Da Reset-Dialogues on Civilizations
Se c’è una frase in grado di riassumere la relazione tra regimi oppressivi e rivolte è quella scritta dall’intellettuale marocchino Abdellatif Laabi nel suo ultimo saggio intitolato Un autre Maroc (Éditions de la différence, Paris, 2013): “L’oppressione finisce per produrre presso coloro che ha schiacciato un antidoto che fa risvegliare le coscienze e che fa bruciare nuovamente la fiamma della lotta”.
La Tunisia sotto il regime di Ben Ali era un Paese oppresso. All’interno di confini considerati stabili e democratici dall’opinione pubblica internazionale, la società tunisina viveva in una condizione schizofrenica, schiacciata tra le angherie e le ruberie del clan Ben Ali-Trabelsi, la repressione esercitata dalle forze di polizia e una censura pervasiva che annullava l’identità e l’anima dei tunisini.
Nello spazio da vivere residuale, necessariamente apolitico e privo di libertà, viveva (o meglio, sopravviveva) l’individuo, il dittatoriato del libro La rivolta dei dittatoriati, scritto a quattro mani da Ouejdane Mejri e Afef Hagi e di recente pubblicato da Mesogea. Le due autrici, la prima docente e ricercatrice universitaria, dottoranda in psicologia la seconda, entrambe attiviste per Pontes, l’associazione dei tunisini in Italia, così definiscono i dittatoriati: “esseri disciplinati dalla dittatura e condizionati per stare alle regole del controllo sistematico e della punizione arbitraria”.
Nei primi due capitoli Mejri e Hagi ricostruiscono la vita sotto la dittatura: parlare era pericoloso, scrivere e ascoltare lo era altrettanto. I sensi di un intero Paese erano stati messi a tacere sotto la minaccia di torture e intimidazioni. Chi sapeva non diceva e chi poteva emigrava in cerca di un presente e un futuro migliori, lontano da quella dittatura mascherata da democrazia in cui il potere era nelle mani del partito e della famiglia del Presidente.
Sono molto interessanti le pagine in cui le autrici descrivono il profilo di Ben Ali, arrivato al potere nel 1987 grazie ad un colpo di stato medico ai danni dell’anziano Bourghiba. Un golpe, ci ricordano le autrici, in cui l’Italia ebbe un ruolo non secondario e ben poco edificante. Ben Ali viene descritto come un personaggio del tutto privo di carisma ma ossessionato dal culto dell’immagine: “Non gli mancava mai il trucco, la tinta ai capelli e neanche il botox per mantenerlo giovane”. Un uomo che sembra fatto di cartapesta: solido all’apparenza, vuoto all’interno. Incapace di comunicare con il “suo” popolo, ma molto abile nel reprimere, nascondere, controllare e far apparire la Tunisia, agli occhi del mondo, come un partner commerciale e politico affidabile, oltre che un luogo di villeggiatura ideale.
Eppure, sotto la coltre di paura e silenzio, l’antidoto all’oppressione cominciava a manifestarsi e si andava declinando in diversi modi: boom demografico, informatizzazione della società, attivismo virtuale e reale. Gli eventi del dicembre 2010 e gennaio 2011 non sono infatti altro che la punta di un iceberg composto da rabbia e frustrazione che montano ormai da più di un decennio nella “Tunisia, terra ingiusta”. Un Paese, ci ricordano a ragione le autrici, in cui ben il 65% della popolazione ha meno di 35 anni. La tragica fine nel 2002 del blogger Yahyaoui (morto a causa delle torture subite in carcere dove era stato condotto con l’accusa di attività sovversive) e la rivolta di Gafsa del 2008 sono solo due degli episodi che dimostrano l’esistenza, nella società dei dittatoriati, di due livelli di opposizione al regime: quello virtuale e reale. Dissidenti e cyberattivisti saranno destinati ad incontrarsi e usciranno rafforzati da questa unione.
Il terzo e ultimo capitolo del libro si apre con l’immolazione, ormai passata alla storia, del giovane ambulante Mohamed Bouazizi. Anche in quell’occasione, sottolineano le autrici, Ben Ali si dimostra incapace di gestire la situazione: dopo essere andato a trovare Bouazizi in ospedale, il Presidente tunisino pronuncia un discorso in televisione “durante il quale appare molto controllato, statico, con un tono paternalistico che alterna minacce e promesse”. Ma ormai è troppo tardi: la prima tessera del domino è caduta e le altre lo travolgeranno fino a costringerlo, pochi giorni dopo, ad un’ingloriosa fuga con la famiglia verso l’Arabia Saudita, non prima di aver lasciato dietro di sé una scia di arresti e sangue. I leader, anche quando sconfitti, non se ne vanno mai in punta di piedi.
Due settimane sono comunque bastate ai tunisini per sfondare il muro della paura e spogliarsi della camicia del dittatoriato: “Dalla Tunisia del silenzio e del non detto, del sentito dire senza mai vedere, in due settimane, siamo diventati testimoni di quanto avviene nel nostro Paese”.
La rivolta dei dittatoriati è un racconto introspettivo e appassionato della psicologia di un Paese e del suo popolo, che analizza la nascita, lo sviluppo e la caduta della fenomenologia del dittatoriato. Un tempo che secondo le autrici può dirsi concluso perchè riguarda cittadini che “non sono disposti a essere trasformati di nuovo in dittatoriati”. È un libro che si discosta dalla letteratura uscita in italiano sull’argomento delle rivolte arabe perchè non ha velleità didattico-normative e si rivolge quindi a tutti i lettori, anche ai non specialisti. Sfogliando le pagine si respira lo slancio di ottimismo e orgoglio che anima le due autrici, le quali però fanno esercizio di onestà intellettuale e di lucidità non negando i tanti problemi che la Tunisia post Ben Ali sta e dovrà affrontare, primo fra tutti la crisi economica.
Il libro non tocca la questione del futuro della Tunisia, il quale si è decisamente complicato dopo gli omicidi di Chokri Belaïd (avvocato e segretario generale del Partito dei patrioti democratici) avvenuto a febbraio di quest’anno, e quello di Mohamed Brahmi (deputato, a capo del Fronte Popolare), morto a luglio e sui cui mandanti si sta ancora indagando. Il fatto poi che il famoso e anonimo blogger _ Z _ , uno dei protagonisti dell’attivismo in Rete insieme alla blogger Lina Ben Mhenni e al team di Nawaat, si trovi ancora in Francia e non possa mostrare il suo volto per tema della vita, è forse un campanello d’allarme per una società in costruzione che vuole lasciarsi il passato da oppressa alle spalle.
Mejri e Hagi questo lo sanno bene e, insieme ai tunisini, restano vigili. L’antidoto ha fatto effetto, ma per neutralizzare del tutto gli strascichi della malattia ci vorrà ancora del tempo e molte cure.
Titolo: La rivolta dei dittatoriati
Autore: Ouejdane Mejri, Afef Hagi
Editore: Mesogea
Pagine: 135
Prezzo: 15 €
Anno di pubblicazione: 2013