Più forte della politica (e della crisi)
La resilienza dell’Ortodossia in Grecia

Sulla trafficata Egnatia, che taglia orizzontalmente il centro di Salonicco, la seconda città più grande della Grecia, i bus sono sovraffollati a ogni ora del giorno. Tra l’Arco di Galerio e Piazza Aristotele passano davanti a cinque chiese, e di fronte a ciascuna non è raro vedere i passeggeri – anche quelli delle generazioni più giovani – farsi il segno della croce prima di immergersi di nuovo nelle loro conversazioni, nei loro pensieri, o nei tentativi di non finire schiacciati dalla ressa. Sopra al parabrezza, accanto alla bandiera greca, le icone ortodosse sono una presenza comune. Come è evidente, il sentimento religioso è qualcosa di importante per i greci.

Nel 2018, il tentativo di inserire in Costituzione la neutralità religiosa dello Stato ha provocato una frattura all’interno della Chiesa greca tra il suo massimo esponente, l’Arcivescovo Geronimo, che aveva promosso la riforma, e il resto del Santo Sinodo, il consiglio dei vescovi metropolitani – finché la riforma è stata accantonata. Dopo le elezioni dello scorso luglio, che hanno riportato il partito di centrodestra Nuova Democrazia (ND) al potere concludendo l’era di SYRIZA, l’ortodossia può contare su un governo amico, ma la sua posizione resta precaria: le conseguenze della crisi economica non hanno risparmiato nemmeno la Chiesa.

Ogni volta che qualche questione religiosa infiamma il dibattito politico, l’opinione pubblica si polarizza. Due decenni fa, quando il governo socialista guidato da PASOK decise di rimuovere l’affiliazione religiosa dalle carte di identità per motivi di privacy, Piazza Aristotele non riusciva a contenere la folla radunatasi intorno all’allora Arcivescovo Cristodulo per opporsi alla nuova legge – che fu comunque approvata.

Non fu certo quella l’ultima volta in cui la Chiesa si è immischiata in questioni prive di rilevanza religiosa. Durante le trattative che hanno portato, nel giugno 2018, all’accordo di Prespa tra la Grecia e la Repubblica della Macedonia del Nord, la Chiesa ha adottato una posizione radicalmente critica verso il governo di SYRIZA. La Chiesa era preoccupata che una volta ratificato l’accordo sul nome “Macedonia del Nord”, il Paese ex iugoslavo avrebbe avanzato pretese anche sulla “Chiesa di Macedonia”.

Ma l’opposizione all’accordo di Prespa non era motivata da ragioni prettamente ecclesiastiche, come il Santo Sinodo ha fatto capire dichiarando che la Chiesa ha “combattuto sin dall’antichità per la Grecità della Macedonia con il sangue del clero e con le sue parole”. Il Primo Ministro Alexis Tsipras ha siglato ugualmente l’accordo, pagandone il prezzo ai seggi: SYRIZA ha perso le elezioni Europee e quelle nazionali a maggio e a luglio dello scorso anno.

 

Elleno-ortodossia e modernità occidentale

La Grecia è il quarto Paese più religioso d’Europa, secondo solo alla Romania tra i 28 membri dell’UE, come evidenzia un sondaggio del Pew Research Center. Il 49% degli adulti greci si dichiara “altamente religioso”. Ma la religione ortodossa in Grecia non è semplicemente un insieme di credenze metafisiche: riguarda proprio l’essere greci.

L’identificazione tra appartenenza religiosa e “grecità” è da ricondurre alla fondazione del moderno Stato greco in seguito alla rivoluzione contro gli Ottomani. Per accrescere la sua legittimazione simbolica, lo Stato non esitò a mettere la Chiesa sotto il suo controllo istituzionale. L’autonomia della Chiesa di Grecia dal patriarcato ecumenico di Costantinopoli – la moderna Istanbul – fu quindi stabilita nel 1833.

Da allora, la Chiesa si è spesso comportata da attore secolare capace di indirizzare il consenso, e la sua connessione con l’identità nazionale greca è stata dipinta come una verità senza tempo. Al di là della sua influenza ideologica, però, quella della Chiesa non è stata una posizione dominante. Lo Stato si è unilateralmente appropriato del 96% delle proprietà che la Chiesa aveva accumulato nei secoli di dominazione ottomana. Gli stipendi e le pensioni che lo Stato versa al clero testimoniano la mancanza di autosufficienza economica della Chiesa.

Quanto alla sua collocazione ideologica, la Chiesa di Grecia non è semplicisticamente ostile all’Occidente, anche se l’integrazione europea – la Grecia è stato il primo membro di religione ortodossa della Comunità Europea, a cui ha aderito nel 1981 – è stata spesso dipinta come uno schiacciasassi che avrebbe annientato l’autentica identità greca.

L’ortodossia ha sì criticato la modernità occidentale, ma non vi si è apertamente opposta; “Prima greci ortodossi, poi europei!”, gridava la folla nel 2000 alla manifestazione contro l’esclusione dell’affiliazione religiosa dalle carte di identità. Ancora adesso, la maggior parte dei greci continua a considerarsi pro-europea, pur rimanendo ortodossa.

A suo modo, l’ortodossia sta cercando di far fronte alla secolarizzazione della società e all’integrazione europea. Persino durante i momenti più duri della crisi, la Chiesa ha addossato la colpa alla classe dirigente greca e non ai creditori internazionali. Nel 2015, l’Arcivescovo Geronimo – solitamente meno assertivo del suo predecessore Cristodulo, almeno sulle questioni politiche – si è espresso a favore del piano di salvataggio imposto dal FMI e dai suoi partner dell’Unione Europea.

“Tutt’altro che in contrapposizione alla modernità Europea, la Chiesa di Grecia è per molti aspetti il suo frutto”, sostiene Sotiris Mitralexis, docente all’Università di Atene ed esperto del rapporto Stato-chiesa in Grecia. La stessa autonomia della Chiesa è stata infatti decisa dall’apparato statale. Gli elementi più controversi della Chiesa in particolare, come il nazionalismo e l’occasionale razzismo, derivano proprio dalla sua genealogia nell’epoca moderna. E quando arriva il momento di prendere decisioni, la Chiesa adotta una posizione pro-europea, generalmente in linea con lo Stato.

 

Un freno alla secolarizzazione

Nonostante i suoi tentativi di scendere a compromessi con i tempi che cambiano, l’ortodossia viene spesso accusata di alimentare un discorso eccessivamente tradizionalistico e nazionalistico. Storicamente, la Chiesa di Grecia è stata più vicina alle forze politiche di destra, compresi gli anni della giunta militare che prese il potere con un colpo di Stato nel 1967, e rimpiazzò la gerarchia della Chiesa. Quando la democrazia fu restaurata nel 1974, la gran parte di quegli ufficiali religiosi che avevano cooperato con la dittatura non furono né perseguiti né rimossi.

In anni più recenti, la Chiesa è stata ambigua nel suo atteggiamento nei confronti del partito neonazista Alba Dorata; alcuni vescovi e sacerdoti ne hanno condannato il razzismo e i metodi violenti, ma dalla Chiesa non è arrivata nessuna stigmatizzazione ufficiale, neanche quando il partito ha abbracciato la difesa dell’ortodossia come un pilastro della sua propaganda. La mancanza di una chiara presa di posizione da parte della Chiesa ha contribuito alla “normalizzazione” di Alba Dorata.

Il conservatorismo della Chiesa ha anche occasionalmente ritardato l’introduzione di riforme quanto mai necessarie. È ad esempio il caso della cremazione, legale in Grecia dal 2006 ma strenuamente ostracizzata dalla gerarchia ortodossa. Le autorità religiose si sono ripetutamente opposte alla costruzione di forni crematori, a dispetto del fatto che le tombe nei cimiteri sono assegnate solo per un numero limitato di anni prima dell’esumazione, e che la crisi ha reso necessario per molti greci l’avere a disposizione un’opzione meno costosa ma ugualmente decorosa di prendersi cura dei loro morti.

La Chiesa ha più volte ribadito che considera la cremazione alla stregua del riciclo dei rifiuti, e si ostina a non voler celebrare funerali per chi viene cremato. Il primo crematorio – privato – del Paese è entrato in funzione a Ritsona, a due ore da Atene, verso la fine del 2019. Ancora negli ultimi anni, secondo ERT, circa 4000 corpi venivano mandati ogni anno dalla Grecia a Sofia, in Bulgaria, per essere cremati.

Quanto alle unioni civili, la Chiesa si era opposta per anni alla loro estensione alle coppie omosessuali, approvata dal Parlamento nel 2015. Ancora più controversie sono state sollevate dalla legge sull’identità di genere, che consente ai cittadini di auto-identificarsi come maschio o femmina dall’età di 15 anni. Il Sinodo ha dichiarato che la legge avrebbe aumentato i disturbi mentali. La presenza di voci omofobe e razziste nella gerarchia ortodossa è particolarmente problematica, perché la Chiesa Orientale Ortodossa Cristiana è riconosciuta dall’Articolo 3 della Costituzione come la religione prevalente del Paese.

La libertà di coscienza religiosa è comunque garantita a tutti i gruppi. Anche in termini finanziari, il supporto statale non è diretto esclusivamente alla Chiesa ortodossa, ma anche alla minoranza musulmana della Tracia Occidentale. Ciononostante, la vita per i musulmani in Grecia non è sempre facile; la costruzione della prima moschea ad Atene è stata posticipata per anni, anche a causa dell’opposizione degli alti ranghi della Chiesa. Ad oggi, la capitale greca non ha una moschea finanziata dallo Stato. La prima dovrebbe entrare in funzione la prossima estate.

Molti sono convinti che per ridurre l’influenza della Chiesa occorra allentare i legami istituzionali e finanziari che ha con lo Stato. Proposte per un divorzio istituzionale sono state presentate già dagli anni ‘80 dai socialisti di PASOK, e più di recente da SYRIZA, ma finora non è stata presa nessuna iniziativa esplicita per una piena separazione.

Identificare l’influenza della Chiesa con i suoi legami con lo Stato è tuttavia un errore, come spiega Sotiris Mitralexis: “C’è una diffusa credenza erronea che la Chiesa ortodossa abbia un forte influsso sulla società in quanto è sponsorizzata dallo Stato, quando la verità è che gli aspetti istituzionali e legali hanno molto poco a che vedere con il potere simbolico della religione”.

Una separazione istituzionale porterebbe quindi a una società più secolarizzata? Al contrario, una volta allentati i suoi legami con lo Stato, la Chiesa potrebbe guadagnare un margine di libertà di azione più ampio, senza che la sua influenza sulla società venga in alcun modo scalfita. Un divorzio darebbe alla Chiesa un incentivo per esigere la sua parte della sfera pubblica in contrapposizione allo Stato. Ciò che viene spesso descritto come una separazione, potrebbe rivelarsi una liberazione per la Chiesa. Secondo Mitralexis, è perciò la Chiesa che dovrebbe desiderare ardentemente una separazione completa dallo Stato, ed è lo Stato che avrebbe invece un numero di contro-incentivi.

 

L’accordo svanito

Gran parte della gerarchia ortodossa, tuttavia, non vede di buon occhio una possibile separazione dallo Stato. Quando, nel 2018, il governo guidato da SYRIZA ha finalizzato una proposta per includere in Costituzione la “neutralità religiosa” dello Stato greco – mentre quest’ultimo avrebbe continuato a pagare gli stipendi del clero – il Sinodo si è opposto ferocemente, al pari del patriarcato ecumenico con sede a Istanbul, che ha la Chiesa di Creta, la Chiesa del Dodecaneso e parti della Grecia settentrionale sotto la sua diretta giurisdizione.

L’accordo è saltato dopo che il Sinodo ha votato contro i termini su cui Tsipras e l’Arcivescovo Geronimo si erano accordati in via preliminare. Quanto alla riforma della Costituzione, i mutati rapporti di potere emersi dalle elezioni dello scorso luglio hanno consentito a ND di scartare la proposta sulla neutralità religiosa dello stato.

Nell’opposizione all’accordo del 2018, l’ostilità della Chiesa verso SYRIZA ha giocato un ruolo chiave. Rompendo con la tradizione, molti membri del governo Tsipras avevano deciso di non optare per il giuramento religioso e la benedizione dell’Arcivescovo al momento del loro insediamento.

Il conflitto tra SYRIZA e la Chiesa si era inasprito dopo lo scontro sulla riforma delle lezioni di religione. Nel 2016, l’allora ministro dell’Istruzione e degli Affari Religiosi Nikos Filis voleva trasformare il carattere confessionale delle ore scolastiche di religione in qualcosa di più simile agli “studi religiosi”. Filis venne però espulso dal governo dopo un rimpasto, e il suo successore Kostas Gavroglu decise di adottare un atteggiamento meno aggressivo nei confronti della Chiesa.

Al di là della sua ostilità nei confronti della sinistra, la Chiesa non sembra certo ansiosa di far fronte a una separazione istituzionale e a una modifica progressiva nel sistema degli stipendi e delle pensioni del clero. Lo Stato greco aveva iniziato a contribuire ai salari e alle pensioni del clero nel 1945, ma solo dal 2004 li paga in toto. Dal 2013, salari e pensioni del clero – circa 200 milioni di euro all’anno – sono stati incorporati nel bilancio dello Stato.

Con l’accordo proposto, poi rigettato dal Sinodo, Tsipras contava di rimuovere diecimila chierici dal libro paga dello Stato, facendo posto per altrettante assunzioni nel settore pubblico. Lo Stato avrebbe iniziato a versare una somma annuale in un fondo gestito dalla Chiesa e usato esclusivamente per pagare gli stipendi e le pensioni del clero.

 

Le precarie finanze della Chiesa

Il tentativo di accordo era anche un modo per risolvere la disputa sulle proprietà della Chiesa. Di quel 4% di proprietà ecclesiastiche che non è stato confiscato dallo Stato, una buona parte è ancora bloccata da ostacoli burocratici. Le questioni di proprietà in Grecia sono spesso controverse, vista la mancanza di un moderno catasto.

Se poi si parla delle proprietà della Chiesa, una gran quantità di addizionali diatribe con lo Stato sono in corso dal 1952. Nonostante le espropriazioni, la Chiesa è ancora considerata il secondo più importante proprietario terriero dopo lo Stato; ma in assenza di un quadro giuridico chiaro, le sue proprietà non possono essere sfruttate a livello commerciale. Mantenendo invariate le relazioni istituzionali e il sistema salariale, molti esponenti della Chiesa sono convinti di proteggere la stabilità economica dell’ortodossia. Ma tale stabilità non è da dare per scontata.

“C’è molta disinformazione nel dibattito pubblico greco a proposito di questa questione. Gli alti funzionari della Chiesa sono formati nel contesto della mentalità statale e non riescono a vedere i potenziali problemi, nella tacita convinzione che non cambierà mai nulla. Ma le cose, nella pratica, stanno già cambiando, sia a livello legale che finanziario”, spiega Sotiris Mitralexis, evidenziando come l’inerzia della Chiesa quando si tratta di discutere possibili cambiamenti potrebbe rivelarsi un danno per la Chiesa stessa: soprattutto dopo la crisi, l’ortodossia non ha garanzie di sostenibilità finanziaria nel lungo periodo.

Nonostante il suo tragico impatto sugli strati più vulnerabili della società greca, la crisi è stata un’opportunità per la Chiesa per dimostrare la sua importanza sociale. Quando la crisi economica e quella migratoria hanno colpito, le parrocchie e le organizzazioni benefiche hanno moltiplicato i loro sforzi per fornire cibo, asilo e assistenza medica ai bisognosi.

Ma la crisi ha colpito duramente anche la Chiesa: i redditi da locazione sono crollati, insieme con i dividendi delle azioni della Banca di Grecia che la Chiesa deteneva; l’introduzione di una tassa sulla proprietà (l’ENFIA) come parte delle misure di austerità ha aumentato le tasse della Chiesa nel suo momento di massimo sforzo economico. Il clero è anche soggetto alle stesse misure imposte dal memorandum in termini di funzionari pubblici: per ogni cinque pensionamenti, un solo nuovo chierico può essere nominato.

Questi sviluppi aggravano la precarietà finanziaria della Chiesa, e lo sfruttamento delle restanti proprietà ecclesiastiche potrebbe essere l’unica soluzione plausibile per il futuro. Questo richiederebbe una collaborazione con lo Stato e la volontà, da entrambi i lati del tavolo delle trattative, di guardare al lungo termine e non soltanto a fini elettorali di breve termine o alla difesa di privilegi esistenti.

Se una nuova crisi dovesse colpire la Grecia, la continuazione dell’attuale sistema salariale non andrebbe data per scontata. Una completa autonomia finanziaria, d’altro canto, è difficilmente raggiungibile per la Chiesa di Grecia, anche se quest’ultima potesse iniziare a sfruttare le sue proprietà.

L’accordo Tsipras-Geronimo avrebbe incluso un riconoscimento formale che le proprietà della Chiesa sono state confiscate senza un adeguato risarcimento, e la somma annuale che il governo avrebbe iniziato a versare alla Chiesa era da intendersi appunto come un rimborso.

Ma le gerarchie ortodosse temevano che un qualsiasi cambiamento dei rapporti istituzionali con lo Stato avrebbe messo a repentaglio i privilegi della Chiesa, mentre nel piano di Tsipras di assumere migliaia di impiegati pubblici subito dopo aver rimosso gli ecclesiastici dal libro paga ufficiale dello Stato, molti vedevano l’ennesima mossa clientelistica della politica greca.

 

Nuova Democrazia: modernizzatori o tradizionalisti?

È improbabile che cambiamenti significativi abbiano luogo nei prossimi anni. Durante il governo di SYRIZA, Nuova Democrazia e il suo leader Kyriakos Mitsotakis hanno spesso fatto coincidere la loro opposizione alla coalizione in carica con l’aderenza alle posizioni della Chiesa.

Quando ND ha vinto le elezioni lo scorso luglio, un Mitsotakis fresco di nomina a primo ministro ha optato per il giuramento religioso, e con lui buona parte della sua squadra di governo. Mentre il leader di ND si presenta come un modernizzatore e un liberalizzatore, il suo discorso politico – al pari di quello delle componenti più tradizionaliste del suo partito – ha spesso strizzato l’occhio alle parti più conservatrici della società greca. Con ogni probabilità, le relazioni Chiesa-Stato resteranno dunque invariate.

Quanto alla secolarizzazione della società, dovrebbe essere perseguita con mezzi diversi da una separazione istituzionale. “Quando i governi provano forzosamente a imporre un’agenda secolare, rischiano di ottenere l’effetto opposto”, sostiene Mitralexis, aggiungendo che se la politica greca volesse fare qualcosa per favorire una società più inclusiva, invece che immischiarsi nel discorso politico della Chiesa, potrebbe mostrare amicizia alle voci più moderate dell’ortodossia, proiettandole come un controesempio virtuoso a quelle reazionarie.

Secondo un sondaggio del 2018 realizzato da Dianeosis per conto di World Values Survey, la sfiducia nelle istituzioni politiche è a livelli particolarmente elevati in Grecia. Solo il 30% dei cittadini dice di fidarsi del Parlamento greco almeno “abbastanza”, e l’Unione Europea non ottiene risultati migliori. La Chiesa è tra le istituzioni più apprezzate, e in quanto tale potrebbe continuare a essere fonte di un senso di unità, tappando anche i buchi dello Stato in termini di protezione sociale. Se la sua gerarchia sarà in grado di marginalizzare le voci e i discorsi discriminatori, invece di sponsorizzarli, l’ortodossia può continuare a giocare un vero ruolo di coesione per la società greca.

 

Foto: Aris Messinis / AFP

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