Bergoglio: “profondità pastorale sui divorziati”

Oggi Il Corriere della Sera apre con una intervista a Bergoglio, firmata dal direttore de Bortoli: “Vi racconto il mio primo anno da Papa”. A centro pagina un grande titolo sulla politica: “Italicum, Renzi trova l’accordo. Riforma elettorale solo alla Camera. Berlusconi accetta”. Sotto, “la linea dura di Putin sull’Ucraina: ‘l’invasione? Non la escludiamo’”.

 

La Repubblica: “Ucraina, la sfida di Putin al mondo, ‘Pronti alla forza’. Gli Usa: vuole l’invasione. Mosca testa supermissile”.

In apertura a sinistra: “Accordo fatto sull’Italicum, vale solo per la Camera. Berlusconi: deluso da Renzi”.

 

La Stampa: “Il nuovo patto per le riforme”, “Italicum solo per la Camera. Renzi: approvazione entro venerdì”.

A centro pagina una grande foto dedicata a Singapore, la città “più cara al mondo”: “ma il mito vacilla”, scrive il quotidiano. “La classe media fatica e gli immigrati fanno la fame. Razzismo e sfruttamento mettono in crisi il modello”.

 

Il Fatto: “Accordo Renzi-Alfano-B. Vietato votare”. In taglio basso: “Il Pd salva ancora Verdini: non o rinvio sul caso P3”, “Palazzo Madama non autorizza l’uso dei nastri, anche per Dell’Utri e Cosentino”.

 

Il Giornale: “È solo un Renzino”. “Legge elettorale, rivoluzione a metà. Si cambia soltanto alla Camera”. “Il patto Forza Italia-Pd riapre comunque la possibilità di votare subito”. E poi: “Accanimento continuo, a Berlusconi vietato il vertice PPE”.

 

L’Unità: “Italicum, Camera singola”. “La riforma in Aula dopo l’intesa con Berlusconi. Non si applica al Senato. Renzi: importante passo avanti, si chiude presto. Intervista a Cuperlo: direzione giusta”. E poi: “Congresso Ppe, no all’espatrio del Cav”.

Sull’Ucraina: “Putin ferma le truppe ma testa un missile”.

 

Il Sole 24 Ore: “Borse in rally, tassi ai minimi”. “I mercati rimbalzano dopo i primi segnali di distensione tra Russia e Ucraina”. Di spalla: “Intesa sulla riforma elettorale: vale solo per la Camera”. “Il bizzarro compromesso” è il titolo del commento di Stefano Folli.

 

Papa

 

Nell’ intervista a Ferruccio de Bortoli, Papa Francesco parla di famiglia e temi bioetici: “È alla luce della riflessione profonda che si potranno affrontare seriamente le situazioni particolari, anche quelle dei divorziati, con profondità pastorale”. E poi: “I giovani si sposano poco. Vi sono molte famiglie separate nelle quali il progetto di vita comune è fallito. I figli soffrono molto. Noi dobbiamo dare una risposta. Ma per questo bisogna riflettere molto in profondità. È quello che il Concistoro e il Sinodo stanno facendo”. Sulle unioni civili: “Si tratta di patti di convivenza di varia natura, di cui non saprei elencare le diverse forme. Bisogna vedere i diversi casi e valutarli nella loro varietà”. Sulla bioetica: “La dottrina tradizionale della Chiesa dice che nessuno è obbligato a usare mezzi straordinari quando si sa che è in una fase terminale”. “Nella mia pastorale, in questi casi ho sempre consigliato le cure palliative. In casi più specifici è bene ricorrere, se necessario, al consiglio degli specialisti”.

Ratzinger: “Non è una statua in un museo. È una istituzione. Non eravamo abituati. Sessanta o settant’anni fa, il vescovo emerito non esisteva. Venne dopo il Concilio. Oggi è un’istituzione. La stessa cosa deve accadere per il Papa emerito”. Sul suo modo di essere Papa: “Mi piace stare tra la gente, insieme a chi soffre, andare nelle parrocchie. Non mi piacciono le interpretazioni ideologiche, una certa mitologia di papa Francesco. Quando si dice per esempio che esce di notte dal Vaticano per andare a dar da mangiare ai barboni in via Ottaviano. Non mi è mai venuto in mente. Sigmund Freud diceva, se non sbaglio, che in ogni idealizzazione c’è un’aggressione”.

 

Legge elettorale

 

La Repubblica spiega così quanto accaduto sull’Italicum: “L’accordo viene siglato per telefono tra il premier Renzi, che si trova a Tunisi, e Silvio Berlusconi. Fa uscire l’Italicum dalle sabbie mobili dei veti incrociati: soddisfa la minoranza Pd e soprattutto accontenta Angelino Alfano, che non vuole accelerare verso il voto. Ma per fare bingo politico, il compromesso raggiunto prevede che la nuova legge elettorale valga solo per la Camera. Il Senato tanto verrà abolito”. Se però si dovesse nel frattempo andare a votare, “per Palazzo Madama varrebbe la legge elettorale così com’è stata ritoccata dalla Consulta”. Nella pagina di fianco, un “retroscena”: “Matteo si gioca tutto al telefono con Silvio, ‘Potevano saltare governo e riforme’. E scansa la trappola dell’entrata in vigore posticipata”. Claudio Tito, nella sua analisi, scrive che per Renzi si tratta di una scommessa e di una strada obbligata che “prevede due soli esiti: il successo con l’abolizione del Senato o il fallimento”. Senza dubbio l’intesa raggiunta presenta “aspetti di indeterminatezza e di confusione costituzionale consistenti: si cambia il sistema per l’elezione dei deputati con l’introduzione del ballottaggio sul secondo turno. Ci sarà, insomma, un vincitore certo”. Ma allo stesso tempo si lascia inalterata la legge elettorale del Senato: resta quella modificata a dicembre scorso dalla Corte costituzionale, ovvero una proporzionale pura corretta solo dalla soglia di sbarramento. I vantaggi della prima legge sono totalmente neutralizzati dalla seconda. Due sistemi chiaramente incompatibili. E che possono trovare una composizione solo ad una condizione: se si cancella l’aula di Palazzo Madama”. Sull’accordo raggiunto il quotidiano interpella il giurista Massimo Luciani, che dice: “L’Italicum funziona solo se si riforma il Senato”. Esprime dubbi Pippo Civati, uno dei leader della minoranza Pd: “Questo è un pasticcio doppio, va contro la sentenza della Consulta”, “non si è mai visto un sistema politico bicamerale con due leggi diverse per ognuna delle due Camere”. Secondo Civati, l’accordo non risponde alle obiezioni della Consulta su rappresentatività e governabilità.

Il Fatto: “Il Caimano: così salvo Matteo”, “Sì al super-Porcellum solo per la Camera, Berlusconi alla fine cede al fiorentino: ‘per aiutarlo, perché non tiene i suoi’. Ma per il falchi ‘sta facendo il furbo con tutti’”. Il quotidiano raccoglie a Montecitorio lo sfogo di un “falco berlusconiano” che appare “nemmeno tanto abbacchiato”: “di questo passo voteremo nel 2019”. Perché per Il Fatto questa battuta chiarisce “il senso di tutta questa operazione dell’Italicum dimezzato”: che è uno solo, ovvero “portare legislatura e governicchio Renzi alla scadenza naturale del 2018”. Una riflessione di Marco Palombi sottolinea lo stesso concetto: “l’inghippo” sta nel fatto che il Parlamento, Palazzo Madama compreso, “si apprestano a votare una legge elettorale che si basa sul presupposto falso che il Senato non esiste più”. “Teoricamente”, per andare a votare “si dovrebbe adottare l’Italicum (maggioritario) alla Camera e il Consultellum (proporzionale) al Senato”. Ma, per l’appunto, solo teoricamente, perché “nessun Presidente della Repubblica consentirebbe di andare a votare in una situazione del genere, ovvero nell’impossibilità programmatica di formare una maggioranza”.

Su La Stampa: “Renzi rassicura sul Senato: ‘Tranquilli, verrà abolito’”, “Da Tunisi: ‘Che abbia o meno una sua legge elettorale è secondario’”. Sulla stessa pagina: “I mille dubbi nel Pd. Anche Giachetti e Gentiloni scettici”, “Il deputato che fece il digiuno: riforma solo a Montecitorio non ha senso”.

 

Sul Corriere, l’editoriale è firmato da Antonio Polito, che scrive che “il compromesso trovato ieri ha una sua logica”, e che “avremmo fatto ridere il mondo con una riforma elettorale inapplicabile per il Senato”, come ha detto ieri il senatore Quagliarello. “Però la soluzione escogitata non suscita minore ilarità: una riforma applicabile solo alla Camera. Il che vuol dire che se per caso o per scelta il Parlamento non eliminerà del tutto il Senato elettivo, alle prossime votazioni avremo un sistema che dà certamente una maggioranza a Montecitorio e altrettanto certamente non la dà a Palazzo Madama. Provate a spiegarlo a un marziano, o anche a un tedesco. Se si aggiungono le tre soglie diverse, un premio di soli sei seggi e la deroga alla Lega, si apprezza fino in fondo l’’esprit florentin’ della riforma che sta nascendo”. Insomma: “come tutte le soluzioni a metà anche quella trovata ieri contiene una buona opportunità ma anche un immenso rischio. Garantisce al Parlamento il tempo necessario, gliene servirà più di un anno, per cambiare la Costituzione. Ma il fallimento, o la dilazione alle calende greche, stavolta ci precipiterebbe in una situazione perfino peggiore di un pessimo passato”. Anche perché la riforma del Senato non c’è ancora neppure in bozza, dice il commentatore del Corriere.

Sul Sole 24 Ore Stefano Folli ricorda che “non è la prima volta che Berlusconi si diverte a cambiare le carte in tavola in modo imprevisto (soprattutto dai suoi collaboratori)”, e così è successo ieri, dopo che Giovanni Toti aveva minacciato ritorsioni se fosse cambiato qualcosa nella legge elettorale. E tuttavia “sulla riforma elettorale, al punto a cui eravamo arrivati, la mediazione era quasi impossibile. Delle due, l’una. O si approvava subito il nuovo testo iper-maggioritario sganciato dalle riforme istituzionali; e in quel caso il premier non sarebbe stato in grado di tenere in piedi la sua maggioranza. Lo sbocco? Probabile voto anticipato e collasso dell’investimento sul presidente del Consiglio “amico”. Seconda ipotesi: si accettava il legame fra legge elettorale e revisione costituzionale del Senato, regalando ai centristi “traditori” un successo e allungando di parecchio la vita della legislatura. L’unico che poteva salvare Renzi, sottraendolo in parte alla trappola in cui si era cacciato per aver giocato su due tavoli, era Berlusconi. E Berlusconi si è mosso”. Ora però la riforma del Senato sarà affidata ad un Parlamento dove “i conservatori, si sa, sono molto numerosi”, conclude Folli.

Per tornare al Corriere, un retroscena firmato da Francesco Verderamo scrive della “fine” del “patto del Nazareno” tra Berlusconi e Renzi, e che ora la sfida è tra Renzi e Alfano. “L’anno delle elezioni sarà anche l’anno del referendum sulle riforme. Così entreremo nella Terza Repubblica” avrebbe detto Alfano, non indicando date per il voto. Berlusconi – scrive Verderami, citando un dirigente azzurro – “sa di esser stato usato per buttare giù il governo Letta”, e che Renzi, una volta arrivato al governo, ha prima pensato ad allargare la maggioranza, progetto che era lo stesso di Letta. Quanto a Berlusconi, ha appoggiato l’accordo di ieri perché “non poteva rompere” sul tema, condannandosi all’isolamento. Al Cav il rapporto con il premier “può venire ancora utile”, anche se non mancano i forzisti (come Ghedini) che gli ricordano che Renzi si sta “comportando al pari di Monti o di Letta: ‘tutti prima a prometterti qualcosa, Silvio. Tutti, dopo, a non concederti nulla’”.

 

Anche su Il Sole 24 Ore si legge: “Berlusconi così evita l’isolamento. I sondaggi confermano che l’atteggiamento dialogante paga”.

Il Giornale: “Il Cavaliere: troppi ritardi. Ma tiene a galla il premier. Il leader di Forza Italia è amareggiato, ma decide di togliere le castagne dal fuoco a Renzi sull’Italicum. E rassicura il partito”.

 

Economia

 

Un nuovo monito è arrivato dall’Unione Europea nei confronti dell’Italia, sul tema dei pagamenti dei crediti alle imprese da parte della Pubblica Amministrazione. Ne scrive Il Corriere della Sera: “Pagamenti alle imprese. L’Europa non fa sconti”, “conto alla rovescia. Il 10 marzo scadrà il termine entro cui lo Stato italiano dovrà giustificare alla Commissione europea i 70-80 miliardi, c’è chi spinge fino a 90, di debiti pregressi mai pagati alle sue imprese private. Bruxelles attende una lettera di spiegazioni”. Il quotidiano ricorda che del tema ha parlato Renzi nei suoi interventi parlamentari, e che sono in corso contatti tra il governo – con il ministro Padoan – e la Cassa Depositi e Prestiti, ma che “si esclude che si giunga ad accelerazioni nel Consiglio dei ministri” previsto per venerdì prossimo”. E intanto alcune agenzie di rating – come Fitch – fanno sapere che il piano di Renzi potrebbe intaccare il rating della Cassa Depositi e Prestiti, anche se la Cdp non avrebbe accolto con “particolare preoccupazione” queste voci.

Sul Sole 24 Ore: “Innovazione Ue, Italia indietro”. La Commissione ieri ha pubblicato un rapporto sulla “capacità di innovare” nei Paesi dell’Unione, e il nostro Paese si colloca nel terzo blocco (“innovatori moderati”) su quattro, insieme a Grecia e Ungheria. I Paesi leader del primo gruppo sono Finlandia e Germania, quelli del secondo gruppo Austria e Francia.

 

Su Il Giornale si parla di Fiat, per le dichiarazioni fatte dall’Amministratore delegato Marchionne al salone dell’auto di Ginevra. “La Fiat americana ‘snobba’ Renzi. Marchionne: ‘Noi sempre governativi, ma il jobs act non ci influenza e il taglio del cuneo fiscale è un atto dovuto’”.

Anche sul Corriere si citano le parole di Marchionne: “La Fiat non ha mai lasciato l’Italia, ci stiamo muovendo internazionalmente, è il contesto che è cambiato”. Sull’Italia, “la riduzione del cuneo fiscale è dovuta anche per incoraggiare il Paese. Per il resto i nostri accordi con sindacati ci permettono di portare avanti le nostre scelte”. E, sul jobs act, “non ci influenza”, anche se Marchionne precisa di non voler “minimizzare quello che il premier sta facendo, credo bisogna appoggiarlo”.

“Il manager italocanadese ha spiegato che ‘il piano industriale di Fiat e Chrysler sarà presentato il 6 maggio a Detroit”.

 

Ucraina

 

Il Corriere della Sera scrive che ieri Vladimir Putin ha “toccato il picco di ambiguità”, perché “in mattinata annunciava di aver ordinato ai 90 Mig e agli 880 carri armati mobilitati ai confini con l’Ucraina di tornare nelle basi entro il 7 di marzo, interrompendo l’esercitazione straordinaria iniziata il 26 febbraio, mentre in serata il governo – per bocca del ministro della Difesa – annunciava che era stato eseguito con successo il lancio test di un missile intercontinentale capace di trasportare testate nucleari a lunghissimo raggio”. “Poi, davanti ai giornalisti, Putin ripeteva che la Russia considera ancora valida la richiesta di aiuto avanzata ‘dall’unico presidente legittimo dell’Ucraina, Viktor Yanukovich’. Quindi il colpo di freno: ‘Il ricorso alla forza sarebbe legittimo, ma la ritengo l’ultima risorsa’. C’è spazio, dunque, per trattare. Questo è il passaggio chiave”. Il quotidiano ricorda che Putin non ha per questo rinunciato alle “provocazioni”, come quando ha spiegato che “gli uomini armati che stanno proteggendo i nostri interessi in Crimea non sono russi ma formazioni di autodifesa locale. Ci sono molte divise che si somigliano”.

 

Su La Stampa si sintetizzano così le parole pronunciate ieri dal presidente russo sulla crisi ucraina: “Putin: a Kiev c’è stato un golpe”. Il titolo si occupa poi anche del punto di vista Usa: “E Obama prepara le sanzioni”, “Kerry tra i rivoluzionari di Maidan: vi aiuteremo, Mosca cerca scuse per invadere”. Scrive Anna Zafesova che nel corso della sua conferenza stampa Putin, alla sua prima apparizione in pubblico dopo lo scoppio della crisi, dopo aver rivendicato come “assolutamente legittima” la decisione – “se io la prenderò”- di inviare le truppe russe in Ucraina, ha negato la presenza di militari russi nella penisola di Crimea: ad aver conquistato praticamente tutte le postazioni dell’esercito ucraino nella regione che formalmente appartiene a Kiev sarebbero state quelle che ha definito “milizie locali di autodifesa” che si sono mobilitate contro le infiltrazioni di “guerriglieri nazionalisti”. Le loro uniformi, così simili a quelle dell’esercito russo, “possono averle comprate in qualunque negozio”, ha detto il presidente russo. Ma in Ucraina, ha spiegato, potrebbero arrivare i militari russi in versione ufficiale: la “necessità” per ora non c’è, ma la “possibilità” resta, se ci saranno ritorsioni contro i russofoni da parte del governo di Kiev, arrivato al potere con “un golpe anticostituzionale”. L’unico presidente legittimo resta Yanukovich, ha detto ancora Putin, nonostante sia stato “uno sciocco” e non abbia “un futuro politico”. Per Putin, la Russia – come evidenzia la Zafesova – si sente esonerata da qualunque impegno verso la salvaguardia dell’integrità territoriale ucraina: “se, come dicono in Occidente, è stata una rivoluzione, vuol dire che ne è emerso uno Stato nuovo con il quale non abbiamo preso nessun accordo”, ha infatti affermato il presidente russo. Sulla stessa pagina segnaliamo il reportage di Domenico Quirico dalla Crimea: “A Yalta fra gli ‘amici’ dello Zar che aspettano i blindati russi, ‘Basta, l’Ucraina è un’invenzione’”.

La Repubblica dedica quattro pagine alla crisi ucraina. “Ucraina, la minaccia di Putin, ‘Mi riservo il diritto di usare la forza’”. È il titolo dato al reportage di Bernardo Valli da Kiev, che racconta come è stato vissuto il discorso di Putin ieri: “ascoltandolo gli amici ucraini sono rimasti dapprima perplessi”, perché il discorso era “contorto” e “ricco di contraddizioni”, secondo Valli. A volte c’erano segni di un “disgelo, che si deve in gran parte alla grande mediatrice di questa crisi, ovvero la cancelliera Merkel. Proseguendo l’ascolto, “gli amici ucraini mi hanno aiutato a capire che nel labirinto delle contraddizioni egli rivendicava anzitutto il diritto di intervenire nel loro Paese”, scrive Valli.

Nella pagina di fianco: “Visti congelati e conti bloccati. Obama prepara le sanzioni. Usa ed Europa si dividono”, “L’Ue frena, l’irritazione della Casa Bianca”. I reportages sono firmati da Nicola Lombardozzi (da Perevalnoe, base della 37esima brigata fanteria della Marina ucraina: “La strana guerra di Andry dentro la base assediata dai russi. ‘Combattere? Mica sono matto’. Il fuciliere ucraino e l’ordine di ‘far finta di niente’”) e Giampaolo Caladanu (da Odessa: “Nella città della ‘Potemkin’ che si affida agli oligarchi per evitare la secessione”).

 

Sul Corriere, un intervento di Ian Bremmer: “Europa e Usa sostengano il popolo di Kiev per portare il cambiamento fino a Mosca”. Si scrive che “Putin riuscirà pure a imporre la sua volontà in Crimea, saprà anche destabilizzare il controllo di Kiev sulle province orientali del Paese, le aree dove risiedono altrettanti russi che ucraini. Potrà anche ricorrere alla leva delle forniture del gas come arma diplomatica, ma non riuscirà mai a persuadere la maggioranza dei cittadini ucraini che il loro futuro non è in Europa ma in Russia”.

Su Il Giornale, un articolo si occupa degli effetti del cambiamento climatico sulla geografia di questi luoghi: “Separare la Crimea? Ci sta già pensando il clima”. La penisola sarebbe destinata a diventare un’isola in pochi anni, secondo uno studio del Centro Idrometrico della Crimea. In Crimea è cresciuto il livello del mar Nero, per via dell’effetto serra, di 40 centimetri in pochi anni. Ne basterebbero altri 50 per far staccare la Crimea dal continente.

 

Internazionale

 

I quotidiani si occupano anche del primo viaggio all’estero del premier Renzi, in Tunisia. Il Sole 24 Ore: “’Mediterraneo futuro dell’Europa’. Il premier in Tunisia: rinsaldiamo le relazioni economiche ma lavoriamo anche sulla cooperazione nell’immigrazione”.

 

Sul Corriere un intervento dell’ambasciatore Armellini, che è stato il rappresentante italiano in India fino al 2008: “Una via d’uscita per i nostri marò soltanto dopo le elezioni in India”. Dunque non prima di maggio, quando si saprà chi avrà vinto, e dopo che sarà costituito il governo, dice l’ambasciatore.

 

Su La Repubblica: “L’Egitto mette fuori legge Hamas”, “Chiuse le sedi del movimento islamista palestinese. Gaza: ‘Così Il Cairo aiuta Israele’”. Anche su La Stampa: “Egitto, Hamas fuori legge. Ira di Gaza: regalo a Israele”, “Vietate tutte le attività nel Paese: ‘Sostiene i Fratelli musulmani’”. Un tribunale del Cairo ha emesso una sentenza in cui si spiega che Hamas “è un’espressione politica riconducibile ai Fratelli musulmani”. Che sono stati equiparati ad un’organizzazione terroristica dopo il rovesciamento del presidente Morsi.

Su La Repubblica ci si occupa di Francia: “Strauss-Kahn batte Hollande, ma il ‘Parisien’ censura il sondaggio”: Strauss Kahn ha incassato il 56 per cento dei consensi, in un sondaggio sulle preferenze dei francesi. Malgrado scandali a luci rosse e processi, l’ex capo del Fmi resta il più popolare, “imbarazzo in Francia”. All’ultimo posto nella graduatoria c’è l’attuale presidente Hollande, che si ferma al 36 per cento.

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