COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Il killer che viveva come un monaco

La presentazione da parte dell’editore del nuovo libro di Antonio Monda, Il numero è nulla mi aveva portato a dire che non mi interessava: “Questa volta Antonio Monda ci racconta la ‘capitale del mondo’ da un’angolazione inaspettata e travolgente: gli occhi di un killer che conquista denaro, fama e autorevolezza uccidendo la gente fino a quando l’incontro con una donna insinuerà il dubbio nella sua spietata dimensione criminale”. Ah, l’amore… Sono andato però alla presentazione e dopo aver scoperto che Antonio Monda ha grande comunicativa e risulta molto simpatico, mi sono trovato davanti a un altro libro, almeno per me. 

Padre Spadaro nel suo intervento ha detto – in modo da toccare uno dei punti che più mi intriga – di non essere riuscito a non provare una certa simpatia per il killer leggendo il romanzo. Già questo, un prete che non riesce a non provare una certa forma di simpatia per un killer, incuriosisce, attira. Come mai? La spiegazione ha aumentato il mio interesse: per quello stile monastico che abbiamo sotto gli occhi leggendo il romanzo di Monda, ha detto, ricordando i tratti del personaggio e citando una sua frase che rimbomba nella testa: “Uccidere è molto più semplice che essere gentili”. Così è chiaro che non può che emergere un interesse, per lui come per la donna che lo ama nel romanzo e che per Spadaro stringeva nelle sue mani mani assassine. Poi ovviamente deve essere successo qualcosa, determinato da lei. L’amore di lei in effetti sembra il più importante. Chi rappresenta dunque lei? Non Eva Kant, che non mi hai mai incuriosito. Il discorso deve aver seguito questo filo avvincente; com’è descritta la vita di questo killer dallo stile monastico, cosa lo muove al crimine in realtà? Lei, una maschera di un cinema non di primo piano, non diventa benestante. Come fa a intervenire nelle scelte del killer? Non lo so, forse è stato detto, ma io ero già talmente preso da ciò che mi attira da anni da essere dovuto andare altrove, come mi accade di sovente se vengo toccato in qualcosa di emotivamente coinvolgente. Ovviamente ero andato alle mie nostalgie per ciò che mi è più caro, il Levante.  

La resistenza a detestare un killer che vive una vita monacale mi ha fatto pensare al fascino che hanno esercitato su di me tante figure criminali, criminali minori, sconosciuti: ma non solo criminali. Proprio in Libano, ad esempio, ho conosciuto un commerciante imbroglione, che quando mi imbrogliava mi regalava sempre lunghe conversazioni così coinvolgenti che desideravo tornare a farmi imbrogliare da lui, per scoprire, capire, sapere. Sono certo che lo avesse capito, e i suoi racconti oggi mi mancano tremendamente. Sono io che ho imbrogliato lui? O forse i racconti di quella guerra interminabile non hanno valore? Certo, sono crimini diversi; imbrogliare e uccidere, ma diverso è anche l’interesse. Il killer che vive una vita monacale interessa di più, ricorda il Pasolini che di sè affermava che la sua era una condizione che solo la Grazia potrebbe sciogliere; “la mia volontà e l’altrui sono impotenti”. Non a caso una sua poesia comincia così: “Lavoro tutto il giorno come un monaco / e la notte in giro, come un gattaccio / in cerca d’amore”.

Ovviamente ho pensato anche al fascino, molto diverso, esercitato da grandi criminali, come il capo di Hezbollah, Hasan Nasrallah. Anche lui – suppongo, visto che non sono mai stato a casa sua – vive come un monaco; di certo non va mai in vacanza, non va mai al ristorante, niente di niente. Eppure non organizza solo attentati, ma nomina anche ministri. Un dettaglio? 

Questi fascini comunque sono diversi, il personaggio di Antonio Monda deve avere una complessità profonda, più profonda della brama di potere di personaggi come Bin Laden o Nasrallah, ma un tratto in comune si può cogliere, anche pensare a questo mi ha coinvolto. Certo, sono storie diverse: il killer del romanzo di Monda non puntava al potere politico, eppure viveva come un monaco, questo è decisivo. Ma per il fascino che esercita su molti “il grande terrorista” o il protagonista de Le mani sporche di Sartre – un altro monaco – quella vita monacale, quasi volontariamente esclusa dai piaceri del mondo, è molto semplice, elementare, quindi diffuso. Con questo killer il caso è diverso. 

Ovviamente i grandi criminali ci portano in un copione mitologico quando puntano sulla seduzione delle masse, nel caso di un killer come quello del romanzo di Monda non deve essere così. In lui deve esserci necessariamente un’altra complessità, la sua vita monacale ci risulta meno accessibile attraverso le nostre categorie semplici, ordinarie. Ma il punto sono le sue…

Volevo comunque saperne di più, il tema è umano, vero per me, ma ho seguitato a vagare tra i miei dubbi, intrecciando questo filo con quello che che già mi aveva preso in precedenza, portandomi anch’esso a Beirut: mi riferisco alla spiegazione del titolo del romanzo, Il numero è nulla. Sono così piombato nella mia certezza che non capisco bene nella mia ordinarietà, ma nelle quali credo: due più due non fa necessariamente quattro. È così: la matematica è una scienza esatta solo perché l’abbiamo creata noi, ma due amori più due amori non fa necessariamente quattro amori, ma forse la fine di ogni amore, o uno solo. Dipende. Mi sembra la considerazione più banale. 

Comunque, stiamo al titolo: citando una pagina del volume, Spadaro ha raccontato che in un casinò il croupier lancia la pallina, ma poi la ferma prima che arrivi a fermarsi nella casella decisa dal caso. E dice che il numero vincente è quello scelto dal mafioso presente al tavolo, al quale dà tutta la somma. Lui, il capo mafioso, ringrazia, dona tutta la vincita al personale, aggiungendo di suo un bel po’ di soldi. Il numero è nulla, no? 

Quanti sistemi funzionano così…. La legge non dice assolutamente nulla, la legge in questi sistemi è proprio l’arbitrio del boss, come a quel tavolo verde. È la sfrontatezza del potere prevaricatore. In quel momento, mentre Spadaro parlava di questo esempio e del suo significato, ho pensato che anche questa sfrontatezza si può amare, per la sua “onestà”… meglio, per la sua “trasparenza”… 

Accade infatti che in questi giorni in Libano il tasso “reale” di cambio, formalmente chiamato “cambio nero” ma praticato da tutti i cambiavalute ufficialmente operanti in Libano, quello che compare anche sui giornali, è di un dollaro per centomila lire libanesi. Nel 2020 era di un dollaro per millecinquecento lire libanesi. Chi va al ristorante, o al mercato, paga in base a questo valore: un pacchetto di sigarette del valore di due dollari costa duecentomila lire libanesi. E gli stipendi? Quelli no… Quelli vengono decisi in base al tasso di cambio interbancario, che è di un dollaro per quindicimila lire libanesi. Quindi lo stesso pacchetto di sigarette costa in lire libanesi l’equivalente di 13 dollari. Il numero è nulla… e il nulla qui diventa tutto. Perché la matematica diventa raggiro, un meccanismo per prendersi gioco dei numeri, e trasformarli legalmente in altri numeri. Si scrive 2, si paga 13. 

Le vestali di questo potere mi disprezzano, e me lo dicono, ma ridendo di me, mentre loro stappano champagne, lontani anni luce da ogni forma di vita monacale. Sono certo però che anche costoro possono essere amati per il fascino che sa esercitare su di noi la perversione. Ma questa non è la storia di cui parla Monda. È anche per capirla meglio che leggerò il libro di Antonio Monda, grazie a una presentazione che mi ha raccontato come un’altra storia sia importante per capire di cosa parliamo parlando di crimine e di criminali

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