Israele, la vittoria di Re Bibi. E ora avanza lo spettro del Piano di Trump

Netanyahu manda al tappeto Gantz: ora via libera alle annessioni?

Il “Re” non è stato detronizzato. Dieci anni al potere, 70 anni di età, le inchieste per corruzione e negli ultimi giorni di campagna elettorale audio che lo hanno imbarazzato, ma lui, Benjamin Netanyahu, è ancora lì. Il suo partito, il Likud, è il primo partito anche dopo le terze elezioni legislative nel giro di un anno.  Il primo ministro uscente alle due di notte si è assegnato la vittoria dichiarando che «abbiamo vinto contro forze oscure, i nostri oppositori ci pensavano già all’obitorio e detto che l’era Netanyahu era finita». Con il 90% dei voti scrutinati il blocco di destra guidato da Netanyahu ha 59 seggi su 120 alla Knesset, ad un soffio dalla maggioranza di 61. Il Likud si conferma primo partito del Paese con 36 seggi, quattro in più di Kahol Lavan (Blu Bianco) di Benny Gantz, fermo a 32 mentre il blocco di centrosinistra è a 53 seggi (compresi i partiti arabi). Avigdor Lieberman ha 7 seggi. Terzo partito del Paese è la Lista Araba Unita che riporta, al momento, 15 seggi, un risultato storico. Manca ancora lo scrutinio del voto dei soldati e dei diplomatici all’estero.

Benny Gantz si è detto deluso per la sua performance: «Capisco e condivido i sentimenti di delusione e tristezza per non aver avuto il risultato che volevamo e, se queste proiezioni saranno confermate, significa che Israele non tornerà sulla retta via». Di segno opposto è lo stato d’animo del premier più longevo nella storia d’Israele: Netanyahu proclama «la più grande vittoria della mia vita», eppure la paralisi che ha portato gli israeliani per l’ennesima volta alle urne sembra ripetersi. Nessuno dei due leader sembra per ora in grado di formare la coalizione.

 

Caccia a due voti

Nei prossimi giorni il presidente Reuven Rivlin darà il via ai colloqui con i capi di partito, ascolterà le loro preferenze e deciderà a chi affidare il mandato per provare a mettere insieme il governo. Gli emissari di Netanyahu hanno già lasciato il quartier generale del Likud con un messaggio rivolto ai possibili defettori: uno o due deputati di Blu Bianco che preferiscano non passare la legislatura all’opposizione, un richiamo a destra (sua famiglia d’origine) per Orly Levy-Abekassis perché rompa l’intesa elettorale con i laburisti. Blu Bianco di Gantz è formato da un’alleanza di diverse formazioni che potrebbe frantumarsi al terzo tentativo fallito di deporre il primo ministro in carica senza interruzioni dal 2009.

In quel caso la guida dell’opposizione in parlamento andrebbe ad Ayman Odeh, leader arabo israeliano della Lista Unita. Ha conquistato il terzo posto di sicuro aiutato anche dai voti di ebrei israeliani convinti che ormai la sinistra debba rinascere dall’unione di queste forze. «Le elezioni a ripetizione – annota Aluf Benn, direttore di Haaretz, il giornale progressista di Tel Aviv – sono un meccanismo che Netanyahu usa per rimanere al governo in maniera indefinita, con il parlamento che dovrebbe fare da contrappeso del tutto fuori gioco». E ancora: «La cosa più probabile, visti i risultati di ieri, è che rimanga al potere, in questo caso potrebbe cercare di deragliare i suoi processi». Come? Nominando un nuovo procuratore generale dello Stato di fiducia, che potrebbe ordinare l’interruzione dei processi, spiega Benn. Per farlo servono però anche delle leggi che svuotino di potere la Corte Suprema, che per legge dovrebbe convalidare l’intervento del procuratore.

 

Prime volte

Il calendario delle consultazioni si incrocia con quello giudiziario. Il 17 marzo inizia il processo contro Netanyahu: almeno alla prima seduta il premier deve presentarsi davanti ai giudici per ascoltare le accuse di corruzione, frode, abuso di ufficio. La Corte Suprema dovrà decidere delle petizioni già presentate ieri mattina che chiedono di impedire a un politico incriminato di ricevere il mandato per formare il governo, un caso mai successo e non previsto dalla legge israeliana.

Nella terza elezione in meno di un anno, fatto mai accaduto nella giovane storia di Israele, si aggiungono altri due fatti senza precedenti: è il primo voto che si svolge sotto l’emergenza del coronavirus (sono stati allestiti seggi speciali in tendoni sanitari trasparenti e sigillati per i 5.600 elettori messi in quarantena). Ed è la prima volta che uno dei due aspiranti primi ministri, in questo caso il premier uscente Benjamin Netanyahu, corre con una formale incriminazione per corruzione sul capo. Altra novità: è probabilmente la prima elezione in cui, se un candidato dovesse vincere (in questo caso Netanyahu), è in palio l’annessione ad Israele di gran parte delle colonie israeliane in Cisgiordania, nel cuore dei Territori Palestinesi. Se avvenisse, sarebbe la pietra tombale su qualunque futuro processo di pace tra israeliani e palestinesi. Manca solo l’ufficializzazione, ma questa pietra è stata posta ieri da Israele che consegna il suo futuro a “King Bibi”. E ad esultare è anche il più grande sponsor di Netanyahu: il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Il suo “Piano del secolo” è stato l’ultimo, in ordine di tempo, regalo fatto dall’inquilino della Casa Bianca al suo amato premier israeliano. Un regalo che Netanyahu ha sfruttato appieno in campagna elettorale. Ed ora, avanti con insediamenti e annessioni. Non c’è pace in Terrasanta.

 

Foto: Gil Cohen-Magen / AFP

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