Dopo la crisi Aquarius, quale strategia tra Europa e Africa?

Il contrasto all’immigrazione è stato un leit motiv della Lega in campagna elettorale. Chiudere le frontiere e rimpatriare gli oltre 600.000 immigrati clandestini o migranti economici, come altrimenti definiti, che si sono insediati nel nostro paese, sono temi più volte ripetuti e recepiti nel cosiddetto contratto di governo. Genera quindi poca sorpresa la presa di posizione di Salvini, neo-Ministro degli Interni del governo Lega-5Stelle, rispetto ai migranti imbarcati sulla nave Aquarius, con il rifiuto di fare attraccare la nave in un porto italiano e la richiesta a Malta, e da questa respinta, di farla attraccare presso di loro. La disponibilità della Spagna di Sanchez, il neo-premier socialista interessato ad accreditarsi con l’Unione Europea, a consentire lo sbarco a Valencia, ha dato uno sbocco alla crisi diplomatica così maturata, ma lascia aperto il problema della gestione dei migranti a livello europeo.

Salvini ha dichiarato che “alzare con garbo la voce”, come i governi italiani non hanno saputo fare negli anni passati, dà i suoi risultati. Ma ha riconosciuto che siamo solo agli inizi e che la soluzione va cercata nell’adeguamento delle regole e delle politiche europee.

La pressione che ogni anno porta decine di migliaia di migranti dall’Africa è certamente la sfida più significativa che l’Europa, nella sua identità politica e culturale, si è trovata ad affrontare nel nuovo millennio. Di questi, solo una minoranza costituisce rifugiati richiedenti asilo, provenienti da paesi dove sono generalmente limitate le libertà fondamentali ed il singolo richiedente è esposto a specifici atti di persecuzione. La stragrande maggioranza è costituita da migranti economici, ovvero persone che lasciano il loro paese in assenza di possibilità di auto-sostentamento.

Se consideriamo gli sbarchi su tutte le coste europee avvenuti tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2017, nell’UE sono arrivati via mare 171.332 migranti. Per numero di arrivi, dopo I’Italia, la seconda meta è stata la Grecia, anche se a ritmi molto più bassi di quelli raggiunti prima dell’accordo con la Turchia del marzo 2016, che stanziava fino a 6 miliardi di euro per sostenere le politiche e le azioni del governo turco mirate a trattenere il flusso di migranti provenienti in primo luogo dalla Siria. La Spagna è emersa come la terza meta di sbarco. Complessivamente, i flussi si sono notevolmente ridotti: nel 2017 sono arrivati in Grecia 29.718 migranti, contro i 173 mila del 2016, a conferma che l’accordo con la Turchia regge.

In Italia, secondo i dati dell’Alto Commissariato ONU per i rifugiati (UNCHR), tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2017 sono sbarcate 119.247 persone. Un dato in netta diminuzione rispetto al 2016 (181.436, ovvero -34%). Il dato è divisibile esattamente a metà. Tra gennaio e giugno 2017 sono arrivate 83 mila persone, il 18% in più rispetto allo stesso periodo del 2016. Tra luglio e dicembre 2017 sono arrivate 36 mila persone, il 67% in meno rispetto allo stesso periodo del 2016.

Questa inversione di tendenza riflette senza alcun dubbio gli accordi siglati dal Ministro dell’Interno uscente, Minniti, con il governo libico di Fayez al Serray. La Libia è la nazione per la quale passa buona parte dei migranti dell’Africa sub sahariana e da cui partono la maggior parte dei barconi diretti verso le coste italiane. L’accordo prevedeva la fornitura di tecnologie e formazione alla Guardia Costiera libica nella gestione dell’immigrazione, il controllo delle frontiere e il contrasto al traffico di esseri umani. Esso è stato, peraltro, criticato in sede internazionale per non prevedere adeguate ed opportune tutele per i migranti trattenuti in Libia. Ma si è rivelato una scelta utile e funzionale a smorzare la pressione migratoria nel breve termine, anche se insufficiente a gestire la sfida nel lungo.

Le prime posizioni prese da Salvini non sono in contrasto con i termini di questo accordo; anzi, il disegno sembra quello di estenderlo anche ad altri paesi dell’area sub-sahariana, ed in primis al Niger, sia per contrastare i flussi di migranti diretti verso l’Italia che per accelerare i programmi di rimpatrio di migranti già sul territorio nazionale, non aventi diritto d’asilo. Un piano, quello di Salvini, che punta a spostare nel lungo periodo i capitoli di spesa, inseriti nel bilancio dello Stato, dall’accoglienza dei migranti verso vari fondi, anche sostenuti dall’Unione Europea, da destinare ai paesi terzi – la Nigeria, il Camerun o il Senegal. L’obiettivo è rendere economicamente appetibile per questi Paesi riprendersi chi è arrivato in Italia negli anni scorsi e impiegare i fondi attualmente spesi per l’accoglienza e la costruzione dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), direttamente in quegli Stati da cui provengono i migranti. In questo senso l’Italia vorrebbe indirizzare la revisione del Regolamento di Dublino III, la norma europea di trascrizione della Convenzione di Dublino in tema di diritto d’asilo, che attribuisce al primo Stato membro UE in cui vengono memorizzate le impronte digitali o viene registrata una richiesta di asilo la responsabilità della gestione del rifugiato.

Di ciò si discuterà nel prossimo Consiglio Europeo di fine giugno a Bruxelles per cercare il consenso più esteso possibile alle misure da adottare. Nella stessa sede il Commissario UE greco per l’immigrazione, Dimitris Avramopoulos, proporrà ai governi di triplicare i fondi per l’emergenza migranti a 35 miliardi nel bilancio 2021-2027, che si andranno ad aggiungere a quelli già previsti dall’accordo con la Turchia del marzo 2016.

Peraltro, gli strumenti a disposizione si vengono arricchendo ed articolando. Con un contributo di 3,35 miliardi di euro dal bilancio dell’Unione Europea e dal Fondo Europeo di Sviluppo, il Piano Europeo di Investimenti Esterni – E.E.I.P. – sosterrà garanzie innovative e strumenti simili per promuovere investimenti privati, consentendo così di mobilitare fino a 44 miliardi di euro di investimenti in Africa (su modello del Piano Juncker per gli investimenti in Europa). Se poi gli Stati membri si rivelassero puntuali nel versare i propri contributi all’UE, l’importo totale degli investimenti generati potrebbe addirittura raddoppiare fino a 88 miliardi di euro. Infine, come ribadito dal presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani, si deve “lavorare affinché nel prossimo bilancio pluriennale UE il fondo di investimenti per l’Africa sia dotato di almeno 40 miliardi. Grazie all’effetto leva e alle sinergie con la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) si potrebbero mobilizzare investimenti pubblici e privati per circa 500 miliardi di euro”. E il 14 marzo scorso il Parlamento europeo si è schierato a favore della proposta.

Si viene delineando, in questi termini, un vero e proprio Piano Marshall per l’Africa, che inizia a prender corpo in seno all’Unione Europea. Esso prevede il lancio di una politica di effettiva cooperazione internazionale orientata non solo allo sviluppo, come avvenuto finora, ma anche ad iniziative di carattere economico-imprenditoriale, che presuppongono la mobilitazione di risorse finanziarie e organizzative tanto a livello istituzionale che di singole imprese. Gli impegni finanziari UE iniziano ad assumere consistenza, ma devono ora combinarsi con uno sforzo organizzativo non facile dispiegare.

Una politica di cooperazione economica-imprenditoriale efficace prevede il coinvolgimento di imprese europee, e dei singoli paesi che concorrono a finanziarle, attraverso presidi nei paesi destinatari degli aiuti. Nel far ciò, le imprese beneficiarie e i paesi di insediamento dovranno creare le condizioni necessarie a garantire la riuscita e la continuità nel tempo delle aziende avviate. La formazione delle risorse umane ne è uno dei requisiti necessari: essa potrà avvenire attraverso opportuni programmi di formazione, adeguatamente finanziati dal Fondo di Sviluppo Europeo, avviati in loco attraverso la collaborazione fra centri di eccellenza europei (università, istituti di ricerca, think tanks, distretti industriali, ecc.) e le istituzioni locali; come anche con apprendistati e training svolti nei paesi europei sostenitori del piano. Un processo che, senza peccare di eccessivo ottimismo, può configurare una situazione win-win, creando opportunità di lavoro e reddito nei paesi beneficiari della politica di cooperazione ma anche nuovi mercati per le imprese europee che vi partecipano.

Un aspetto fondamentale riguarda le infrastrutture: la mobilità di persone e merci, così come quella delle idee e delle informazioni, sono condizioni essenziali per lo sviluppo. La Cina sta marcando prepotentemente la sua presenza in Africa attraverso investimenti massicci in infrastrutture di trasporto: treni ad alta velocità, aeroporti, strade ed autostrade. La recente inaugurazione del servizio merci e passeggeri della nuova linea ferroviaria Gibuti-Addis Abeba – la più lunga tratta elettrificata in Africa, costruita e finanziata dalla Cina – è solo l’ultimo di una lunga serie di progetti che Pechino ha realizzato nel continente africano. E sempre più numerose sono aziende cinesi, pubbliche e private, che investono o si sono aggiudicate appalti per la realizzazione di nuove infrastrutture, tra cui figurano il porto di Bagamoyo in Tanzania, quello di Walvis Bay in Namibia, la ferrovia ad alta velocità fra Mombasa e Nairobi in Kenya e il completamento dell’autostrada Entebbe-Kampala in Uganda. Dall’inizio del XXI secolo, infatti, l’interscambio commerciale fra Repubblica popolare cinese e continente africano è aumentato annualmente del 20%, accompagnato da una parallela crescita degli investimenti cinesi pari al 40%.

Un ulteriore impulso all’interscambio commerciale, e non solo con la Repubblica popolare cinese, deriverà certamente dall’accordo di libero scambio sottoscritto lo scorso 21 marzo al vertice di Kigali, capitale del Rwanda, da 44 governi di altrettanti paesi africani: il Continental Free Trade Area (CFTA), un accordo che cancella i dazi sul 90%  dei prodotti scambiati all’interno del continente africano. E’ pur vero che all’accordo non ha ancora aderito la Nigeria, l’economia africana più forte; e che il commercio interno in Africa ammonta solo al 15-18 %, laddove negli USA si attesta al 48%, in Asia al 58% ed in Europa addirittura al 70%. Tuttavia è altrettanto vero che, rispetto alle  recenti, ripetute chiusure al commercio mondiale manifestate dall’America di Trump, il percorso intrapreso dall’Africa è carico di positive implicazioni per l’intera regione.

L’Unione Europea potrebbe affiancare questo sentiero di sviluppo, concorrendo alla mobilità delle idee e delle informazioni, attraverso lo sviluppo dei sistemi di telecomunicazioni a banda larga. Attualmente, secondo le Nazioni Unite, soltanto il 25% della popolazione africana ha accesso ad Internet, nonostante l’Africa sub sahariana dia prova della sua fame di tecnologia, tanto da classificarsi fra le aree più avanzate per l’utilizzo del mobile banking. Il settore delle telecomunicazioni è in espansione, ma gli investimenti in questo senso restano ad oggi limitati: in Africa orientale, Liquid Telecom, un gruppo con base a Mauritius, ha appena completato la costruzione di una rete in fibra che collega fra loro Kenya, Rwanda, Tanzania, Uganda e Burundi. Ma c’è ancora molto da fare per dotare il continente africano di un articolato network di telecomunicazioni, dove le aziende europee, opportunamente sostenute a livello istituzionale e finanziario tramite il Piano Europeo di Investimenti Esterni, potrebbero svolgere un ruolo di stimolo per l’avvio di iniziative locali.

Trasporti e telecomunicazioni sono settori strategici di investimento per l’UE nel quadro di un nuovo piano di lungo periodo per l’Africa. Senza ignorare la valenza che altri settori, altrettanto significativi per accelerare lo sviluppo del continente, possono assumere: dall’energia allo sviluppo software, dalla valorizzazione delle risorse agricole all’industria del tempo libero, dalla formazione specialistica all’istruzione universitaria. I benefici di lungo termine potranno certamente misurarsi nel contenimento dei processi migratori in atto, quando migliori condizioni di vita e di reddito, nonché una struttura di imprese sottostante più solida, tratterranno nei rispettivi paesi l’onda ancora molto lunga di migranti economici che potrebbe originarsi dall’Africa. Ma potrebbero estendersi anche in altri campi, altrettanto significativi, se al prossimo Consiglio Europeo di giugno la crisi migratoria sarà affrontata a 360 gradi, non guardando solo l’attrito momentaneo causato dalla vicenda della nave Aquarius, ma gestendo la sfida con riferimento al quadro normativo e alla revisione del Regolamento di Dublino, alle risorse da destinare all’accoglienza ed integrazione dei migranti e soprattutto alle misure di cooperazione economica-imprenditoriale con l’Africa in un ottica di lungo periodo

  1. E’ da tempo che predico che l’unica maniera per tentare di risolvere il gravissimo e annoso problema della immigrazione è quello di spingere ed incentivare lo sviluppo economico nel continente africano.
    Non penso di essere l’unico ispirato intellettualmente; credo che un’idea del genere dev’essere stata ampiamente considerata anche da altri.
    Purtroppo in Europoa (come in Italia) si continua a decidere…….di non decidere, perchè è più comodo, perchè c’è “altro a cui pensare”, perchè non si vogliono impiegare capitali al di fuori di casa propria, e per tanti altro motivi troppo òunghi da spiegare in questa sede.
    E si preferisce abbandonarsi a litigi e discussioni da cortile sulla pelle della povera gente (in gran parte donne e bambini).
    Forse se la strada da Te auspicata, fosse stata intrapresa prima. probabilmente, la piaga del terrorismo avrebbe trovato meno adepti.
    Speriamo che, finalmente, qualcuno “accenda il cervello” e cominci a ragionare in termini costruttivi. Smmpre che non sia troppo tardi, perchè gli indubbi affaristi criminali che stanno dietro il terrorismo, sicuramente, tenteranno di boicottare lo sviluppo ed il progresso economico di quel territorio

  2. Eccellente quadro d’insIene, ricco di spunti di riflessione.
    Purtroppo non tutti nell’UE – vedasi la Francia – sono ispirati a sentimenti comunitari.
    Speriamo non finisca male, giacché l’Italia non può continuare a subire l’indifferenza è la strafottenza UE.

  3. Lucida analisi del fenomeno con le sue implicazioni economiche.
    Soluzioni valide, ma temo in parte utopistiche, in considerazione degli egoismi nazionali in europa, soprattutto dell’est, e dell’instabilità politica dei paesi d’immigrazione.
    Comunque bene.

  4. L’ho trovato molto interessante e ricco di informazioni: una perfetta sintesi circa la situazione attuale e le opportunità da cogliere.

  5. Molto interessante il tuo studio sui problemi sull’immigrazione che al momento flagellano il ns. Paese !!
    In buona parte i Cinesi sono già proprietari dell’Africa da molto tempo e potrebbero trainare l’Europa ad investire e nel contempo far entrare i privati a sostegno degli investimenti europei !!
    Informami sempre quando presenterai nuovi studi
    Un caro abbraccio,
    J

  6. Caro Andrea,anzitutto ti ringrazio di avermi inviato questo articolo.E’ uno studio molto approfondito e competente quello che hai fatto sull’argomento e mi complimento veramente per le notizie e i dati che hai fornito e per le opinioni che hai espresso e che condivido tutte. Mi augurerei personalmente che una persona come te così competente in materia così come è noto lo sei anche in altre, venga chiamato dal nostro Governo per consulenze appropriate.
    Cari saluti e a presto

  7. Apprezzo e condivido.
    In particolare considero lo sviluppo di nuovi sistemi di telecomunicazioni ( banda larga )
    un investimento strategico con forti potenzialità di ritorni sia in termini economici che sociali.

  8. L’articolo rispecchia quanto sarebbe auspicabile realizzare nel medio-lungo termine se soltanto la Comunità Europea si decidesse ad adottare una politica meno miope basata sul preventivo e concreto sviluppo di un dibattito tra le nazioni che approdasse ad un Piano condiviso fatto da piccoli ma continui passi avanti.
    Articolo molto apprezzato.

  9. Interessante analisi del fenomeno migratorio. Speriamo che il nuovo Governo Italiano segua queste utili raccomandazioni di politica migratoria.

  10. E’ sempre più evidente come la disponibilità di infrastrutture , quelle fisiche, ma anche le scuole, le università , sarà determinante per un salto di qualità del Continente africano e quindi per una riduzione stabile dei flussi migratori. L’augurio e’ che si riescano a superare in ambito europeo tensioni e protagonismi nazionali per costruire veramente il Piano Marshall di cui questo articolo parla. E che l’Italia possa giocare un ruolo da protagonista.

  11. Interessante articolo che condivido per la visione d’insieme che delinea a livello macroeconomico generale le misure necessarie da intraprendere su un’ottica di lungo periodo.

    In base alle particolarità di ogni regione, considerando le differenze socio-culturali tra il Magreb, il West Africa (ECOWAS) il Central Africa (CEMAC) e l’Est-South Africa, ed andando ancor più in dettaglio, analizzando le differenze tra ogni singolo stato e quelle al suo interno, io definirei l’Africa come un Meltin Pot nel quale il colonialismo ha cercato di creare dei confini nazionali molte volte in maniera errata, unificando sotto una sola bandiera, o dividendoli in certi casi, aree rurali distanti qualche chilometro in linea d’aria ma con delle enormi differenze sia dal punto di vista linguistico che di usi e costumi.

    Partendo de questa situazione, e sulla base della mia esperienza decennale in West/Central Africa, durante il quale ho vissuto 6 anni in Cameroun, rispetto ai piani attuati finora, trovo la possibilità di uno sviluppo sostenibile utopico viste le condizioni attuali.

    Specificatamente in questa regione, da dove arrivano la maggior parte dei flussi migratori, solo chi ha vissuto lungo tempo in questi paesi sa che il processo di sviluppo prenderà molto più di qualche decennio, sempre che i poteri forti dei governi locali e le multinazionali lo vogliano attuare in maniera efficace, dato che da altre 60 anni mantengono l’Africa in scacco, ed in uno stato di sottosviluppo, per poter approfittare delle sue immense risorse soprattutto nei settori minerari e di estrazione degli idrocarburi.

    Lo scompenso tra sviluppo (energetico, infrastrutturale ed economico) ed incremento demografico è il grande algoritmo da risolvere.
    Basti solo prendere in considerazione lo sviluppo della domanda energetica aggregata in quest’area, che cresce intorno al 6% annuo, mentre il 65% della popolazione non ha accesso all’elettricità.
    Questo non è compensato da una crescita proporzionale della produzione di energia, visti i ritardi burocratici nei finanziamenti ed esecuzione dei grandi progetti di costruzione di nuove centrali elettriche e linee di trasmissione su lunghissime distanze.
    Il fenomeno dell’immigrazione interna ne è l’evidenza, con milioni di persone che abbandonando le zone rurali per ammassarsi ai bordi delle grandi megalopoli africane, senza nessun piano concreto per la sopravvivenza e vivendo abbandonati a loro stessi in quartieri ormai autogestiti, vista l’assenza totale del governo.
    Nel frattempo la classe media stenta ad emergere, a causa del gap tra i detentori della ricchezza (governi per lo più) e le fasce meno abbienti.

    Basti pensare che a Lagos in Nigeria, dovesi si stimano circa 16M di abitanti censiti, in realtà si dice che siano più del doppio.
    Li non c’è rete elettrica nazionale ed ogni utenza ha il suo generatore elettrico, è infatti nota caratteristica del posto il ronzio costante dei gruppi elettrogeni, anche in centro città…..

    Nel 2050 la popolazione nel continente si sarà raddoppiata, ci saranno 2,5 miliardi di africani sotto i 25 anni e se i governi non saranno in grado di soddisfare i fabbisogni primari con economie sostenibili, creando occupazione e sfruttando le risorse in loco, questi diventeranno una minaccia per loro stessi, causa di guerre interne, e per i continenti limitrofi.

    Quello a cui assistiamo oggi con l’immigrazione è solo la punta dell’iceberg.

    L’aspettativa di vita varia dai 45 ai 65 anni a seconda delle zone, quindi nessuno è pronto ad aspettare nel suo paese d’origine in quelle condizioni precarie, e l’unica via di fuga sarà il tentativo di migrare ad ogni costo.

    Potrebbero anche essere considerate risorse per il sistema locale, ma il tempo è troppo poco visti i ritardi che i piani di sviluppo strutturali stanno accumulando.

    La Cina è vero che ha investito tanto in Africa nelle infrastrutture, ma usando pochissima manodopera locale ed addirittura svuotando le sue carceri ormai stracolme, mandando ex galeotti con permessi di VISTO e voli charter approvati dai governi africani, a lavorare sui cantieri. Gli stessi criminali che poi prendendo la residenza si creano una seconda vita, senza subire restrizioni come nel loro paese natale.

    Usano l’Africa come nuova colonia, senza rispetto delle regole interazionali, alitando la corruzione. L’indebitamento generato negli stati africani porterà la Cina ad avere il controllo totale su buona parte di questi paesi e sulle loro politiche.

    In una visione un più catastrofica, sarà probabilmente il nuovo campo di battaglia per una guerra mondiale come mai si era vista prima tra oriente e occidente, per ristabilire le dinamiche del nuovo ordine mondiale con una riduzione massiccia della sovra popolazione.
    Gli stati occidentali devono unirsi e stipulare accordi “garantiti” con i governi locali, pena sanzioni, inviando commissari che dovranno lavorare con degli obbiettivi tangibili di lunghissimo periodo, seguendo una roadmap che dovrà esser monitorata da organi sovranazionali in maniera costante, iniziando dallo sviluppo delle zone rurali e dalla bonifica dei sobborghi nelle grandi megalopoli, e con un controllo delle nascite a livello capillare, che sarà la più grande sfida del XXI secolo.

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