dei potenti e dei ricchi. Il suo programma rivoluzionario esigeva “l’immediata instaurazione sulla terra del Regno di Dio, del Regno di Dio delle profezie millenaristiche …in cui non ci sarebbero state né differenze sociali, né proprietà privata, né autorità estranee e indipendenti , contrapposte ai membri della società “ [63].

La visione műntzeriana dell’imminente avvento del Millennio comunista era esaltante per tutti coloro che, trattati “a guisa di animali da soma della società “[64], gemevano sotto il dispotico potere dei ricchi e dei potenti. Ovunque Mŭntzer e il suo braccio destro Pfeiffer apparivano, centinaia di contadini, di minatori e di artigiani accorrevano ad ascoltarli [65]. Il contenuto delle loro prediche era sempre lo stesso: i signori non avevano alcun diritto di eserciate il potere, che doveva passare alla comunità degli eletti; i preti avevano tradito il messaggio evangelico e, pertanto, dovevano essere espulsi dalla Cristianità; i ricchi non potevano ottenere la salvezza dell’anima, essendosi consegnati a Mammona; tutto doveva essere messo in comune , poiché la stessa distinzione fra meum e tuum era contraria alla volontà di Dio.

Nel 1525 l’effervescenza rivoluzionaria raggiunse il suo culmine. Bande di contadini, quasi sempre guidate da preti che avevano gettato l’abito talare per assumere il ruolo di attivisti e di agitatori, dilagarono come torrenti in piena per tutta quanta la Germania nello stesso momento in cui Műntzer diventava il signore di Muhlhausen e iniziava a plasmare la città secondo i principi del comunismo evangelico e facendo sistematico ricorso alla “spada di Gedeone”. “La spada – così suonavano le sue parole – è necessaria per sterminare gli empi. E affinché ciò sia fatto onestamente e correttamente, i nostri cari padri, i principi che professano Cristo con noi, devono farlo. Ma se non lo faranno, bisogna prender loro la spada -…Se resistono siano ammazzati senza pietà …Al momento della raccolta bisogna estirpare le erbacce dalla vigna del Signore… Gli angeli che stanno affilando i loro falcetti per quest’opera non sono altro che gli zelanti servi di Dio …Gli empi non hanno alcun diritto alla vita, tranne quella che gli eletti decidono di concedere loro” [66].

L’esperimento comunista di Muhlhausen durò pochi mesi. Invano Műntzer inviò messaggeri incaricati di attizzare l’incendio rivoluzionario in altre città. Il suo esercito, formato da contadini male armati e peggio addestrati, venne fatto a pezzi nella battaglia di Frankenhausen. Spietata, come sempre, fu la vendetta dei padroni. Il profeta, che in nome di Dio aveva osato incitare le masse proletarie contro lo sfruttamento e l’ingiustizia , fu barbaramente torturato e poi messo a morte. E tuttavia, meno di dieci anni dopo, il movimento anabattista tornava a sfidare l’ordine costituito con il medesimo furore, la medesima visione escatologica e il medesimo proposito: radere la suolo il vecchio mondo e iniziare l’edificazione della Nuova Gerusalemme.

Questa volta, alla testa del movimento rivoluzionario troviamo Jan Matthyssen e, dopo la sua morte, Jan Bokelszoon, meglio conosciuto con il nome di Giovanni di Leida . Műnster fu la città nella quale la “comunità dei predestinati” reiterò il sacro-santo esperimento: la liberazione degli oppressi attraverso l’abolizione del denaro, dell’usura e della proprietà privata. Lo strumento adoperato per materializzare il Millennio fu una “profezia sanguinaria” [67] dotata di autorità “in ogni materia, pubblica e privata, spirituale e materiale, e di potere di vita e di morte su tutti gli abitanti” [68]. Bokelszoon, dopo aver espulso gli empi – vale a dire “tutti i cittadini che non avevano riconosciuto l’insegnamento dei profeti” [69] -, proclamò che Műnster era la Nuova Gerusalemme e cercò, come già aveva fatto Műntzer, di estendere l’incendio rivoluzionario. Numerosi messaggeri furono inviati ad annunciare che nella Città santa degli anabattisti era iniziata l’edificazione del Regno di Dio e che ben presto la sua giurisdizione si sarebbe estesa a tutta la Cristianità. Ma, ancora una volta, le classi dominanti ebbero partita vinta. Seguì il consueto bagno di sangue, nel quale fu affogata l’eresia anabattista e con essa la speranza delle masse proletarie di liberarsi del giogo dei borghesi, dei signori e dei preti.

[1]. F . Engels , L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza , Editori Riuniti , Roma 1970 , p. 48.
[2] L . Mumford , La condizione dell’uomo , Comunità , Milano , p. 210.
[3] W . Sombart , Il borghese , Longanesi , Milano , p. 201.
[4] G . Ritter , La Riforma e la sua azione mondiale , Vallecchi , Firenze 1963 , p. 59.
[5] F . Nietzsche , La gaia scienza , Mondadori , Milano 1971 , p. 65.
[6] A. Weber , Storia della cultura come  sociologia della cultura, Novecento, Palermo  1983, p. 348.
[7] E . Troeltsch  , Il Protestantesimo nella  formazione del mondo moderno , La Nuova Italia , Firenze  1974 , p. 24.
[8] Cfr. N . Merker , La Germania . Storia di una cultura da Lutero a Weimar , Editori Riuniti , Roma 2016, pp. 69-74.
[9] Cfr. L . Pellicani , La genesi del capitalismo e le origini della Modernità , Rubbettino , Soveria Mannelli 2013.
[10] P . Berger , The Social Reality of Religion , Penguin Books , Londra 1972 , p. 129. Non meno fantasiosa la tesi di Marcel Gauchet , seconda la quale la Riforma “ha dato alla luce lo Stato moderno” ( La condition historique , Gallimard , Parigi 2003 , p. 294).
[11] F . Toennies  , Comunità e società , Edizioni di Comunità , Milano 1963 , p. 46-47.[12] “Il bisogno pratico , l’egoismo è il principio della società borghese , ed emerge come tale allo stato puro, non appena la società borghese abbia completamente partorito lo Stato politico. Il Dio del bisogno è dell’egoismo è il denaro”( K. Marx , Sulla questione ebraica ,  in Opere complete  , cit., vol. III, p. 187). “Il capitalismo moderno è assolutamente non religioso , privo di una unità interna, senza spirito pubblico e spesso, anche se non sempre, pura congerie di possidenti e arrivisti” ( J . K . Keynes , Esortazioni e profezie , Garzanti , Milano1975 , p. 229).
[13] “Ratio è il termine tecnico  per ‘conto, calcolo’; è l’arte di contare come lo si praticava materialmente e per iscritto” ( E . Benveniste , Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Einaudi , Torino  1976 , vol. I , p. 114). La cosa è estremamente significativa: indica che il concetto  economico di ragione  ha preceduto quello scientifico e lo ha reso possibile. Donde la tesi di Simmel, secondo la  quale il celebre teorema metodologico di Galilei –“Il grandissimo libro della natura è scritto in lingua matematica” – altro non è stato  “se non una replica teorica dell’economia di mercato” ( Filosofia del denaro , UTET , Torino 1976, p. 231).
[14] k . Polanyi , Il Dahomey  e la tratta degli schiavi , Einaudi , Torino 1987 , p. XXXIX.[15] M . Weber , Economi  società , Comunità , Milano 1968 , vol. I , p. 620.
[16] K . Polanyi , La Grande Trasformazione , Einaudi , Torino  1974 , p. 92.
[17] L . Dumont , Homo aequalis , Adelphi , Milano  1984 , p. 21.
[18] P . Blicke , La Riforma luterana e la guerra dei contadini , Il Mulino , Bologna 1981 , p. 19.
[19] H . Hauser e A. Renaudet , L’Età del Rinascimento e della Riforma , Einaudi , Torino 1970 ,  pp. 418-419.  E , infatti , nel XVI secolo, si registrano le prime associazioni di lavoratori che anticipano i moderni sindacati ; e si registrano altresì i primi scioperi, frequenti soprattutto nei principali centri dell’industria tipografica  , come Lione e Basilea ( Cfr. M . P . Gilmore , Il mondo dell’Umanesimo , Il Mulino , Bologna 1995 , pp. 25 e ss. ).
[20] Cfr. E . L . Eisenstein , La rivoluzione del libro , Il Mulino , Bologna 1995, pp. 29 e ss.
[21] E . Fromm , Fuga dalla  libertà , Comunità , Milano 1968 , p. 54.
[22] Ibidem, pp. 56-57.
[23] C . Barbagallo , Storia universale , UTET , Torino 1958 , vol. IV , pp. 473-474.
[24] Cit. da E . Fromm , Fuga dalla libertà , cit., p. 54.
[25] P . Miguel , Le guerre di religione , Sansoni , Firenze 1981 , p. 40.
[26] J . Macek , Il Rinascimento italiano  , Editori Riuniti , Roma 1981 , p. 123.
[27] Ibidem, p. 123.
[28] “La Riforma non ha visto l’adesione di tutte le borghesie mercantili. Anche laddove si è imposta, sono stati piuttosto gli ambienti popolari, la piccola borghesia artigiana che l’hanno fatta trionfare, e contro il conservatorismo dei ricchi mercanti …Il mercante del XVI secolo è troppo preoccupato a farsi posto  nell’ordine stabilito per pensare di rovesciarlo , anzi  immaginare che possa venir rovesciato” ( P . Jeannin , I mercanti del 500 , cit. , pp. 165 e 176). E, infatti, dalle più recenti ricerche storico-sociologiche risulta che la predicazione dei riformati  trovò largo seguito fra quelle categorie sociali, come gli operai tesili e gli artigiani, che erano state  duramente colpite dalla rivoluzione dei prezzi(Cfr. M . Prestwitch , a cura di , International Calvinism , Claredon , Oxford 1986 ).
[29] C . Barbagallo , Storia universale , cit., vol. IV , p. 339.
[30] M . Lutero , Alla nobiltà cristiana di nazione tedesca , cit. , pp. 146-148.
[31] Ibidem  pp. 199-200.
[32] C . Barbagallo , Storia universale , cit., vol. IV , p. 345.
[33] Cfr. F . Ferrier , La prédestination , PUF , Parigi 1990 , pp. 79 e ss.
[34] Cfr. L . Pellicani , Dinamica delle rivoluzioni , Sugarco, Milano 1974.
[35] N . O . Brown , La vita contro la morte , Il Saggiatore , Milano 1968 , p. 320.
[36] Cit. ibidem , pp. 320-325.
[37] M . Lutero , Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca in Scritti politici ,  UTET , Torino1959 , pp. 219-220.
[38] R . H . Tawney , La religione e la genesi del capitalismo  , cit., p. 336.
[39] M . Lutero , Del Papato romano , in Scritti politici  , cit., p. 72.
[40] M . Lutero , Il servo arbitrio, Fabbri , Milano 1998 , p. 175.
[41] Cfr. D . MacCulloh  , Riforma , Carocci , Roma 2017 , pp. 151 e ss.
[42] Cit. da M . Piette , La réaction de John Wesley dans l’évolution du protestantisme , Universitas Catholica Lovaniensis , Bruxelles  1927 ,  p. 113.
[43] E, infatti, Lutero non ebbe esitazione alcuna a dichiarare che  la sua missione era quella di “gridare a gran voce contro la filosofia  e indirizzare gli uomini alla Scrittura” ( Cit. da B . Reardon,  Il pensiero religioso della Riforma , Laterza, Bari 1984 , p. 80).
[44] R . H . Bainton , The Reformation of the Sixteenth Century , Beacon Press , Boston 1971 , p. 4.
[45] Cit. da H . Diwald , Lutero, Rizzoli, Milano 1986 , P. 101.
[46] Cfr. M . Adriani , La Cristianità antica , Nova Civitas  , Roma 1972 , pp. 86-87.
[47] W . Ullmann , Origini medievali del  Rinascimento, in Aa. Vv. Il Rinascimento , Laterza, Bari 1983 , pp. 47-48.
[48] J . Ellul , Les nouveau possedés , Fayard , Parigi 2003, p. 23 .
[49] Cit. da G . Toffanin , Storia dell’Umanesimo , Perrella , Napoli 1933 , p. 162.
[50] Ciò è stato espresso da Michelet con la nota formula “La découverte du monde et de l’homme” ( Rénaisence et Réforme , Laffont , Parigi 1982).
[51] A . von Martin , Sociologia del Renacimiento , Fundo de Cultura Economica , Mexico 1962 , p. 32.
[52] E . Garin , L’umanesimo italiano , cit., p. 94.
[53] Cfr. F . Faure , La Rénaissence , PUF , Parigi 1986, pp. 123-124.
[54] Cfr. R . Campa , La rivincita del paganesimo , Deleyva , Monza 2013.
[55] G . W . F . Hegel , Lezioni sulla filosofia della storia , La Nuova Italia , Firenze 1967, vol. IV , p. 147.
[56] M . Lutero , Delle buone opere , in Scritti religiosi , UTET , Torino 1967 , p. 351.
[57] Infatti , nulla è più lontano dalla realtà storica della tesi secondo la quale la rovinosa decadenza dell’Italia nel XVI secolo è da imputare al fatto che essa rimase estranea al rinnovamento spirituale fomentato da Lutero e Calvino. E questo perché la Riforma non fu  “né soggettivismo e instaurazione del libero pensiero e della tolleranza religiosa , né liberazione dai dogmi e dal papismo :ché anzi contrappose una teologia all’altra  e un papismo al papismo”, col risultato che “il protestantesimo tedesco  fu  per un paio di secoli pressoché sterile  negli studi, nella critica , nella filosofia”( B.  Croce, Storia dell’Italia barocca in Italia ,  Adelphi , Milano 1993 , p. 28 ).
[58] E, infatti, “mentre il Rinascimento italiano aveva accolto in sé tutte le forze positive alle quali  si deve la cultura moderna : vale a dire emancipazione del pensiero, disprezzo per l’autorità, vittoria dell’istruzione sulla schiatta, entusiasmo per la scienza e il passato scientifico dell’umanità , liberazione dell’individuo… , la Riforma tedesca si pose come energica protesta di spiriti  arretrati , non ancora sazi della visione medievale del mondo  e, con nordica caparbietà essi respinsero gli uomini all’indietro , provocarono la Controriforma  vale a dire un cristianesimo   cattolico d’emergenza , con le violenze di uno stato d’assedio, e ritardarono anche di due secoli il pieno sviluppo e l’affermazione della scienza” ( F. Nietzsche, Umano troppo umano, Mondadori, Milano 1970, p. 160).
[59] Nella prima fase della sua azione agitatoria Lutero predicò l’eliminazione, “con le ami”, della “gente malefica che ammorbava il mondo”. Poi, di fronte alle esplosive conseguenze delle sue parole, sposò la causa dell’ordine e incitò i principi a massacrare senza scrupoli “quelle creature del Demonio” che  si erano messe al seguito di Műntzer ( Scritti politici, cit., p.489).
[60] E . Bloch , Thomas Müntzer, théologien de la Révolution ,   Julliard , Parigi 1964.
[61] F . Engels , La guerra dei contadini , in Opere complete, Editori Riuniti , Roma 1970 e ss. , vol. X , p. 480.
[62] T. Műntzer, Scritti politici, Claudiana , Torino 1972 , p. 86.
[63] F. Engels , La guerra dei contadini , cit. , p. 427-428.
[64] G . Ritter , La formazione dell’Europa moderna , Laterza , Bari , p. 183.
[65] Cfr. T . La Rocca , Es Ist Zeit . Apocalisse  e storia , Cappelli , Bologna 1988 , pp. 129 e ss.
[66] Cit. da N . Cohn , I fanatici dell’Apocalisse , Comunità, Milano 1978 , p. 317.
[67] F . P . Reck-Malleczewen , Il re degli anabattisti, Rusconi , Milano 1971 , p. 23.
[68] N . Cohn , I fanatici dell’Apocalisse , cit.,  p. 356.
[69] Y . Safarevic , Le phenomène socialiste ,  Seuil , Parigi 1975 , p. 76.

Luciano Pellicani è un sociologo giornalista e docente universitario italiano. Dopo aver insegnato presso l’Università di Urbino e l’Università di Napoli, nel 1984 è stato chiamato dalla Facoltà di Scienze Politiche della Luiss Guido Carli a ricoprire la cattedra di Sociologia politica. È anche Direttore della Scuola Superiore di Giornalismo della Luiss Guido Carli. Pubblicazioni recenti: Dalla società chiusa alla società aperta (Rubbettino), Rivoluzione e totalitarismo (Marco), Jihad (Luiss University Press).
Nel 2013 ha pubblicato con Elio Cadelo Contro la modernità. Le radici della cultura antiscientifica in Italia (Rubbettino).

  1. A proposito del circolo di Juan Valdés, di Giuseppe Brescia. A integrazione del dotto saggio dell’amico Pellicani, sia consentito osservare che fa eccezione il caso dei riformatori italiani, del circolo di Juan Valdés, cui lo stesso Croce – nel saggio socio-storico citato – dedicò ripetuta e calda attenzione, dall’ ‘Introduzione’ all’ “Alfabeto Cristiano”, edita nella Biblioteca di Cultura moderna del Laterza, ai tanti riferimenti ai circoli di Roma e Napoli delle ‘Storie e leggende napoletane’, fino alla ‘Storia dell’età barocca in Italia’, del 1924-1928: “”I riformatori italiani, segnatamente quelli del circolo di Giovanni de Valés e i loro amici, riunirono invece senza sforzo l’umanesimo al misticismo, il culto degli studi all’austerità morale. Il calvinismo, con la sua dura concezione della grazia e la dura disciplina, neppur esso favorì la libera ricerca e il culto della bellezza; ma gli accadde, interpretando e svolgendo e adattando il concetto della grazia e quello della vocazione, di venire a promuovere energicamente la vita economica, la produzione e l’accrescimento della ricchezza” ( ed. a cura di Giuseppe Galasso, Adelphi, Milano 1993, p. 23 ). Insomma, è ancora una volta la “temperatura” umanistica a pro-vocare le differenze ( un poco come accadrà secoli dopo per i “giacobini italiani”, in primis il diritto ‘mite’ di Mario Pagano e dei martiri del 1799, rispetto ai giacobini d’oltralpe e alla ghigliottina ). Il che valga ancor oggi, a petto della dimensione etico-politica dell’ Europa, che ci troviamo ad attraversare. Giuseppe Brescia – Libera Università ‘G.B.Vico’ di Andria

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