Orlando, Carlomagno e gli altri. Quegli eroi (meticci) che hanno fatto l’Europa

Un viaggio-missione attraverso poemi e tradizioni orali che hanno percorso la storia europea (vedremo poi se e quanto «l’hanno fatta», l’Europa): dall’Odissea al Nibelungenlied, dalla Canzone di Orlando al Ciclo del Kosovo, da Beowulf alla Saga di Njáll. È l’idea di Nicholas Jubber, scrittore inglese laureato a Oxford, uno che viaggia con competenza di storico e con buone gambe, predilige treni e Flixbus agli aerei sia per risparmiare sia per stare sul campo, vicino al dettaglio dei luoghi e delle persone. Così, per esempio, dell’epos eroico di Orlando non gli basta conoscere la bibliografia (che è sterminata), per scoprire magari che la versione superstite più antica è in lingua anglo-normanna, lui vuole andare a Roncisvalle, cercare esattamente il valico del Col de Cize sui Pirenei, che il traditore Gano aveva suggerito ai Saraceni per l’imboscata. E lì troverà, nel villaggio di Rocamadour, non solo la presunta leggendaria Durlindana (o Durendal) piantata nella roccia in punto di morte, ma anche gli striscioni («Independentzia!») e i segni di un’altra storia, forte e sentita sul posto: «La battaglia di Roncisvalle è la prima vittoria militare del popolo basco. Ci siamo vendicati di Orlando e Carlo Magno per la strage di Pamplona». Vero o no che loro abbiano ucciso Orlando, i Baschi, detti anche Wascones, stavano lì da secoli, millenni prima di lui. E anche questa è complicata storia europea.

Se la Chanson de Roland rimane indubbiamente un poema fondativo dell’identità francese, il primo dove compare la douce France, cara a Charles Trenet (e tanto citata dalla Le Pen, perché l’uso dell’epica funziona e come!), è altrettanto vero che Orlando è lo stesso eroe e amante pazzo (e per questo strabico) dei Pupi siciliani, ispiratore dei Crociati, simbolo del potere imperiale, ma anche protettore della libertà nella tedeschissima città anseatica di Brema, che gli ha dedicato sei secoli fa una gigantesca statua accanto alla cattedrale.

Epica vale a dire multiuso e multiabuso. Specie se consideriamo che il sovrano del nostro eroe, Orlando, è anche Hruodland, e che Charlemagne, si chiama anche Karl der Grosse, e forse soprattutto così perché era di lingua germanica, le sue corti si trovavano ad Aquisgrana (Aachen), Worms e Paderborn e il suo popolo era quello dei Franchi, una tribù germanica. Complicazioni infinite per chi difende le ingenue o artefatte mitologie nazionali, che Jubber si diverte a far saltare.

Il caso inglese è anche più complesso: il Beowulf, testo, per inciso, che ha ispirato Tolkien, parla di un’identità sofferta. Del resto, se uno vuole spiegare a scuola chi sono gli Anglosassoni ha bisogno del suo bel tempo per elencare popoli e tribù germaniche che hanno occupato l’isola prima del X secolo dopo Cristo, e per far la lista dei regni di Mercia, Northumbria, Essex, Sussex, Wessex, Schleswig-Holstein etc. etc. di là e anche di qua della Manica. E lo stesso poema, che inaugura la letteratura inglese, ha come protagonista un eroe, un geato, che proviene dal Sud della Svezia, per uccidere il mostro che affligge un re danese.

L’isola britannica si rivela nella sua vera mitologia molto meno isola di quanto appare nella consueta retorica e si intreccia con le vicende normanne in un modo che imbarazza gli antieuropeisti. La battaglia di Hastings del 1066 è un momento cruciale: Guglielmo di Normandia (che diventa su quel campo, a sud di Londra, «il Conquistatore») era sovrano della regione oggi francese, cui i Normanni dettero il nome occupandola alla fine del IX secolo, unificò con quella battaglia un regno che stava a cavallo della Manica. Rivendicava ragioni dinastiche sulla base di promesse del defunto Re inglese Edoardo il Confessore, peraltro suo cugino. La storia è raccontata sui ricami dell’arazzo di Bayeux, l’equivalente in tessuto di un poema epico. L’opera è tuttora rivendicata dagli inglesi che ne hanno soltanto una copia.

In campagna elettorale per la Brexit, Nigel Farage, il leader UKIP, ha esibito una cravatta che ne riproduce un’immagine dichiarando: «È stata l’ultima volta che ci hanno invasi». Diversi storici, e Jubber con loro, fanno notare che l’occupazione normanna è stata incorporata nell’identità inglese come e più di quanto accaduto per l’Italia meridionale e la Sicilia. E c’era già nell’epica di fine millennio una dimensione europea che sovrastava quella nazionale, nei conflitti e nelle parentele, nelle lotte e gelosie mortali come nelle faide. E anche nelle carriere: pensiamo al giovane aostano di nome Anselmo che volle andare a studiare nel miglior monastero di Normandia e poi al seguito di Guglielmo divenne arcivescovo di Canterbury, il capo della Chiesa in Inghilterra. I nazionalismi hanno i loro eroi, ma l’analisi del sangue li rivela quasi sempre meticci o forestieri. Con grande scorno dei puristi.

 

Quest’articolo è stato pubblicato originariamente su Robinson del 31 luglio 2021.

 

Libro: Nicholas Jubber, Continente epico. Avventure nelle grandi storie che hanno fatto l’Europa. Bompiani, pp. 448, € 20.

Foto: Un particolare dell’Arazzo di Bayeux, “racconto per immagini” della conquista normanna dell’Inghilterra (XI secolo).

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