La denuncia dell’inviato del Papa:
«Il Libano sta crollando»

È un Libano distratto e distante dai palazzi quello che ha accolto la promessa di una visita di papa Francesco, prossima ma senza ancora data certa, annunciata dal Segretario per il rapporti con gli Stati della Santa Sede, l’arcivescovo Paul Gallagher, appena giunto a Beirut. Francesco dimostra di aver capito la posta in gioco e ribadisce il suo impegno per il Libano. Ma lo fa consapevole di cosa significhi, e infatti poco dopo, appena uscito dal palazzo presidenziale, monsignor Gallagher ha aggiunto: “Temo che il futuro di questo Paese non sia garantito”.

Per il linguaggio usualmente molto cauto della diplomazia e in particolare di quella vaticana sembra una bomba atomica. Il Libano è uno stato fallito? I suoi conti già dicono di sì, e l’incapacità del governo anche di riunirsi per fronteggiare il disastro economico, con gli stipendi ridotti al valore di poche decine di dollari, lo conferma. Le elezioni sono previste per maggio, i partiti già fanno gli accordi elettorali, ma neanche questo richiama l’attenzione. Nulla è più lontano dai libanesi della politica libanese, come fossero due mondi in guerra tra di loro. O meglio tre mondi. Da una parte la società civile, indignata con il ceto politico che ha letteralmente divorato le fortune del Paese, dall’altra loro, i partiti, chiusi nelle loro torri eburnee, e poi la massa dell’opinione pubblica, sprofondata in una lotta quotidiana per sopravvivere.

Monsignor Gallagher lo sa, e infatti proseguendo sul terreno dell’inusuale chiarezza dei messaggi ha invocato un dialogo, ma non tra i partiti, quanto tra partiti e società civile. E’, o meglio sarebbe, l’unica ricetta. Ma non ci sono segni che sia stata accolta dai partiti. Mentre la società civile libanese ha sentito. E ha risposto. Con una lettera aperta  all’inviato papale al capezzale del Libano, l’unico Paese arabo che ha ancora una libera informazione e quindi un’opinione pubblica, ma che sta vedendo scomparire i ceti medi, ciò che consentivano a questo Paese di essere l’eccezione araba.

Sono propri questi ceti medi, principale vittima di una crisi devastante come un uragano che arricchisce i ricchi e impoverisce tutti gli altri, che nonostante gli improvvisi scioperi che hanno paralizzato tutto il Paese dalle prime ore del 2 febbraio scorso, con fermezza e chiarezza hanno ringraziato il Vaticano attraverso il comunicato del Civic Influence Hub, una delle principali voci della società civile libanese, costituita da persone libere e appartenenti a tutte le comunità confessionali. “I libanesi sono vittime di un crimine organizzato, di un colpo di Stato contro la loro Costituzione. Per questo apprezziamo il vostro sforzo attivo a sostegno del popolo libanese e del suo impegno per ripristinare la sua sovranità, a intraprendere delle riforme, a liberare la decisione nazionale e a ravvivare il legame morale tra gli affari pubblici e il bene comune. Per questo ringraziamo la Santa Sede per gli sforzi che compie per difendere il Libano -messaggio del vivere insieme e della neutralità”. Queste ultime parole vanno spiegate.

Il Libano è stato definito tanto tempo fa un messaggio da Giovanni Paolo II: cioè a dire che solo nella scelta di vivere insieme nella comune e paritaria cittadinanza dei diversi si può diventare tutti cittadini di uno Stato sovrano, sottoposto a una Costituzione condivisa e non ispirata da una legge religiosa. Questo piccolo Stato può essere sovrano solo ponendosi come neutrale nelle guerre confessionali che lo circondano. Questa neutralità, costituiva per un Paese multiculturale e multireligioso, lo avrebbe fatto diventare non un osservatore indifferente, ma un possibile “onesto mediatore” nella guerra tra sauditi e iraniani che infiamma la regione. Dunque si tratta di una neutralità attiva. L’intervento del partito khomeinista libanese Hezbollah nel conflitto siriano ha impedito questa neutralità attiva, e il sostegno del partito del presidente Aoun, cristiano, ad Hezbollah, ha reso questa partecipazione “nazionale”.

È seguito il sostegno miliziano e logistico di Hezbollah agli insorti yemeniti. È scaturito di qui il fallimento di Saad Hariri, il sunnita che per mantenere un’apparente pace nazionale ha finito con il seguire o lasciar passare le scelte di Hezbollah, finendo col doversi ritirare dalla politica pochi giorni fa. Scaricato dai sauditi, Saad Hariri ha ammesso: “Ho evitato la guerra civile, ma non ho reso la vita dei libanesi migliore”. Ora alcuni dicono che Hezbollah non ha più il paravento dietro il quale impadronirsi dello Stato: ma esiste ancora uno Stato? Questa è la vera domanda e solo monsignor Gallagher ha avuto il coraggio di porla con chiarezza.

Così resta solo il confessionalismo che cancella il modello libanese che puntava a dare tutela a tutte le comunità e diritti a tutti gli individui. Il confessionalismo invece chiude in comunità sempre più lontane e ringhiose tra di loro, rendendole il solo luogo dove ognuno può trovare il sostegno indispensabile davanti al fallimento dello Stato. Con estrema precisione monsignor Gallagher ha infatti aggiunto che questo dialogo tra partiti e società civile dovrebbe essere libero da influenze o condizionamenti stranieri. Se ci fosse la disponibilità il Vaticano si offrirebbe anche di facilitarlo. Ma farlo veramente è il problema dei problemi per l’establishment, espressione delle confliggenti signorie regionali. E infatti Civic Influence Hub prosegue affermando che “l’alternativa all’establishment esiste, sta nelle forze della società. È necessario incontrarle, come è necessario consolidare il sostegno internazionale a dichiarare la neutralità del Libano, non solo rispetto ai conflitti in essere, ma anche rispetti ai compromessi che si vanno facendo oggi a livello regionale e internazionale”.

Nessun partito ha ancora trovato la forza o il coraggio di rispondere all’esortazione di monsignor Gallagher di avviare questo confronto con la società civile libanese. E la piazza, forse non per caso, è esplosa improvvisamente in un’ondata di scioperi e mobilitazioni che hanno paralizzato l’intero Paese.

Ora gli ottimisti sperano in un compromesso sullo Yemen nei negoziati tra sauditi e iraniani in corso in Oman. Di qui potrebbe venire anche un po’ d’aria fresca per il Libano, con delle ricadute di intesa bilaterale che potrebbero coinvolgere anche Hezbollah e le sue armi, quale unica milizia che non è stata disarmata dai tempi della guerra civile.

Ma questa pace fredda non rifarebbe il Libano dei ceti medi, delle università, delle scuole pubbliche e private, delle banche, dei quotidiani progressisti e conservatori che informavano di tutto l’intero mondo arabo, in arabo, inglese e francese. Per distruggere sono bastati pochi anni, per ricostruire ne servirebbero, se fosse, molti di più. I giornali per fortuna resistono, ma il resto sta chiudendo i battenti giorno dopo giorno.

Quello che potrebbe emergere dai negoziati in atto è un quadro di compatibilità per la sopravvivenza degli attuali partiti delle influenze straniere sui blocchi contrapposti. La notte libanese è talmente profonda e grave che però anche questo potrebbe costituire un punto flebile di ripartenza. Sul quale un leader morale globale come Francesco potrebbe lavorare per ricostruire quel “messaggio” che il mondo arabo vuole, contro il suo establishment espressione di un sistema feudale. In un Paese dove ormai sono quasi introvabili anche i farmaci da banco non si può andare tanto per il sottile, ma la storia di questi anni ha dimostrato che accettando di essere la palestra di tutti i conflitti il Libano ha finito col condannare se stesso.

 

Foto: La chiesa maronita di San Giorgio e la moschea Mohammed al-Amine a Beirut (Joseph Eid / AFP).

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