COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Da San Pietro arriva la teologia dei poveri

Quest’oggi, 19 novembre, ascoltando l’omelia di Papa Francesco mi sono ricordato una famosissima canzone di Fairouz, “ti ho amato d’inverno, ti ho amato d’estate”. Parla di un amore che non esiste solo nelle giornate luminose, ma sa resistere anche al grigiore piovoso, non si illumina solo sotto raggi dorati, ma anche negli acquitrini fangosi. Io sono convinto che al papa argentino piacerebbe. Perché il suo è l’amore della vita, non delle idee.
Pensandoci ho capito che questo 19 novembre 2017 va ricordato perché è il giorno in cui si può dire che l’elaborazione della teologia dei poveri ha preso corpo, respiro… e ufficialità. Grazie a Jorge Mario Bergoglio. Ma procediamo con ordine. In occasione dell’ultima festività del Corpus Domini non si diede sufficiente attenzione a un’affermazione di papa Bergoglio, quando disse che “i poveri sono la carne di Cristo.” Poi, qualche tempo addietro, quando ha indetto l’odierna giornata mondiale per i proverbi, Papa Francesco ha scritto: “Sempre attuali risuonano le parole del santo vescovo Crisostomo: «Se volete onorare il corpo di Cristo, non disdegnatelo quando è nudo; non onorate il Cristo eucaristico con paramenti di seta, mentre fuori del tempio trascurate quest’altro Cristo che è afflitto dal freddo e dalla nudità» (Hom. in Matthaeum, 50, 3: PG 58). Siamo chiamati, pertanto, a tendere la mano ai poveri, a incontrarli, guardarli negli occhi, abbracciarli, per far sentire loro il calore dell’amore che spezza il cerchio della solitudine. La loro mano tesa verso di noi è anche un invito ad uscire dalle nostre certezze e comodità, e a riconoscere il valore che la povertà in sé stessa costituisce. Non dimentichiamo che per i discepoli di Cristo la povertà è anzitutto una vocazione a seguire Gesù povero. È un cammino dietro a Lui e con Lui, un cammino che conduce alla beatitudine del Regno dei cieli. Povertà significa un cuore umile che sa accogliere la propria condizione di creatura limitata e peccatrice per superare la tentazione di onnipotenza, che illude di essere immortali. La povertà è un atteggiamento del cuore che impedisce di pensare al denaro, alla carriera, al lusso come obiettivo di vita e condizione per la felicità. E’ la povertà, piuttosto, che crea le condizioni per assumere liberamente le responsabilità personali e sociali, nonostante i propri limiti, confidando nella vicinanza di Dio e sostenuti dalla sua grazia. […]
Facciamo nostro, pertanto, l’esempio di san Francesco, testimone della genuina povertà. Egli, proprio perché teneva fissi gli occhi su Cristo, seppe riconoscerlo e servirlo nei poveri. Se, pertanto, desideriamo offrire il nostro contributo efficace per il cambiamento della storia, generando vero sviluppo, è necessario che ascoltiamo il grido dei poveri e ci impegniamo a sollevarli dalla loro condizione di emarginazione. Nello stesso tempo, ai poveri che vivono nelle nostre città e nelle nostre comunità ricordo di non perdere il senso della povertà evangelica che portano impresso nella loro vita. Conosciamo la grande difficoltà che emerge nel mondo contemporaneo di poter identificare in maniera chiara la povertà. Eppure, essa ci interpella ogni giorno con i suoi mille volti segnati dal dolore, dall’emarginazione, dal sopruso, dalla violenza, dalle torture e dalla prigionia, dalla guerra, dalla privazione della libertà e della dignità, dall’ignoranza e dall’analfabetismo, dall’emergenza sanitaria e dalla mancanza di lavoro, dalle tratte e dalle schiavitù, dall’esilio e dalla miseria, dalla migrazione forzata. La povertà ha il volto di donne, di uomini e di bambini sfruttati per vili interessi, calpestati dalle logiche perverse del potere e del denaro. Quale elenco impietoso e mai completo si è costretti a comporre dinanzi alla povertà frutto dell’ingiustizia sociale, della miseria morale, dell’avidità di pochi e dell’indifferenza generalizzata!
Ai nostri giorni, purtroppo, mentre emerge sempre più la ricchezza sfacciata che si accumula nelle mani di pochi privilegiati, e spesso si accompagna all’illegalità e allo sfruttamento offensivo della dignità umana, fa scandalo l’estendersi della povertà a grandi settori della società in tutto il mondo. Dinanzi a questo scenario, non si può restare inerti e tanto meno rassegnati. Alla povertà che inibisce lo spirito di iniziativa di tanti giovani, impedendo loro di trovare un lavoro; alla povertà che anestetizza il senso di responsabilità inducendo a preferire la delega e la ricerca di favoritismi; alla povertà che avvelena i pozzi della partecipazione e restringe gli spazi della professionalità umiliando così il merito di chi lavora e produce; a tutto questo occorre rispondere con una nuova visione della vita e della società.
Tutti questi poveri – come amava dire il Beato Paolo VI – appartengono alla Chiesa per «diritto evangelico» (Discorso di apertura della seconda sessione del Concilio Vaticano II, 29 settembre 1963) e obbligano all’opzione fondamentale per loro.
[…]
Questa nuova Giornata Mondiale, pertanto, diventi un richiamo forte alla nostra coscienza credente affinché siamo sempre più convinti che condividere con i poveri ci permette di comprendere il Vangelo nella sua verità più profonda. I poveri non sono un problema: sono una risorsa a cui attingere per accogliere e vivere l’essenza del Vangelo.”
Questa mattina, in San Pietro, Bergoglio ha pronunciato un’omelia importantissima, il cui cuore sta qui: “Come, concretamente, possiamo allora piacere a Dio? Quando si vuole far piacere a una persona cara, ad esempio facendole un regalo, bisogna prima conoscerne i gusti, per evitare che il dono sia più gradito a chi lo fa che a chi lo riceve. Quando vogliamo offrire qualcosa al Signore, troviamo i suoi gusti nel Vangelo. Subito dopo il brano che abbiamo ascoltato oggi, Egli dice: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Questi fratelli più piccoli, da Lui prediletti, sono l’affamato e l’ammalato, il forestiero e il carcerato, il povero e l’abbandonato, il sofferente senza aiuto e il bisognoso scartato. Sui loro volti possiamo immaginare impresso il suo volto; sulle loro labbra, anche se chiuse dal dolore, le sue parole: «Questo è il mio corpo» (Mt 26,26). Nel povero Gesù bussa al nostro cuore e, assetato, ci domanda amore.”[…]Lì, nei poveri, si manifesta la presenza di Gesù, che da ricco si è fatto povero (cfr 2 Cor 8,9). Per questo in loro, nella loro debolezza, c’è una “forza salvifica”. E se agli occhi del mondo hanno poco valore, sono loro che ci aprono la via al cielo, sono il nostro “passaporto per il paradiso”. Per noi è dovere evangelico prenderci cura di loro, che sono la nostra vera ricchezza, e farlo non solo dando pane, ma anche spezzando con loro il pane della Parola, di cui essi sono i più naturali destinatari. Amare il povero significa lottare contro tutte le povertà, spirituali e materiali.”
Il Concilio Vaticano II conobbe la “teologia dei poveri”, ma non ne divenne elemento centrale per la necessità di tanti chiarimenti preventivi, in primis direi quello sulla libertà di religione, sulla fratellanza con gli altri credenti e quindi sulla trasformazione del modo di percepirsi di questa Chiesa, da giudice “esterno e superiore alla Storia”, a “soggetto che sta dentro la Storia”.
Ora Bergoglio elabora e presenta al mondo una nuova teologia, la teologia dei poveri. Una teologia che gli ricorda e ci ricorda di un grande cattolico italiano, Pier Paolo Pasolini. Lui, che abitò le periferie umane, geografiche ed esistenziali fino a morirvi, sapeva benissimo, e scrisse, che la “e” di “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che di Dio, non è una “e” congiuntiva, ma disgiuntiva. “Distingui nettamente tra Cesare e Dio, non confonderli!” Bergoglio lo sa, e sembra sapere anche che la teologia dei poveri arriva lì dove arrivò Pasolini: “Se il papa andasse a sistemarsi in clergyman, con i suoi confratelli, in qualche scantinato di Tormarancio o del Tuscolano, non lontano dalle catacombe di San Damiano o Santa Priscilla- la Chiesa cesserebbe di essere Chiesa?” La risposta odierna è che sarebbe “più” Chiesa, vivendo e abitando e amando e soffrendo con i poveri, carne di Cristo.
Ma la portata epocale di questo annuncio di Jorge Mario Bergoglio sta nel tempo in cui viene, un tempo cupo, segnato da paure profonde, che che ci trasformano in veicoli di odio. A tutto questo, con una forza davvero imponente, risponde solo Bergoglio.

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