Algeri: tutti i nodi del dopo Bouteflika
con il suo amico Chakib Khelil in pole

Da Reset-Dialogues on Civilizations

A meno di tre anni dalla naturale scadenza del quarto mandato presidenziale di Abdel Aziz Bouteflika, il nodo-successione si ingarbuglia man mano che si fanno avanti i possibili pretendenti. Tra essi, il ‘papabile’ Chakib Khelil, figura politica dalle complesse e controverse vicende di respiro internazionale.

La strada della successione presidenziale algerina sarà di certo lunga e tortuosa, a giudicare da quello che è solo l’inizio dell’iter.
Per il momento, risulta quanto meno sorprendente il ritorno sulla scena nazionale di un personaggio in bianco e nero come Chakib Khelil. Coetaneo (1939) e amico fraterno di Bouteflika, fuggito all’estero nel 2013 perché coinvolto in diversi scottanti scandali giudiziari, Khelil è rientrato in patria il 17 marzo sollevando un polverone, impastato di stupore e incredulità. Eppure, il suo lungo e complesso curriculum, se letto con attenzione, fa svaporare la sorpresa. Di più: cominciano a delinearsi giochi e mire internazionali sul grande Paese nordafricano.

La fragilità dell’ultimo Bouteflika

Abdel Aziz Bouteflika, 79 anni, confermato nel suo ruolo di presidente della Repubblica araba d’Algeria per il quarto mandato nell’aprile del 2014, alterna le cure specialistiche all’estero ai periodi di convalescenza in patria.

Riapparso in pubblico in occasione della celebrazione dell’Indipendenza dalla Francia, lo scorso 5 luglio, sulla sua ormai consueta sedia a rotelle, pallido e stanco a causa delle precarie condizioni di salute. Ma ancora lucido e presente nella gestione del Paese, stando almeno a quanto riferiscono a mo’ di mantra i mezzi di comunicazione mainstream, Bouteflika in realtà rappresenta la preoccupazione numero uno di avversari e sodali. I temi della sua successione, secondo un copione caro a tutti i sistemi fortemente personalizzati, e di un eventuale vuoto politico nazionale tolgono il sonno a molti. Così è iniziato il valzer delle candidature, anche solo a mezza bocca, degli ammiccamenti e delle smentite. Il tutto per tastare il terreno e verificare le reazioni dell’opinione pubblica, dei militari, del gruppo di potere cristallizzatosi intorno al presidente, dopo mesi di epurazioni eccellenti.

Chakib e i problemi con la legge

Secondo il procuratore generale Belkacem Zeghmaty (che nello scorso mese di settembre è stato poi “dimissionato”), Chakib Khelil, ex numero uno di Sonatrach (il colosso petrolifero statale) mentre era anche ministro dell’Energia e delle Risorse minerarie (dal 1999 al 2010), e la sua cerchia avrebbero lucrato in modo sistematico sui contratti di sfruttamento degli idrocarburi on-shore e off-shore concessi ai gruppi stranieri attivi in Algeria.
Corruzione, riciclaggio di denaro, abuso di potere e via dicendo sono i capi di imputazione formulati in più di un dossier aperto in Algeria e all’estero, cui la testata Jeune Afrique, in un articolo di Farid Ailat, ha dedicato un focus il 14 giugno scorso: in Italia, per esempio, il nome del potente Khelil e quello della moglie Najaf sono emersi nell’ambito delle indagini sulle tangenti Saipem. Sette contratti del valore di 8 miliardi di euro, un uomo d’affari franco-canadese che si dà da fare per Saipem alla corte di Khelil, cosiddette “commissioni” per 198 milioni di euro che finiscono per vie traverse a figure legate al futuro ministro.

Nel giugno di quest’anno poi il filone è raddoppiato, con un’indagine che passa attraverso l’acquisizione da parte di Saipem per conto di Eni della canadese First Calgary Petroleums, operazione resa possibile da una joint venture con Sonatrach in Algeria. Un altro caso di ipotetiche tangenti in cui compare il nome di Khelil e del braccio destro Farid Badjaoui (noto alle cronache algerine come “Monsieur 3%”).

Poi, ci sono i filoni Hyundai e Samsung, aziende sud-coreane che avrebbero ottenuto contratti con Sonatrach per 1,8 miliardi di euro, in cambio di bustarelle corpose sempre a vicinissimi del clan Khelil.
Eppure, a febbraio 2016, i procedimenti pendenti in Algeria sono venuti meno, “sospesi” – invece quelli all’estero nient’affatto… – e per il politico è risultato a quanto pare più conveniente tornare a casa.
Lui che, secondo rivelazioni di WikiLeaks, è stato definito nel 2010 da un ambasciatore americano esperto di Nord Africa il principale «responsabile della corruzione in Algeria».

Un profilo a stelle e strisce

Khelil si è sempre difeso mostrando il caso delle vicissitudini giudiziarie vissute dallo stesso Abdel Aziz Bouteflika negli anni in cui la sua stella non luccicava agli occhi dei generali. Certo, il suo profilo deve aver fatto alzare più di un sopracciglio agli uomini in divisa.

Ingegnere petrolifero formatosi presso gli atenei dell’Ohio, dottorato alla Texas A&M University, poi quadro all’interno di Sonatrach negli anni Settanta alla guida di un team di ingegneri specializzati, Khelil ha lavorato in Shell e altri colossi degli idrocarburi non ancora trentenne. E negli anni Ottanta l’ascesa nella Banca Mondiale di Washington come esperto sempre di risorse geologiche in Sud America, Asia e Africa.

Il rientro in Algeria è stato tutto politico, nel gabinetto di governo a fine anni ’90, come ministro appunto di Risorse minerarie ed Energia. E come numero uno di Sonatrach in contemporanea. Khelil ha sempre avuto dalla sua il bacino dell’area di Oujda, da cui vengono anche i Bouteflika: le due famiglie, ci raccontano le cronache, erano assai vicine (come anche quella dei Temmar, un altro nome da tenere presente nei prossimi mesi) e si stimavano.

A un certo punto, tuttavia, almeno secondo gli analisti dello scenario algerino, il suo strapotere non è più stato digerito dai militari algerini, vera eminenza grigia del Paese perché Khelil era considerato ormai troppo vicino ai petroldollari americani.

È questo percorso a far di lui anche oggi una figura poco amata sul piano nazionale: ci si chiede se il suo sbandierato back home sia legato all’avvicinarsi delle elezioni presidenziali americane e alle chances che il candidato repubblicano Donald Trump ha di centrare l’obiettivo. E se il lungo corso filo-petrolifero abbia reso Khelil il candidato alla presidenza algerina (fra meno di tre anni) appoggiato anche dal casato arabo dei Saud.

E adesso?

Khelil è ritornato negli States, dove risiedono moglie e figli con regolare permesso di soggiorno (ma immutate pendenze sul casellario giudiziario in quel di Algeri), ai primi di giugno. Senza annunci stampa né spiegazioni ufficiali. Eppure, da marzo in poi non aveva disdegnato di esporsi sui media, non nascondendo ambizioni politiche di altissimo livello.
Si è parlato anche in modo abbastanza scoperto di contatti avuti con i generali reduci della Guerra di indipendenza più autorevoli (per esempio con Amar Benaouda) e le confraternite religiose, le Zawiyah, più influenti.

Che cosa sia successo nel frattempo a cavallo del Mediterraneo, non è ancora dato sapere. È probabile che il clan Khelil, tuttavia, stia negoziando ai più alti livelli il rientro per tutti in Algeria…

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