Cuperlo si dimette. Guiderà la minoranza Pd?

La Repubblica: “Cuperlo lascia, si spacca il Pd. Renzi rilancia: le critiche si accettano. Letta accelera su lavoro e rimpasto. Il presidente dimissionario: non mi piego al pensiero unico, ma niente scissione. La riforma elettorale slitta a fine mese e rischia lo stop sulle preferenze”. A centro pagina: “No ai tagli sulle detrazioni. Pensioni, pronto il piano”. In prima anche un articolo sulla mafia: “Le minacce dal carcere. Ecco il video di Riina insiem al boss. ‘Le stragi del 1993 volute da Provenzano’”.

 

Il Corriere della Sera: “Rottura nel Pd, Cuperlo lascia”. “Renzi va avanti: volevo le preferenze, Berlusconi ha detto no”. “Il presidente del partito scrive una lettera: attacchi personali”. “Letta e il nodo del bis”.

 

La Stampa: “Cuperlo lascia, Renzi non cede. Il presidente: attacchi personali. Il segretario: le critiche si accettano. Veleni dopo la direzione Pd e via libera alla legge elettorale. Partitini in rivolta. Il sindaco ai suoi: senza riforme, voto”.

 

L’Unità: “Cuperlo lascia, Renzi raddoppia. Il presidente si dimette: allarmato da questa concezione del partito. Il segretario rincara: rispetta le critiche, potevo dirti ciao ciao dopo le primarie”. “’Letta ora non ha più alibi, è il momento di correre’”. A centro pagina la notizia dello studio di un “prestito d’onore” per chi lascia il lavoro e non ha ancora diritto alla pensione: “Un prestito prima di andare in pensione”.

 

Il Sole 24 Ore: “Detrazioni, stop ai tagli. Riforma con la ‘delega’. Il ministero dell’Economia archivia le decurtazioni previste dalla legge di stabilità. Dalla spending review i 500 milioni per la copertura”. Di spalla: “Pd, Cuperlo si dimette. Renzi avanti: riforme o legislatura a rischio”.

 

Il Giornale: “Porte aperte ai clandestini. Niente carcere per chi entra abusivamente in Italia, il reato scompare. Alfano si acoda al Pd e dà via libera, insorgono Lega e Forza Italia”. A centro pagina, con foto: “Cuperlo si dimette e Renzi vuole richiamare Veltroni”. Il titolo di apertura è però per una notizia dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, che ieri ha giudicato ammissibile un ricorso di un candidato escluso dalle liste elettorali in virtù della legge Severino sulla incandidabilità: “Assist della Corte europea. Per Berlusconi ricomincia la partita della decadenza”.

 

Il Fatto quotidiano: “Tutti i soldi ai politici, tutti i favori alle lobby”. “Nel 2013 partiti ed eletti hanno incassato 61 milioni di euro da singoli privati e aziende. Il più pagato è il tesoriere Ds Sposetti (262 mila euro), ma ce n’è anche per il detenuto Totò Cuffaro (220 mila da FI). Il Parlamento si sdebita con leggi ed emendamenti di favore ai gruppi di potere”.

 

Pd, legge elettorale

 

Il Presidente dell’Assemblea del Pd Gianni Cuperlo ieri ha rassegnato le dimissioni. L’Unità pubblica la sua lettera (titolo: “mi dimetto perché mi allarma questa idea di partito”.. “In direzione hai risposto a delle obiezioni politiche e di merito con un attacco di tipo personale. Ma così un partito non può funzionare”) e la risposta del segretario (“Caro Gianni, rispetto la scelta. ‘Continuo a pensare che un tuo impegno in prima persona avrebbe fatto bene alla nostra comunità. Ma le critiche si possono fare e si possono ricevere’”).

Nella sua lettera Cuperlo ricorda di aver espresso, nel suo intervento in direzione, “apprezzamento per l’accelerazione che hai impresso al confronto” e di aver “condiviso il traguardo di una riforma decisiva” come quella elettorale ed istituzionale. Dice di aver manifestato “alcuni dubbi – insisto, di merito”, sulla proposta di nuova legge elettorale. E rimprovera il segretario di aver risposto “a delle obiezioni politiche e di merito con un attacco di tipo personale”. Dice di non avere livore né “ansia di collocazione”, e che non si dimette per questo, né “per una battuta scivolata via o il gusto gratuito dell’offesa”. “Mi dimetto perché sono colpito e allarmato da una concezione del partito e del confronto al suo interno che non può piegare verso l’omologazione, di linguaggio e di pensiero”, perché “voglio bene al Pd” e perché “voglio avere la libertà di dire sempre quello che penso”.

Renzi risponde che l’altro ieri ha criticato “nel merito” l’intervento di Cuperlo in Direzione: “In un partito democratico le critiche si fanno, come hai fatto tu, ma si possono anche ricevere. Mi spiace che ti sia sentito offeso a livello personale”. Poco prima Renzi aveva sottolineato come il partito democratico sia “vivo, dinamico, plurale”, “un partito vero, non di plastica. Un partito dove si discute sul serio, non si fa finta. A viso aperto, e non nei chiacchiericci dei corrodoi. Guardandosi negli occhi, e non affidandosi alle agenzie di stampa”. Renzi ringrazia Cuperlo per il lavoro svolto nel suo ruolo di Presidente dell’Assemblea Pd, e dice: “Sono certo che insieme potremo fare ancora molto per il Pd e per il centrosinistra”. Quanto alla intesa raggiunta sulle riforme elettorali e istituzionali, Renzi sottolinea: “Si poteva fare meglio? Sì, certo. Ma fino ad ora non si era fatto neanche questo. E rimettere in discussione i punti dell’accordo senza il consenso degli altri rischia di far precipitare tutto. Sono certo che questo non sia il tuo obiettivo e che – pur con funzioni diverse – ripartiremo insieme”. Renzi conclude la lettera augurando buon lavoro a Cuperlo.

 

In prima pagina su La Repubblica si descrive “la voglia di farsi del male”, evidentemente in riferimento al Pd: “Le dimissioni di Gianni Cuperlo da presidente – si legge – aprono lo scenario di una possibile scissione nel Pd e confermano una legge meccanica della politica italiana. Tutte le volte che la sinistra rischia di sconfiggere Berlusconi nelle urne trova subito il modo di perdere”. Più avanti: “L’occasione o il pretesto della rottura e l’accordo sulla nuova legge elettorale”, “il compito storico per cui questo partito è nato è quello di sconfiggere Berlusconi con il voto e chiudere la stagione infelice della seconda Repubblica”, “se proprio adesso, a un passo dall’obiettivo fondante il Pd si spacca allora può significare solo una cosa: che il gruppo dirigente della sinistra è composto da politici mediocri, tanto egocentrici quanto incapaci, del tutto inadeguati a guidare una grande nazione”.

Un retroscena dallo stesso quotidiano porta questo titolo: “Gianni e la telefonata mai arrivata: ‘Bastava che Matteo mi chiamasse’”. Dove si legge che Cuperlo si sarebbe aspettato una presa di distanza pubblica da quei renziani che ne avevano chiesto le dimissioni ancora prima dello scontro frontale con il segretario. Ma il problema, sottolinea il quotidiano, è che le truppe degli anti-Renzi, dei contrari al patto sulla legge elettorale stretto con Forza Italia e Nuovo centrodestra, vanno organizzate e guidate, in Parlamento e nel Partito. In segreto, Massimo D’Alema ha fatto visita a Pierluigi Bersani, che nei mesi scorsi si sono salutati a stento per via del voto sul Presidente della Repubblica: l’obiettivo è difendere la storia della sinistra post-comunista, la strategia sarebbe quella di un raccordo con il Ncd e Scelta civica. Un esponente della minoranza dice: “Se fanno sul serio, contro le liste bloccate e sul premio di maggioranza, i voti per cambiare l’Italicum si trovano”. Tutti dicono che la scissione non sta né in cielo né in terra, a cominciare da Cuperlo, e il quotidiano intervista l’ex viceministro Fassina, che dice: “Così rischiamo una deriva plebiscitaria, non ce ne andremo ma serve rispetto”.

 

Su La Stampa: “Bindi: attento Matteo che in Commissione non hai i numeri. ‘Siamo maggioranza e se presenteremo gli emendamenti il segretario li dovrà accettare”. Dove si dà conto della prima riunione della Commissione Affari Costituzionali di Montecitorio, e della sua composizione (oltre a Bindi ne fa parte anche Bersani, ricorda il quotidiano).

“Ma in Commissione Renzi è minoranza” scrive anche Il Sole 24 Ore, ricordando che “Gianni Cuperlo batte Matteo Renzi tredici a otto” in Commissione Affari Costituzionali alla Camera, primo passaggio cruciale per la riforma elettorale. Il quotidiano ricorda che ieri, nella prima seduta dedicata al tema, dopo l’intervento “istituzionale” del franceschiniano Emanuele Fiano, hanno parlato Rosy Bindi, Andrea Giorgis e Giuseppe Lauricella, tutti esponenti della minoranza del partito.

Un retroscena del Corriere della Sera ricorda che Renzi non ha la maggioranza dei gruppi parlamentari né alla Camera né al Senato. “In quei due palazzi i rapporti di forza sono rovesciati. Il che rappresenta una insidia, come sa bene lo stesso segretario, che per questa ragione ha voluto incontrare ieri i deputati del Pd. Tocca a loro occuparsi della legge elettorale, adesso. Ma le prese di posizione di bersaniani e dalemiani sono tutt’altro che rassicuranti. Anche quella getta di minoranza che è disposta a confrontarsi con il segretario propone degli aggiustamenti alla revisione del Porcellum, concordata con Berlusconi. E siccome alla Camera c’è il voto segreto, il rischio è che passi qualche emendamento non gradito né al leader Pd né al gran capo di Forza Italia. Non quelli sulle preferenze, perché anche Alfano, nell’ultimo colloquio che hanno avuto, ha lasciato chiaramente intendere a Renzi che su quel fronte la sua sarà una battaglia di bandiera, su cui non spingerà l’acceleratore. No, il problema è un altro. E’ quello della soglia del 5 per cento per i partiti che si coalizzano. Troppo alta. Su questo punto più di un esponente del Pd spinge il sindaco di Firenze a trattare. Il rischio, infatti, è che, come dice un renziano della seconda ora, il Parlamento si trasformi in un ‘Vietnam per il segretario’”. Insomma, il rischio per Renzi è di “impantanarsi” nel Parlamento.

 

Sulla prima pagina de Il Corriere Antonio Polito descrive “il paradosso dei Democratici”: “Una ‘profonda sintonia’ con Berlusconi sulle riforme e una profonda incompatibilità con la minoranza del suo partito. Il paradosso di Renzi è tutto qua: oggi il vero nemico ce l’ha in casa”. Scrive Polito che con Renzi sarà sempre un “prendere o lasciare”, mentre “dalemiani e bersaniani sono abituati a comandare fin dalla notte dei tempi e non sanno stare in minoranza”. Ma la minoranza nel partito è “vaso di coccio”: ridotta numericamente in direzione, divisa al suo interno tanto da non essere riuscita a produrre un voto contrario alla relazione del Segretario, senza leader. E la vera ragione per cui Cuperlo si è dimesso da presidente è proprio per fare il portavoce della sua area. Ma anche perché prima conseguenza della legge elettorale in gestazione è spazzar via il potere di veto delle minoranze interne ai partiti. L’unica arma rimasta in mano a dalemiani e bersaniani sono i gruppi parlamentari. Quanto alle obiezioni sollevate, la riscoperta delle preferenze “suona davvero curiosa” da parte di una sinistra che venti anni fa le condannava come il male assoluto. Polito sottolinea che Renzi non dovrebbe provocare la minoranza spingendola su una deriva di risentimento e frustrazione: in fin dei conti Cuperlo aveva sollevato problemi reali, come quello delle liste bloccate e della soglia fissata per il premio di maggioranza. Del resto, ricordare a Cuperlo che è stato eletto in Parlamento senza passare dalle primarie non è un argomento sufficiente a zittirlo, poiché nella sua condizione ci sono numerosissimi parlamentari, “molti dei quali renziani della prima ora”.

 

Su Il Giornale: “Cuperlo sbatte la porta, ma Matteo pensa già a richiamare Veltroni”. Secondo il quotidiano Renzi ha aperto uno spiraglio di trattativa con i piccoli partiti: “Se Alfano convince Berlusconi a modificare le soglie di sbarramento (fissate al 5 per cento, ndr), le cambiamo”. Lo stesso Alfano ha replicato con un accorato appello a Renzi e Berlusconi per infilare nella legge le preferenze. Il segretario Pd ha spiegato che lui le avrebbe inserite nella legge elettorale, ma che Berlusconi si è opposto: “Su questo punto abbiamo ceduto, sennò saltava tutto”, ha detto Renzi.

 

Berlusconi

 

La Repubblica scrive che arriva dalla Corte euroepa per i diritti umani una notizia che piace a Berlusconi e a tutti i detrattori del decreto Severino, secondo il quale è incandidabile chi è stato condannato a più di due anni di pena. Il decreto ha determinato la decadenza da senatore del Cavaliere il 27 novembre scorso. L’ex premier e il suo team legale hanno sempre detto che la Severino non poteva essere utilizzata in modo retroattivo, cioè per reati precedenti alla sua applicazione, mentre la condanna di Berlusconi per Mediaset è del 1 agosto 2013.

Adesso, proprio da Strasburgo, arriva una prima pronuncia di ammissibilità per un ricorso identico, quello di Marcello Miniscalco, segretario regionale del Psi del Molise escluso dalle elezioni del 2013 a seguito di una condanna per abuso d’ufficio di 13 anni prima.

Strasburgo ha ammesso il suo ricorso: nessuna decisione nel merito, solo la notifica che tratterà il caso e che non ha considerato irricevibile il ricorso.

Su Il Giornale: “La decadenza sbarca in Europa. Berlusconi riapre la partita”. Dove si legge. “E’ un mancato candidato del centrosinistra ad aprire a Silvio Berlusconi le porte di Strasburgo”, in riferimento a Marcello Miniscalco e al suo ricorso, presentato dopo la sua esclusione dalle liste elettorali regionali in Molise, a febbraio scorso. Per il quotidiano si tratta di uno “schiaffo per i buttafuori frettolosi del Cav” (“Da Epifani a Mauro, vacillano i forcaioli che hanno fatto applicare subito il decreto”).

 

Immigrazione

 

E’ stato approvato dal Senato un emendamento all’interno del disegno di legge sulla messa alla prova che riguarda l’immigrazione: “l’immigrazione clandestina resta reato solo se è recidiva”, titola Il Sole 24 Ore. Viene meno quindi il profilo penale previsto in caso di ingresso illegale: resta un illecito amministrativo. Fanno eccezione i casi di recidiva. E’ questo il compromesso su cui il sottosegretario alla giustizia Ferri ha trovato l’accordo di maggioranza, superando divisioni all’interno della compagine. La Lega ha sbandierato in Aula mega striscioni con scritte come “clandestinità è reato”, ma il centrodestra nel complesso ha preferito astenersi. Se fosse passato il testo che era stato licenziato dalla Commissione ad ottobre, la depenalizzazione sarebbe stata più estesa, con il rischio di una spaccatura nella maggioranza. Il ministro dell’integrazione Cécile Kyenge sottolinea il fatto che sia stato trasformato in illecito amministrativo e lo considera un passo in avanti che ci avvicina all’Europa.

Su Il Giornale: “Il golpe del governo sull’immigrazione: clandestini legalizzati. Blitz nel ddl svuota carceri, entrare in Italia abusivamente non è più reato. Il sì al Senato da Pd e Nuovo centrodestra, indebolita la Bossi-Fini, insorgono Lega e Forza Italia”.

Spiega La Stampa che con il voto del Senato ieri si profila una rivoluzione nell’uso del carcere poiché la pena detentiva diventerà l’extrema ratio. La riforma rischia di essere oscurata dalla questione depenalizzazione del reato di immigrazione clandestina.

Su La Repubblica ampio spazio per la relazione tenuta ieri alla Camera dal Ministro della giustizia Cancellieri: “Nove milioni di processi pendenti: Cancellieri, siamo all’emergenza. ‘Con l’indulto risposta all’Europa’”. La relazione tecnica contava 400 pagine e, scrive il quotidiano, non nasconde le “rogne” della giustizia, come i 2064 ricorsi per la legge Pinto, che indennizza i cittadini per la giustizia lenta, e che nel solo 2013 sono costati 387 milioni di Euro. A quelli pendenti si aggiungono anche altre 1000 petizioni alla Corte dei diritti umani di Strasburgo, per i ritardi con cui vengono pagati gli indennizzi per processi chiusi in ritardo. Per uscirne, la Cancellieri è tornata a riproporre, in sintonia con quanto fatto anche dal Presidente Napolitano, la possibilità di una misura di amnistia e indulto. “Resta al Parlamento la responsabilità di scegliere se ricorrere a questi strumenti straordinari che ci consentirebbero di rispondere in tempi certi e celeri alle sollecitazioni del Consiglio d’Europa”. Nulla di nuovo, scrive La Repubblica, se non il fatto che il ministro ha aggiunto, per tranquillizzare i detrattori di provvedimenti di clemenza (fra i quali si annovera il Pd di Renzi, che con la responsabile giustizia Alessia Morani lo ha detto espressamente) che amnistia e indulto “non produrrebbero effetti di breve periodo, come in passato, in quanto si sono adottate e si stanno adottando misure per contenere i nuovi ingressi in carcere”.

Ma per la loro approvazione serve il voto dei due terzi dei parlamentari, che il quotidiano considera “un miraggio”.

Se ne occupa ampiamente anche Il Sole 24 Ore: “Cancellieri: indulto risposta all’Europa”, “’Quasi 9 milioni i processi pendenti, i ricorsi sui ritardi costano 387 milioni”.

 

Governo, detrazioni

 

“’Prestito’ per andare in pensione prima”: cosi’ L’Unità spiega nei titoli la proposta lanciata dal ministro del Lavoro Enrico Giovannini. Si renderebbe possibile ridurre l’età pensionabile rispetto a quanto previsto dalla Legge Fornero (che aveva provocato anche il caso ‘esodati’, di cui si vuole impedire una riproposizione), ma solo su base volontaria. E a condizione che a pagarne i costi siano “i tre soggetti coinvolti, cioè lavoratori, imprese e Stato -ha detto il ministro- Stiamo valutando come avere uno strumento flessibile”. L’obiettivo evidente, per L’Unità, è quello di andare incontro alle esigenze di riduzione del personale delle imprese medio-piccole, le più penalizzate dal peridio di crisi, consentendo ai dipendenti di andare in pensione prima dei tempi previsti.

Su La Stampa: “Giovannini rilancia sulle pensioni”, “Il ministro torna sul piano: uscita in anticipo grazie a un prestito Inps. Ma dovranno partecipare anche le aziende”. Il quotidiano spiega che il programma sarà basato su un “prestito d’onore” rimpolpato dal datore di lavoro e forse anche dallo Stato, in cui il lavoratore che rispetterà certi requisiti anagrafici potrà andare in pensione prima di raggiungere i più rigidi criteri della legge Fornero.

Il governo, come spiega Il Sole 24 Ore, ha deciso di non ridurre le detrazioni Irpef che sarebbero dovute scattare a fine mese. I 500 milioni necessari per la copertura dovranno arrivare dalla spending review. Quindi l’obiettivo di recuperare entro fine gennaio 488,4 milioni di euro non passerà più per un aumento della pressione fiscale generato dal taglio della pressione fiscale sui contribuenti. La riduzione delle agevolazioni fiscali verrà effettuata in sede di attuazione della riforma del fisco (delega fiscale) attualmente in approvazione in Parlamento. Il governo procederà quindi alla abrogazione del comma 576 della legge di stabilità 2014, che prevedeva il taglio alle detrazioni. Secondo il sottosegretario Baretta la decisione del governo “è il primo segnale di un definitivo orientamento verso la politica dei tagli anziché la politica delle tasse”. Un riordino delle detrazioni, ha detto Baretta, è necessario, “ma il governo lo farà con calma e serenità in Parlamento, all’interno della delega fiscale, evitando i tagli lineari”.

Su Il Giornale: “Saccomanni si arrende: salve le detrazioni fiscali”. Per il quotidiano è una nuova tegola per il commissario alla spending review Carlo Cottarelli.

Quanto alla spending review, secondo Il Sole si partirà con una stretta su auto blu e consulenze nella Pubblica amministrazione.

Il commissario alla spending review Carlo Cottarelli ha preannunciato per fine febbraio-inizio marzo alcune proposte riguardanti la “potatura” delle società partecipate: “In Italia – ha detto – ci sono oltre 7000 società partecipate. E’ una situazione anomala nel contesto internazionale”.

 

Fmi, Europa

 

La Stampa si occupa del rapporto sull’occupazione e lo sviluppo sociale in Europa messo a punto dalla Commissione europea. In riferimento all’Italia, il quotidiano scrive che in 496 pagine si fatica a trovare una buona notizia, perché il nostro Paese viene descritto come quello che si trova nelle condizioni peggiori nel continente. In Italia, dice il Commissario Ue per il welfare Andor, “non cresce solo la disoccupazione ma anche la povertà”. Il tasso di inattività è oltre il 35 per cento, in aumento nel 2012 sul 2007. Il 12 per cento di chi ha un lavoro non riesce a vivere con quanto guadagna. Il rischio povertà riguarda il 9,3 per cento degli impiegati. Soprattutto, siamo un Paese da incubo per chi perde il lavoro: una volta fuori si ha appena il 14-15 per cento di possibilità di rientrare, e si tratta del dato più basso della Ue. Il rapporto scrive che “in Italia la spesa per la protezione sociale è relativamente più bassa alle voci ‘famiglia’ ed ‘esclusione sociale’, e in una certa misura su sanità, rispetto a quella per le pensioni”.

Sul Corriere delal Sera, ma alle pagine dell’economia: “Il Fondo Monetario: l’Italia crescerà meno”, “il FMI rivede le previsioni sul Pil, crescita allo 0,6 per cento, per l’Europa c’è un rischio deflazione”.

Su Il Fatto: “Pil, il Fondo Monetario stronca Saccomanni”. Su Il Sole 24 Ore: “Fmi: ripresa globale fragile”, “secondo il Fondo la Bce deve valutare misure addizionali tra cui l’offerta di liquidità”. E a centro pagina un articolo fa sapere che “è la Gran Bretagna il campione della crescita economica europea”.

 

Internazionale

 

Occupandosi della conferenza di pace “Ginevra 2”, Fausto Biloslavo su Il Giornale: “Milizie cristiane in campo in Siria, volontari anche dall’Europa per combattere contro i fanatici dell’Islam e i governativi di Assad”. Scrive Biloslavo: “Una croce tatuata sul braccio e kalashnikov a tracolla sono il simbolo dei cristiani che in Siria si difendono, armi in pugno”. “Da una parte e dall’altra della guerra civile hanno un nemico comune: gli estremisti islamici ispirati da Al Qaeda che vogliono far nascere un califfato e cancellare la presenza millenaria di Cristo”. Il giornalista spiega che lo scorso anno, in una provincia nord orientale siriana, è nato il Sutoro, milizia che prende il nome da una antica preghiera in aramaico. Per quel che riguarda l’Europa, una ventina di giovani con passaporto tedesco, svizzero o svedese, di origini cristiane siriache, è partita per Damasco.

Secondo Biloslavo i cristiani in armi avrebbero voluto partecipare a Ginevra 2 “ma l’Onu ha fatto orecchie da mercante”.

Si apre oggi nella città svizzera di Montreaux la conferenza di pace nota come Ginevra 2. E’ stato ritirato in extremis l’invito all’Iran lanciato dal segretario generale Onu Ban Ki Moon. Secondo La Stampa il mancato arrivo dell’Iran cela lo scontro in atto a Teheran tra il ministro degli esteri Zarif (braccio destro del presidente Rohani) e l’establishment militare. L’Iran avrebbe potuto partecipare se avesse rinunciato alla difesa ad oltranza del presidente siriano Assad, aprendo ad un governo di transizione: quando Velayati, consigliere del leader supremo Khamenei, ha impedito al ministro degli esteri iraniano di accettare le condizioni Onu, è stato l’apparato militare ad imporsi. Venti deputati del Parlamento iraniano avevano chiesto al Presidente Rohani di “rivedere la nomina di Zarif a ministro”, già ai tempi del negoziato sul nucleare iraniano, considerato un cedimento all’Occidente.

Il vertice di Montreaux si apre peraltro in concomitanza con la diffusione di 11 mila foto che attesterebbero i crimini del regime di Assad, attraverso immagini dell’orrore sulle torture e gli abusi inflitti ai prigionieri.

La Repubblica intervista Vali Nasr, consulente del Dipartimento di Stato Usa e autore di “La rivincita sciita”. Dice: “E’ inevitabile che l’Iran abbia una parte a Ginevra. Magari all’inizio sarà poco visibile ma, più prima che poi, il ruolo diventerà ufficiale. Se si vuole risolvere la crisi siriana si deve accettare che il ruolo dell’Iran è determinante, superiore persino a quello di Mosca”. Spiega ancora Nasr: “Senza l’Iran, il presidente siriano Assad non sarebbe più al potere”. “Se non fosse per i finanziamenti in arrivo da Teheran, per il contributo alle forze di combattimento sul campo, per il supporto logistico, il regime non avrebbe retto”. Teheran “è il motivo per il quale Assad è sopravvissuto”. Per questo a Ginevra non può esserci accordo “in sua assenza”. Del resto, la pace deve essere trattata tra rivali: al tavolo devono sedere il governo siriano, con i suoi sostenitori, e l’opposizione, con i propri”. Cosa si aspetta dalla Conferenza? “Un risultato modesto. Il meglio che ci si possa aspettare è che si arrivi a un consenso internazionale riguardo a un cessate il fuoco. Ma si illude chi spera in un governo di transizione in Siria”. Perché tanto pessimismo? “Le rigiro la domanda: perché Assad dovrebbe cedere il potere? Sta vincendo sul terreno, è saldo in sella al potere”. E poi, chiede Nasr, “a chi passerebbe il governo del Paese?”, visto che “manca platealmente un interlocutore: l’opposizione che si presenta al tavolo è un’armata Brancaleone; non rappresenta nemmeno le formazioni armate sul campo, e tanto meno il popolo siriano”.

 

 

 

 

 

 

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