Da Mondadori alla Rai, tutti i tagli del 2013

Si conclude con questo articolo l’inchiesta sulla crisi dell’editoria e dei giornali. Le prime tre puntate le trovate qui: prima, seconda e terza.

Dopo Rizzoli, l’ultimo e ulteriore fronte di crisi editoriale che s’è aperto – inaspettato – è quello della Mondadori. Nel primo trimestre 2013 la casa editrice di Segrate ha accusato una perdita di 15,3 milioni di euro. Un anno fa, nello stesso periodo, era in utile per 2,6 milioni. E anche i ricavi sono in calo, della misura del 10,8%. E il calo della redditività sembra si protrarrà per tutto l’anno. Pertanto? Piano di riduzione dei costi e riorganizzazione produttiva. In una parola: tagli. Pari a 100 milioni di euro entro il 2015. Dopo che a ottobre era stato siglato un accordo per 36 “eccedenze” su un totale di 74 giornalisti.

Il profondo “rosso” di Segrate

Dunque, ancora una volta lacrime e sangue. Ci eravamo sbagliati – sicuramente “fuorviati” – qualche tempo fa, nel raccontare che Mondadori stava meglio di Rizzoli solo perché aveva anticipato la “grande crisi” con qualche “aggiustamento di tiro” fatto di qualche sforbiciata e ridimensionamento qui e là. In fondo che qualcosa di non assolutamente lineare ci dovesse essere lo dicevano le improvvise dimissioni dell’ad Maurizio Costa, sostituito in gran fretta da Ernesto Mauri. L’operazione di avvicendamento è avvenuta nel più stretto riserbo e senza alcun clamore, come nello stile della “ditta” e di tutta la fitta galassia Mondadori-Fininvest-Mediaset-Mediolanum, che fa capo alla famiglia Berlusconi.

Sta di fatto che lo sbilanciamento è di 310 milioni a fine marzo. La Mondadori pubblicità ha chiuso il primo trimestre 2013 con un saldo negativo del 29,5% (2,9 milioni di ricavi complessivi contro i 42,4 dello stesso periodo 2012). Vanno malissimo i periodici, che vendono meno copie per un 14,9% e incassano anche meno pubblicità per il 22,1. Franano le radio (-25% in spot), frenano i ricavi anche di Mondadori France. Cresce solo il comparto Internet (+38% in un anno) ma non in maniera sufficiente alle necessità e comunque non paragonabile in termini di fatturato e redditività ai fasti del passato.
Mondadori impiega attualmente 3.626 persone, tra tempi determinati e indeterminati, dopo un’uscita di 138 dipendenti nel giro dell’ultimo anno (-77 posizioni solo nel corso del primo trimestre 2013) in forza di un piano di prepensionamenti varato a ottobre scorso. Più lieve il calo nel comparto libri: -1,6%).

Così, a partire dalla fine di questo mese di maggio, il gruppo ha intenzione di imprimere la svolta «compatibile con la nuova dimensione dei mercati di riferimento»: tradotto, significa un drastico piano di contrazione dei costi in tutti i settori e in tutte le direzioni. Ernesto Mauri, con una mail inviata a tutti i dipendenti, l’ha chiamato «cambio di passo» per portare «subito i conti in sicurezza». Ma poi descrive una situazione di «drammaticità» senza precedenti «che la parola crisi racconta solo in parte e può essere addirittura fuorviante: il tema vero è il radicale cambiamento dei mercati in cui competiamo, anche a seguito della trasformazione tecnologica».

La verità è che gli editori italiani si sono un po’ cullati sugli allori, pensando a una crisi di passaggio, contingente, circoscritta e che non mettesse in discussione in modo definitivo il consumo dei prodotti editoriali e così si sono poi trovati spiazzati nel momento in cui la crisi ha continuato a protrarsi. Altrove, invece, sullo scenario dei mercati internazionali altri grandi editori hanno cominciato a muoversi per tempo prevenendo il precipitare dei mercati e dei consumi e costruendo percorsi persino di successo «gestendo – come spiega ancora l’ad Mondadori – sia le difficoltà economiche sia le trasformazioni strutturali».

Nel “cambio di passo” la priorità va alla verifica dell’organizzazione del lavoro e in questa direzione Mauri ha annunciato l’arrivo a Segrate di una task force di persone specializzate con il compito di analizzare il funzionamento del gruppo «al fine di ridurre tutte le linee di costo e liberare risorse a sostegno delle attività core». Forse non verrà adottata la frusta in redazione, ma poco ci manca davvero.

Nel frattempo, qualche giorno prima che Ernesto Mauri pronunciasse queste analisi, per la precisione l’8 maggio la Mondadori ha varato in tre giorni il lancio di altrettanti femminili completamente rivisitati in chiave di una visione e di una logica plurimediale che accomuna carta-tablet-online. Le tre testate sono Grazia, Donna Moderna, TuStyle, ciascuna con un proprio posizionamento su tre differenti fasce di mercato, che raggiungono complessivamente ogni settimana 3,6 milioni di lettrici e facendo leva su un sistema digitale con più di 5,3 milioni di utenti unici al mese e 62,7 milioni di pagine viste sui rispettivi siti, per le prime due. Complessivamente in controtendenza la raccolta pubblicitaria con il trend di mercato (+29%, per 284 pagine) sul primo numero il cui piano di comunicazione per il lancio ha visto un investimento di 15,6 milioni di euro in totale. Non certo bruscolini. Il mercato femminile risponderà con altrettanto entusiasmo soddisfacendo le aspettative dell’editore? Entro i primi tre mesi la verifica.

Il Piano dei tagli testata per testata

Ad ogni modo ora le nuove eccedenze di personale Mondadori, sulla base di un documento dal titolo “Scenari di mercato”, andamento economico delle testate e conseguente piano di riorganizzazione in presenza di crisi arrivato a Federstampa lo scorso 13 febbraio 2013, parla di 96 unità, tutti giornalisti, di cui 61 per effetto della riorganizzazione delle testate, oltre a 35 chiusure di periodici. Come verrà affrontato il caso? L’accordo è già stato siglato: per tutti ci saranno contratti di solidarietà, mentre i 96 verranno pensionati e prepensionati non appena ci sarà il rifinanziamento da parte del governo della legge 416 sull’editoria. Ma non si sa quando e se verrà rifinanziato. Quel che si può sapere già da adesso è che la legge necessita di un finanziamento di almeno 30 milioni l’anno per tre anni consecutivi. Oppure sarà il crack del settore. Anche se la prima mossa del governo, lo scorso 13 maggio, è stata quella di andare a raschiare il “fondo” del barile, tagliando proprio i fondi all’editoria per trovare le risorse necessarie per pagare i debiti della Pubblica amministrazione con le imprese.

Un settore, quello editoriale, che mostra uno stato di avanzata sofferenza, come resoconta con puntualità lo “stato delle vertenze” che la Fnsi, la Federazione nazionale della stampa, cioè il sindacato dei giornalisti, stila settimanalmente ormai da più di un anno: il Piano di riorganizzazione aziendale “in presenza di crisi”, consegnato lo scorso 20 dicembre da La Stampa di Torino, prevede ad esempio un’”eccedenza strutturale” di 32 giornalisti, tra prepensionamenti d’anzianità, di vecchiaia e anticipati, quello del settimanale L’Espresso 12, dell’Agenzia giornalistica Il Velino 15, 15 giornalisti anche all’Agenzia di stampa TmNews. Quindici redattori con il piede sull’uscio anche al cattolico l’Avvenire su un organico di 102 unità, 6 in più pure a Tuttosport, 12 al Corriere dello Sport, 16 a City, 7 a Bresciaoggi, contratto di solidarietà anche a Il Foglio di Giuliano Ferrara e a l’Unità dove è stata messa in atto anche un’ulteriore riduzione dell’orario di lavoro dal 25 al 50% e dove stanno anche per essere chiuse le redazioni di Bologna e Firenze mentre da molti mesi non viene corrisposto alcun pagamento per i collaboratori. Così come accade anche per tutti quelli esterni de Il Messaggero di Roma.

Infine, 3 giornalisti eccedenti anche al Corriere del Mezzogiorno, 1 al Il Cittadino. Infine, ci sono i 23 dipendenti di Pubblico, il quotidiano diretto da Luca Telese che ha chiuso i battenti a fine anno dopo appena tre mesi di edicola, in aggiunta ai 20 di Liberazione, i quali per altro tornerebbero a essere nuovamente impiegati sulla base di una turnazione interna (due redattori ogni tre settimane) e di un progetto che prevede la ripresa della pubblicazioni in modalità telematica del quotidiano e che è stato comunicato il 19 dicembre scorso alla Fnsi, per un totale «minimo di dieci notizie al giorno».

I rumors delle ultime settimane, poi, danno quasi per certa la richiesta di apertura presso il ministero del Lavoro di un secondo “stato di crisi” a la Repubblica per il 2014 – così come fatto già dal Corriere nei mesi scorsi per il biennio 2013-2015 – dopo quello avviato nel 2010: in due anni ha portato al prepensionamento di 83 giornalisti. Questa volta ne rimarrebbero coinvolti 44, ciò che finisce per azzerare la generazione dei cinquantenni. Ma al momento sono solo boatos, voci di corridoio, timori di redazione dovuti al galoppare veloce della crisi. L’editore, per il momento, non ha dato comunicazioni in proposito.

I 600 esuberi di viale Mazzini

Dulcis in fundo, la Rai. Che a fronte di una caduta dei ricavi per 211,8 milioni di euro e una crollo verticale dei ricavi pubblicitari (-15% rispetto a un anno fa, nonostante la politica degli sconti e del ribasso dei prezzi attuata dalla Sipra, la concessionaria di pubblicità) a fronte di un aumento dei costi esterni di 34 milioni di euro sul 2011, ha chiuso il 2012 con una perdita secca di 244,6 milioni rispetto ai – sia pur risicati – 4 milioni di attivo del 2011. Ciò che comporta una posizione finanziaria negativa per 366,2 milioni di euro con un peggioramento di complessivi 93,8 milioni di euro.

La situazione generale ha perciò costretto viale Mazzini a correre ai ripari varando in fretta e furia un Piano industriale per il biennio 2013-2015 di severa riorganizzazione interna, con tagli alle strutture e ai dirigenti, ridotti da 43 a 28, e anche di “incentivazione all’esodo” che ha già raccolto l’adesione volontaria di 400 persone su un obiettivo finale di 600 prepensionamenti, il che ha costretto la Rai ad accantonare risorse per 53 milioni di euro per potervi fare fronte adeguatamente.

Piano di ristrutturazione a parte, l’orizzonte Rai è quanto mai incerto e il clima interno piuttosto agitato a causa delle indagini della magistratura e della Corte dei Conti sui presunti “stipendi gonfiati” dei giornalisti e sulle spese per ospiti, conduttori e fornitori.

4 fine.

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