Chi di piazza ferisce, di piazza perisce

Lezioni di politica dall'Emilia Romagna

La prima notizia, il giorno dopo, è che l’Emilia Romagna può tornare ad essere semplicemente l’Emilia Romagna. Ossigeno per i suoi cittadini, asfissiati per mesi da un’attenzione mediatica spropositata – quasi le presidenziali da cui dipenderanno le sorti del mondo fossero queste, e non quelle americane – prodotta da un accanimento politico che in nome di una fantomatica spallata al governo ha tentato di farne ciò che non era: una disfida nazionale, ultimativa, totale.

Stefano Bonaccini ha vinto anche per questo, probabilmente: entrando in cabina, gli emiliano-romagnoli hanno riempito la scheda per scegliere prima di tutto a chi affidare l’amministrazione della Regione. Chi pensavano avesse il pedigree più adeguato per gestire ospedali e trasporti locali, rispondere a crisi aziendali e competizione produttiva, indovinare politiche per la scuola e arrestare l’emorragia di giovani. L’usato sicuro, evidentemente, ha prevalso sull’alternativa fiammante (?) proposta dallo spacciatore di paure.

Eppure mentre già inviati e network smobilitano dalle piazze di Bologna, Modena e (finalmente!) Bibbiano, c’è una lezione fondamentale, questa sì d’impatto generale, che sarà bene mandare a memoria.

Altolà ai profeti di sventura: la politica, intesa come voglia delle persone di riflettere sui destini della propria comunità e mettersi in gioco per essa, non è morta. Tutt’altro. Lo dimostrano gli ultimi tre mesi di campagna che ha quasi per forza naturale travalicato i confini dell’Emilia. Senza la mobilitazione delle Sardine, oggi forse racconteremmo un’altra storia. A perdere è il cinismo. Quello dei tanti osservatori accigliati di fronte alla chiamata alle piazze partita da quattro ragazzi “impreparati” di Bologna. Troppo ingenui, gli ideatori; troppo vago il progetto; troppo esposto, il leader improvvisato. Eppure quella scossa di elettricità partita da Bologna quasi per scommessa ha davvero dato i brividi a migliaia di persone – e non solo per il freddo delle nebbie di dicembre. Da Torino a Milano, da Firenze a Venezia, sino a tornare a “casa” a Bologna, ha riacceso la voglia di partecipare, di battersi, di stare uniti su una strada, e non sotto a un post.

Solo un punto di partenza, è chiaro – qualsiasi mobilitazione va tradotta in piattaforma politica – ma che sterminato bisogno di questo c’era, e c’è, tra anziani disillusi e giovani in cerca di un “primo amore” politico. Né si può negare che partecipazione reale è anche quella in grado di generare l’arcinemico delle Sardine, quel Matteo Salvini in grado di inanellare una serie impressionante di appuntamenti – dal mercato rionale al palazzetto dello sport, dalle periferie urbane ai caseifici, dalla costa adriatica agli Appennini. Una corsa a perdifiato preparata per anni, ma incapace alla prova dei fatti di ribaltare il tavolo: ferma sotto al 32%, la Lega perde 70mila voti e lo scettro di primo partito in Regione conquistato meno di un anno fa alle Europee. Quel primo posto che torna invece dopo due anni di rincorsa – al M5S prima, alla Lega poi – tra le mani del Pd del duo Bonaccini-Zingaretti.

A soffrire le pene dell’inferno, ed è la perfetta conseguenza, è proprio quel Movimento che nella piazza Maggiore di Bologna nacque come soggetto politico dotato di credibilità nazionale. Era il 2010, e il simbolo della “esplosione” di rabbia organizzata fu il canotto che l’affabulatore Grillo utilizzò per saltellare trionfante tra la gente. Abbandonato il gommone antipolitico, il mare emiliano è stato riempito dalle sardine. Gli illustri sconosciuti dei meet-up di allora sono diventati abbottonati ministri, o funzionari in grisaglia, senza tuttavia saper tradurre la straordinaria spinta elettorale in visione politica alcuna. L’assenza di ideologia – tradotto: di idee – spacciata per chiave per affrontare la modernità si è rivelata la forza capace di sgonfiare il palloncino del consenso a velocità (violenza) mai vista. Incerti su tutto, se non sull’opportunità di stare al governo dopo anni di rifiuto d’ogni responsabilità, sono stati divorati dalle forze politiche con cui hanno scelto di condividere la strada. E ora la loro permanenza stessa al potere romano pare un non-sense grottesco.

Il centrosinistra tornato “miracolosamente” al governo dall’autunno scorso riparte dal pit-stop elettorale con una dose perfino inaspettata di benzina, ma farà bene a riflettere attentamente su questa duplice indicazione: chi sta chiuso dentro al Palazzo – più o meno bene governando – e perde il contatto con i territori e le persone rischia il tracollo; chi sa aprire, ascoltare, dare una direzione e motivare il proprio elettorato può tornare a risalire la china. Le piazze dell’Emilia tornano a respirare, e delle mareggiate d’inverno restano granelli di sale preziosi per chi saprà leggerli.

 

Foto: Andreas Solaro / AFP

  1. Ottimo articolo circostanziato e convincente, ottima analisi politica e sociale di Simone Disegni. La frase finale, colma di speranza e di poesia, ci fa ben sperare che i lettori, anche i lettori dei quotidiani di alta tiratura, traggano lezione da queste parole di buon senso.
    Lucia
    da Milano

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