Voto stabilizzante in Marocco
premia le scelte di Mohammed VI

Da Reset-Dialogues on Civilizations

“Senza servizio ai cittadini, niente amministrazione”. Neanche il tempo di assistere alla nascita del nuovo Governo, dopo le elezioni parlamentari del 7 ottobre scorso, e già Mohammed VI, sovrano del Marocco dal 1999, guarda avanti assegnando al neonato Parlamento i compiti da affrontare.
Il volto tirato, la voce ferma, il re si rivolge all’Emiciclo una settimana dopo il voto esortandone i membri a rimuovere la pietra che sbarra la strada alla modernizzazione del Paese nordafricano: il vetusto sistema amministrativo, non solo distante dal cittadino, ma proprio a lui avverso. Un garbuglio fatto di burocrazia farraginosa, sprechi e corruzione che ritorna spesso nelle relazioni degli organi internazionali e che mina la credibilità del Marocco in termini politici ed economici.
Mohammed ha già trattato l’argomento più e più volte con i deputati predecessori degli attuali, ma senza risultato.

Di fronte al sovrano, però, c’è ora una Camera bassa finalmente messa in condizione di decidere più rapidamente e meglio: il processo di polarizzazione della scena politica intrapreso nel 2011 per volontà del re, infatti, sta cominciando a dare i propri frutti.
Ecco perché si parla apertamente di un suo successo.
Con gli emendamenti apportati alla Costituzione mentre il vento della Primavera bussava alle porte del regno, Mohammed VI scelse di cedere alcune prerogative in favore del Parlamento, così rafforzato. Il re marocchino, si dirà, gode ancora del pieno controllo delle Forze armate, della Politica estera, della gerarchia religiosa, del potere giudiziario. Però, non può più sciogliere la Camera né scegliere a proprio insindacabile giudizio il primo ministro.

Alle urne 2016, per quanto l’affluenza sia calata (poco più del 40% medio), la direzione indicata dal sovrano ha trovato il consenso dei sudditi: stop alle sigle minori, alcune delle quali, alla prova del nove, si sono dimostrate inconcludenti; avanti con il bipolarismo.
E così, il partito di maggioranza nel precedente Parlamento, Giustizia e sviluppo (Pjd, islamista moderato), è passato da 107 a 125 seggi; Autenticità e modernità (Pam, liberale di centro, vicino al casato reale) ha “sbancato”, passando da 47 a 102 deputati; scavalcato dal tempo che passa, invece, il canuto Istiqlal (Indipendenza, il più antico partito marocchino, nazionalista conservatore), rimasto a 46 seggi. Tutti ridimensionati i movimenti socialisti e sindacali, dall’Usfp al Pps al Psu. Male anche popolari (Mp), Unione costituzionale, Rassemblamento nazionale (Rn), in perdita media di 10-15 seggi. Una sessantina le deputate donne su 395 seggi complessivi.
Il presente marocchino, allora, lo dovranno gestire islamisti e liberali, delineando una forma di convivenza obbligata su scala nazionale e locale, visto che il Pam si è affermato nelle urne amministrative un anno fa.

“Mettete il cittadino al centro della vostra azione”, sprona Mohammed VI, consapevole delle inquietudini di 35 milioni di sudditi. La situazione economica stagnante, il rischio terrorismo, l’instabilità regionale preoccupano anche la diaspora.
Mohammed VI sa che il suo regno si è “salvato” dalla stagione delle rivolte popolari per un soffio. Giusto per la sua capacità di tenere viva la speranza in un futuro più equo. Ma le promesse non bastano: i conti non tornano. La bilancia commerciale soffre, la disoccupazione giovanile galoppa, l’agricoltura agonizza sotto la scure di una siccità inedita.
Se la crescita economica a fine 2016 segnasse il +1% anno su anno sarebbe già manna dal cielo. Altro che il +3% previsto un anno fa dal Fondo monetario internazionale.

Il nuovo Governo di Rabat dovrà fare i conti anche con l’elevato rischio terrorismo, in un Paese che ha esportato verso i terreni di battaglia del Siraq almeno 1.350 foreign fighters e lotta, giorno dopo giorno, contro coloro che rientrano per portare l’inferno.
Per questo le consultazioni per la messa a punto del nuovo Esecutivo marocchino saranno, non c’è dubbio, lunghe e strategiche: il primo ministro uscente, Abdelillah Benkirane (Pjd), riconfermato nel suo ruolo, dovrà cercare una spalla fidata su cui poggiare la propria maggioranza (il Pjd necessita di 73 deputati per raggiungere i 198 della maggioranza assoluta) e con il Pam non c’è alcuna possibilità di coalizione.
Dentro e fuori il Paese, la squadra dei ministri economici è la più attesa. Perché quella precedente è stata messa alla gogna per l’incapacità nelle urgenti questioni economiche nazionali, “quelle che riguardano i cittadini”, come ricorda Mohammed VI, e non le tasche dei soliti noti.

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