Si torna a scuola in Cisgiordania,
ma il dialogo è ancora lontano

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Oggi è sabato, domani si torna a scuola. Si è chiuso sabato 12 marzo lo sciopero di cinque settimane degli insegnanti palestinesi in Cisgiordania. L’annuncio lo hanno dato i megafoni delle moschee: protesta finita, domenica mattina tutti in classe.

Gli insegnanti ci tengono a precisare che lo sciopero è solo sospeso: se il governo non rispetterà le promesse che il presidente Abu Mazen ha ribadito in un discorso tv poche ore prima della cessazione della protesta, allora si tornerà in piazza. E in piazza ci sono stati a lungo e ci sono stati tutti: l’ultima manifestazione a Ramallah, a fine febbraio, ha visto la partecipazione di 35mila insegnanti. Un enorme successo se si pensa che in tutto i dipendenti della scuola sono 42mila e che la polizia dell’Autorità Nazionale ha cercato in ogni modo di impedirne l’arrivo a Ramallah (checkpoint in stile israeliano sono comparsi in tutte le principali strade che collegano nord e sud della Cisgiordania alla capitale de facto palestinese).

Eppure le richieste degli insegnanti, sostenuti anche dal personale amministrativo, non erano campate in aria: chiedevano l’applicazione dell’accordo siglato nel 2013 tra il sindacato, la General Union of Palestinian Teachers (Gupt), e il governo, che prevedeva l’aumento del 10% dello stipendio. Perché, a differenza di altri dipendenti pubblici, agli insegnanti vanno le briciole: 2.800 shekel al mese, 600 euro, che – con un tasso di inflazione che negli ultimi anni ha fatto impennare i prezzi dei beni basilari – vengono subito mangiati dalle spese indispensabili.

Ma alla base dello sciopero c’è di più. Il denaro, spiegano gli insegnanti, è solo lo specchio economico di un disagio che è politico: la frattura apparentemente insanabile tra il sindacato e i lavoratori. La denuncia risuona forte e investe ogni settore economico e produttivo palestinese, tutti affetti dalla stessa “malattia”: i sindacati non sono indipendenti, ma un braccio del governo.

«Se la corruzione è la ragione dietro il mancato aumento dei nostri stipendi, la dipendenza del sindacato dal governo è il motivo dietro la nostra debolezza contrattuale». Iqam Deeryah va dritto al punto. Insegnante nel villaggio di al-Ma’sara, a sud di Betlemme, è da un mese uno dei 14 nuovi rappresentanti sindacali direttamente scegli dagli insegnanti al di fuori del Gupt. «All’inizio, il 7 febbraio, quando la protesta è cominciata, il Gupt ha preso parte e indetto quattro giorni di sciopero per chiedere al governo l’applicazione di un accordo vecchio di 3 anni – ci spiega – Ma dopo il primo giorno, il sindacato ha sospeso lo sciopero. Noi abbiamo proseguito da soli» .

Prima richiesta, ci dice Iqam, è l’aumento salariale promesso: «L’Unione Europea gira all’Autorità Palestinese mille euro per insegnante al mese. Noi, però, in busta paga ne riceviamo la metà, 2.800 shekel. Dove va a finire il resto del denaro? Nessuno ce lo ha mai spiegato».

Seconda richiesta, un sindacato indipendente dal governo, scelto dagli insegnanti e reale rappresentante degli interessi di categoria: «Abbiamo chiesto elezioni interne per nominare i nostri delegati. Ma ogni volta che arriviamo al voto, il governo nomina in autonomia i segretari. Non solo: i membri del Gupt sono pagati dal governo. Il segretario generale ha uno stipendio di 9mila shekel al mese. Come potrebbe essere davvero indipendente, libero di muoversi?».

La risposta giunge dalla base: in assenza di un sindacato che ne tuteli gli interessi, gli insegnanti nell’ultimo mese hanno dato vita ad un proprio comitato: ogni scuola ha eletto il proprio rappresentante, ogni distretto ha eletto un delegato così da formare un team di 18 rappresentanti. Il nuovo comitato ha chiesto di incontrare il governo che, spiega Iqam, ha organizzato un incontro informale solo per mandare a dire agli insegnanti che mai avrebbe interagito con un soggetto che non fosse il Gupt.

«Durante quell’incontro i rappresentanti governativi non hanno messo sul tavolo alcuna soluzione, ci hanno solo minacciato. Abbiamo ricevuto molte denunce da parte di insegnanti che hanno familiari che lavorano per l’Anp: o accantonate lo sciopero o li licenziamo. Eppure la soluzione sarebbe semplice: chiediamo dignità. La ragione per cui il governo non intende risolvere la questione è politica: se vinciamo noi, altri dipendenti governativi potrebbe sollevarsi; inoltre, la nostra protesta è stata tirata per le lunghe dall’Anp per oscurare la sollevazione giovanile in corso nei Territori Occupati. I media ormai parlano solo dello sciopero della scuola e, se prima si accendevano proteste due o tre volte la settimana contro l’occupazione israeliana, ora non ce ne sono quasi più».

Questo, il valore politico dello sciopero, è il solo punto su cui insegnanti e sindacato paiono d’accordo. Ma con un significato diverso: «La protesta è stata subito sfruttata da soggetti politici per fini personali», è il commento di Assem Zboun, segretario della sezione del distretto di Betlemme del Gupt. «Non posso fare nomi – ci dice – ma è chiaro che già nei primi giorni della protesta diverse forze politiche sono entrate nel movimento degli insegnanti per controllarlo: alcuni membri di Fatah, che puntano ad indebolire personalità governative, e Hamas, interessato più in generale ad affossare il governo di Ramallah».

Il sindacato si difende, difende le azioni degli ultimi anni e accusa gli insegnanti di comportamento scorretto, un errore che pagheranno: «Il 18 febbraio ci siamo incontrati come Gupt con il governo e abbiamo messo sul tavolo un aumento del 10%. Un 5% nel 2017 e un altro 5% nel 2018 – ci spiega Zboun – Ma gli insegnanti non ne sono rimasti soddisfatti e ora cosa hanno ottenuto? Niente di più. Continuano a lamentarsi del proprio stipendio, ma prendono più di quanto dichiarano: 4mila shekel al mese, non 2.800. L’Anp dipende dagli aiuti internazionali: il presidente non può presentarsi dai donatori stranieri e elemosinare altro denaro solo per aumentare il salario degli insegnanti».

A sciopero finito, senza ancora un accordo di massima, di cinque settimane di sciopero che hanno lasciato fuori dalle classi oltre un milione di studenti resta la frattura tra sindacato e insegnanti e il palese calo di consenso verso l’Anp. Lo dice il sostegno che la società palestinese ha riconosciuto agli insegnanti durante la protesta e lo dice la reazione brutale della polizia: professori arrestati, manifestazioni ostacolate, minacce.

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