Egitto, la rivoluzione incompleta

Una rivoluzione incompiuta, interrotta. Così viene descritta la rivoluzione egiziana dal Christian Science Monitor e da Foreign Policy, che pure a fine gennaio aveva pubblicato un articolo dove veniva ripensato il fenomeno politico dei Fratelli Musulmani e venivano presentati quelli che The Daily Beast, rilanciando questo pezzo, definiva “I cinque miti più ottusi sui Fratelli Musulmani”. Anche Thomas Friedman, sul New York Times, critica duramente la rivoluzione egiziana (“L’Egitto ha… una società civile molto debole, che è stata sottomessa per 50 anni, rinuncia a delle vere elezioni e, per questo è facilmente destinata a vedere la propria rivoluzione dirottata… dai Fratelli Musulmani”), ma ne riconosce la vera forza nei giovani, collegati tra di loro attraverso le nuove tecnologie. E che la rivoluzione è viva, vuole dimostrarlo il Foghorn – il giornale dell’Università di San Francisco – raccontando la storia di un ex chirurgo e del successo della sua opera satirica, in un articolo intitolato “La satira prova che la rivoluzione non ha fallito”.

Internet e potere
Di cosa dovremmo avere paura? E’ la domanda del 2013, per il sito The Edge che, come ogni anno, ha chiamato i più grandi studiosi americani – e non – a rispondere. “Il potere e Internet” è stata la risposta data da Bruce Schneier, esperto di sicurezza e tecnologia, che si definisce un vero e proprio “secutity guru”. “Internet ha cambiato il potere politico […] E Internet ha cambiato il potere sociale” scrive Schneier prima di mettere in guardia: “Adesso però gli interessi dei potenti stanno tentando di sfruttare deliberatamente questa influenza a proprio vantaggio”. Dalle aziende come Facebook e Google ai governi aumenta il controllo sui nostri dati. E, dall’altra parte, la Primavera Araba e i movimenti dal basso hanno trovato in Internet un terreno fertile, riuscendo a capovolgere gli ordini prestabiliti, proprio grazie alla Rete. Il binomio Internet e potere solleva una serie di interrogativi a cui nessuno sembra essere ancora in grado di rispondere. Per questo, suggerisce Schneier, dovremmo averne paura.
Ma il tema è al centro anche di un interessante dibattito ospitato da The New Republic. Evgeny Morozov recensisce “Future Perfect. The case for progress in a networked age” di Steven Johnson, criticandone la “semi-religione” dell’ “internet-centrismo” in un articolo intitolato “Perché i movimenti sociali dovrebbero ignorare Internet”. Johnson difende il suo lavoro sempre su The New Republic: “Capisco perché Morozov vuole vedere l’Internet-centrismo nella mia opera: dopotutto ha costruito la sua intera carriera a cercare di smantellare quel sistema di credenze”.

Miti, arte e storia (segreta): tutto sui droni
Sul Washington Post, Mark R. Jacobson – ex dell’ International Security Assistence Force della Nato in Afghanistan, smonta i “Cinque miti sui droni di Obama” mostrandosi quando più e quando meno a favore dei robot militari. Mentre è sicuramente in chiave anti-drone il progetto di uno studente di legge, che ha pubblicato su Chapaty Mistery la risposta architettonica ai droni. E’ Shura City, una città che è una specie di “scatola nera” – come la definisce il suo stesso ideatore – contro gli attacchi dei robot militari. Il progetto è rilanciato da Salon che lo ricollega a iniziative precedenti – come l’abbigliamento anti-drone di Adam Harvey o alle opere di James Bridle. Ma i droni hanno anche una loro “storia segreta” che viene raccontata dal Guardian. E chissà se anche i gatti-razzo documentati in illustrazioni del 1400, e rispolverate da The Atlantic, varranno come antenati dei droni.

Le elezioni in Italia
L’Italia al voto sceglierà tra l’austerità, la giustizia sociale o Don Giovanni? Così The Nation presenta Monti, Bersani e Berlusconi. Mentre, a due settimane dal voto, per il New York Times la campagna elettorale italiana è diventata uno spettacolo surreale, dove Berlusconi fa la parte del Jolly, rimanendo la “wild card” – la “matta”. American Insider e The Guardian osservano con attenzione il fenomeno Grillo, condividendo l’opinione che il Movimento 5 Stelle potrebbe avere sulla politica italiana l’effetto di una tempesta. E mentre Salon si mostra preoccupato da un possibile ritorno in auge del fascismo, l’idea della fragilità dello scenario politico italiano che potrebbe emergere dalle elezioni viene resa da un articolo del Wall Street Journal intitolato “Italian elections: Handle with care”.

Le dimissioni del Papa
I siti di informazione di tutto il mondo riportano la notizia della rinuncia di Benedetto XVI al suo pontificato. Qualcuno come il Wall Street Journal sceglie di trattare l’evento con una tradizionale photo gallery che ripercorre i quasi otto anni di papato del cardinale tedesco Ratzinger. Altri optano per una copertura più originale, come The Global Post che sceglie di dar voce alle reazione dei cristiani suddividendoli in base al proprio continente di origine. C’è poi chi si butta su commenti più impegnati. The New Republic si interroga sull’eredità lasciata dal Santo Padre in America: “Non è quella di un dottrinario conservatore”, scrive il sito che riconosce “una sfumature progressista” nel gesto di Papa Ratzinger. Per The Economist invece il papato di Benedetto XVI sarà ricordato per la propria passività: era stato presentato come “un Papa per la Chiesa piuttosto che per il mondo”, un Papa che avrebbe dovuto rimettere in riga il clero e che invece ha reagito lentamente agli scandali che lo hanno travolto – critica il settimanale inglese.
Infine c’è chi cerca di rispondere a interrogativi più pragmatici. Se vi domandate cosa farà Papa Ratzinger una volta dimesso, se riceverà una pensione o se avrà voce in capitolo nella scelta del suo successore, Slate promette di trovare una risposta a “tutte le vostre domande papali”. Mentre Salon si rivolge agli ex cattolici, dando modo a dieci di loro di pubblicare quella che è la loro “lista dei desideri per il nuovo Papa” in un articolo sottotitolato “C’è niente che vi riporterebbe alla Chiesa Cattolica?

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