LA BELLA CONFUSIONE

Oscar Iarussi

Giornalista e scrittore, in libreria con "Amarcord Fellini. L'alfabeto di Federico" (Il Mulino ed., 2020)

La necessità della critica nell’economia del protagonismo

L’onore di un critico è il partito preso. È una frase di Bertolt Brecht, se ben ricordiamo. Il “partito preso” qui riguarda la critica stessa, che resta importante nonostante sia tramontata da un pezzo la battaglia delle idee propria delle stagioni dell’impegno, dal dopoguerra ai primi anni Ottanta. Anzi, la critica è oggi necessaria più di allora. L’economia del protagonismo realizzata negli ultimi decenni dalla televisione ha tracimato nella vita quotidiana grazie ai social, dove Narciso si divide e impera, schizoide e impunito in un crogiolo spesso grottesco. “A suscitare l’attenzione è l’autore, mentre l’opera praticamente scompare”, sostiene il messicano Gabriel Zaid già nel 2009. La scenografia vince sui contenuti nella rincorsa verso le “scritture a perdere” di cui parla Giulio Ferroni o nella “letteratura circostante” scandagliata da Gianluigi Simonetti, italianisti che additano l’evaporazione della cultura critica e la fine di ogni ricerca stilistica. Allora, chi valuta i libri o i film che escono? Trionfano i cuoricini, intendiamo anche nel testo del tweet o del post su facebook, in un’euforia di palpiti reciproci tra scrittori, registi, artisti. “E di vista / si perde il cuore /come dopo il sorpasso / l’altro nel retrovisore”, poetava Fortini.

Quando ci lamentiamo del populismo mediatico, dovremmo forse considerare che, per quanto a zig-zag, esso viene da lontano. Ha imparato a saltare le mediazioni nel cerchio di fuoco del gerarca Starace, si è nutrito del perpetuo sollucherare la vita pubblica negli anni di Berlusconi mentre la sinistra si affidava all’oracolo barricadiero di turno, ha mandato a quel paese chiunque dissentisse nelle piazze dei grulli parlanti. E da tempo trionfa nell’orizzonte antropologico in cui finzione ed esistenza tendono a coincidere: “Il mio nome è Show, Reality Show”. All’abbandono finale si sono opposti in pochi e con vigore scemante. Non gli intellettuali, in gran parte arruolatisi volontari nelle file del Nulla, bensì la scuola con le armi spuntate che aveva, taluni giornali per il poco che conta ancora la stampa, e, toh, la critica piccina picciò. Non parliamo dell’esoterismo maniacale di specialismi blog fanzine (soprattutto d’ambito cinematografico), bensì di critica delle idee, militanza culturale, ideazione e organizzazione di festival o rassegne magari non arrendevoli alle classifiche, didattica della lettura e delle immagini. Filologia e analisi, interpretazione e ricerca del senso, studio e divulgazione.

Ma come la mettiamo con il luogo comune secondo cui il critico spara sull’esercito di cui fa parte? Beniamino Placido e Tullio Kezich, critici per “la Repubblica” sin dalla fondazione nelle pagine orchestrate da Rosellina Balbi e Orazio Gavioli, s’iscrivono piuttosto al partito preso – se volete paradossale – dello storico dell’arte Roberto Longhi: “Critici si nasce, artisti si diventa”. E io modestamente etc.

Oscar Iarussi, giornalista, critico cinematografico e letterario della “Gazzetta del Mezzogiorno”, fa parte del Comitato esperti della Mostra di Venezia. Questo intervento è stato pubblicato lo scorso 13 maggio sulla newsletter “The Dreamers”, a cura di Arianna Finos e Chiara Ugolini, del quotidiano “La Repubblica” nell’ambito di un dibattito sulla critica aperto da Francesco Merlo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *