Il mito di una Costituzione
americana daltonica

La Corte Suprema degli Stati Uniti ha emesso un’altra sentenza scioccante, ma prevedibile, che dispensa in maniera arbitraria dalle precedenti e stravolge leggi consolidate da tempo a scapito delle persone storicamente svantaggiate. L’anno scorso, in America, è stato negato alle donne un diritto individuale all’interruzione di gravidanza vecchio di cinquant’anni. Ora gli studenti afroamericani e latinos saranno privati dei programmi di “affirmative action” che tengono conto della razza nelle ammissioni alle università.

L’ipocrisia e l’assurdità della cosa sono state ben illustrate dall’appassionato appello del giudice Clarence Thomas a una “Costituzione daltonica” statunitense. Tutti e sei i giudici di nomina repubblicana si descrivono come “originalisti” o “testualisti”, nel seno che cercano di scoprire il significato “originale” o letterale dei testi costituzionali.

L’originalismo è impraticabile. Non solo a causa di contesti sociopolitici radicalmente trasformati, ma anche perché i redattori della Costituzione americana erano spesso in disaccordo sulle implicazioni più ampie dei loro compromessi: ciascuno era disposto a convivere con un passaggio basato sulla propria interpretazione. Ma l’ipotesi che ci fosse una comprensione originaria condivisa dei testi costituzionali è palesemente falsa.

Un’analisi testuale rigorosa è indispensabile per la giurisprudenza, ma il “testualismo” tende a ridurla a un rozzo gioco di definizioni, etimologie, secoli di tecnicismi giuridici di stampo anglo-americano e ad altre questioni che hanno poco a che fare con un risultato decente o un’interpretazione razionale del diritto costituzionale nelle circostanze attuali. Spesso ricorda il vecchio gioco radiofonico della BBC “My Word!”, ma senza lo stesso fascino e arguzia.

Queste metodologie mirano a cristallizzare il significato del diritto costituzionale – per quanto possibile – a quello di epoche passate dove i neri erano ridotti in schiavitù o esclusi, le donne subordinate e prive di diritti, il razzismo codificato in tutta la società e la segregazione, attuata con brutali linciaggi, era la norma in molti Stati.

La Costituzione ha avuto molti ammiratori antirazzisti, in particolare Frederick Douglass e Martin Luther King, che in essa hanno visto potenti correttivi a tale barbarie. Ma l’originalismo e il testualismo sono tentativi poco velati di rallentare, bloccare e ora invertire, gran parte del progresso costituzionale cominciato nel 1954.

L’ultima sentenza della Corte Suprema ha comportato colloqui straordinari tra Thomas e due giudici liberali, Sonia Sotomayor e la nuova arrivata Ketanji Brown Jackson.

Sotomayor ha sottolineato l’innegabile perseveranza di un razzismo strutturale e istituzionalizzato e i suoi effetti profondamente negativi per gli afroamericani e i latinos. Thomas ha replicato che la discriminazione basata sulla razza non può essere tollerata in nessun contesto e si è presentato come il paladino dei candidati asiatici-americani altamente qualificati, sostenendo che le politiche di ammissione di Harvard vanno soprattutto a discapito loro. Ha inoltre accusato Jackson di guardare tutti gli aspetti della vita attraverso un irriducibile quadro razziale. Lei ha negato e ha ribattuto che l’insistenza di Thomas sul fatto che la razza è, o dovrebbe essere, irrilevante per la legge americana è talmente avulsa dalle realtà sociali plasmate a partire da quella stessa Costituzione da risultare delirante.

L’implacabile ostilità di Thomas nei confronti dell’affirmative action è particolarmente degna di nota perché proprio il giudice è verosimilmente il più grande beneficiario di questi programmi e di questa etica, e delle concomitanti aspettative di inclusione. Ha frequentato l’Holy Cross College e la facoltà di legge di Yale grazie all’affirmative action. Ha avuto un’ascesa fulminea nella destra e, a soli 33 anni, ha diretto un’agenzia federale, la Equal Employment Opportunity Commission (Eeoc). Solo dieci anni dopo, a seguito di una controversa audizione presso la commissione del Senato presieduta dall’attuale presidente degli Stati Uniti Joe Biden, Thomas è stato confermato alla Corte Suprema.

La sua spettacolare carriera, soprattutto se si considera che è cresciuto nella povertà e in un contesto di segregazione, è impressionante, è innegabile. Persino stimolante. Ma è altrettanto innegabile che, in ogni fase e proprio perché ha coinciso con l’istituzionalizzazione dell’affirmative action e con l’imperativo di una maggiore diversità razziale nelle università, nelle aziende e nel governo, la sua razza ha giocato un ruolo significativo nei suoi trionfi a cascata. Purtroppo, ora sembra mortificato da questo correttivo appropriato, come se fosse una medaglia di demerito.

Thomas stato uno dei pochi conservatori neri disponibili a dirigere la Commissione per le pari opportunità di impiego (Eeoc) di Ronald Reagan e poi a sostituire il primo giudice nero della Corte Suprema, Thurgood Marshall.

In particolare, il dogma della “Costituzione daltonica” di Thomas è particolarmente impraticabile dal punto di vista originalista o testualista. La Costituzione in origine non menzionava esplicitamente la schiavitù, ma la consentiva chiaramente, definendo gli schiavi come “i tre quinti di una persona” (bianca) ai fini della rappresentanza congressuale. Nel 1857, la Corte Suprema stabilì che nessun residente nero poteva essere considerato cittadino e che “non aveva alcun diritto che l’uomo bianco fosse tenuto a rispettare”.

Dopo gli emendamenti costituzionali che misero fuori legge la schiavitù e garantirono la cittadinanza post Guerra Civile, e un breve periodo di maggiore uguaglianza nel Sud noto come “Ricostruzione”, nel 1896 la Corte Suprema aveva prontamente approvato la crescente pratica della segregazione razziale. La separazione disuguale in base a una razza presunta è stata costantemente avallata dalla Corte fino alla comparsa delle prime crepe legali nel 1954. Ma il tentativo di un vero rimedio è iniziato solo a metà e alla fine degli anni Sessanta, quando sono state sviluppate politiche come l’affirmative action.

È impossibile sostenere che questo progetto sia stato completato, visto il continuo divario socio-economico tra gli “afroamericani” e gli altri, in particolare coloro attualmente considerati “bianchi”. Invece, Thomas e la maggioranza della Corte sostengono che qualsiasi sforzo per rimediare a secoli di maltrattamenti razziali con decenni di aiuti limitati è razzista nei confronti di tutti gli altri.

La frottola della “Costituzione daltonica” potrebbe essere appena plausibile se la Storia degli Stati Uniti iniziasse nel 1965, anche se ciò comporterebbe comunque un campo di gioco fortemente diseguale. In realtà, la Costituzione è stata aggressivamente attenta ai “colori” nel corso della sua Storia, soprattutto a spese dei gruppi minoritari. Di conseguenza, il signor Thomas e i suoi colleghi sono costretti ad affidarsi a miti astorici per razionalizzare l’arresto e l’inversione degli sforzi per correggere questi errori monumentali e profondamente duraturi imposti dal governo. Molti suggeriscono invece preferenze basate sul reddito, ma questo probabilmente intensificherebbe una tendenza preoccupante verso corpi studenteschi d’élite, divisi principalmente tra i molto ricchi e i molto poveri.

Nel frattempo, ad Harvard, oltre il 40 per cento degli studenti “bianchi” è stato ammesso per “eredità” familiari, donazioni dei genitori, legami con il personale o partecipazione a squadre sportive, piuttosto che per meriti accademici. Tuttavia, è probabile che nessuno senta il pungolo nevrotico della presunta inferiorità che ha perseguitato Thomas a Yale e fino ad oggi. Le preferenze dei bianchi sono normalizzate e normative nella società statunitense.

Mentre il Paese celebrava martedì il suo 247° compleanno, questa Corte Suprema radicale, avvolgendosi di scemenze in mala fede come “la nostra Costituzione daltonica” che comunicano questo privilegio e questa disuguaglianza, sembra determinata a preservarle e proteggerle il più possibile.

Buon compleanno, America.

 

Questo editoriale è stato pubblicato in origine in inglese su The National il 5 luglio 2023. Hussein Ibish è senior resident scholar all’Arab Gulf States Institute. 

Foto di copertina: alcuni manifestanti protestano all’Università di Harvard, a Cambridge, Massachusetts, contro lo stop alle quote etniche negli atenei da parte della Corte Suprema americana del 27 giugno scorso (foto di Joseph Prezioso/AFP).

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