COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Bergoglio e il rivoluzionario “desiderio di Dio”

Bergoglio è solito porre delle domande al suo uditorio. Nel suo linguaggio mai impositivo lui non usa volentieri il verbo “dovete”, piuttosto interroga. Mira a mio avviso a renderci inquieti riflettendo sull’interrogativo posto, e così a trovare la pace. Ricorderemo facilmente le sue domande su quando diamo una moneta al povero per strada: lo guardiamo negli occhi, lo tocchiamo? Ricorderemo a lungo anche la  domanda che ha posto ieri: se siamo capaci di desiderare Dio. Siamo capaci?

Ogni volta che mi è capitato di recarmi in un paese islamico ho sempre cercato di evitare di soggiornarvi nei giorni della festa del sacrificio. Dalla prima volta che mi capitò di imbattermi nella notte che la precede questa esigenza è stata fortissima. Lungo le strade di accesso ai centri abitati, o in questi stessi, tutti quei montoni in attesa di essere giustiziati mi ha sempre ferito. Abramo è padre per tutti i figli dei tre monoteismi, e io mi sono sempre chiesto come la sua avventura possa essere stata travisata, capovolta. Sappiamo che Abramo avrebbe dovuto sacrificare suo figlio a Dio, e mentre si accingeva a farlo gli fu ordinato di lasciar stare, e di sostituirlo con un montone. A me sembra che il senso di questo racconto sia chiaro: Dio, il Dio degli ebrei, dei cristiani e dei musulmani, non vuole sacrifici, non chiede sangue. Certo, gli annunci rivoluzionari devono essere resi comprensibili, soprattutto se sovvertono un ordine consolidato, millenario. E così l’annuncio abramitico che Dio non vuole sacrifici è stato dato con questa formula stemperata: cominciamo dal rifiuto dei sacrifici umani, poi capirete. Ma vedere il sacrificio nel giorno dell’annuncio del rifiuto del sacrificio mi ha sempre turbato. Poi ho cominciato a chiedermi: ma questa rifiuto di cogliere la sostanza dell’annuncio riguarda l’islam, solo l’islam? Non c’è un sacrifalismo, un dolorismo, anche nella mia cultura? Sebbene studiosi di chiara fama affermino che il testo originale della frase più importante del cristianesimo sia “questo è il mio corpo, dato per voi”, la versione che tutti conosciamo è “questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per voi”. C’è il sacrificalismo alla base della cultura cristiana sebbene Dio abbia ordinato ad Abramo di non compiere il sacrificio? No, non c’è. Nulla nel Vangelo parla di sacrificalismo. Dio, tanto per noi quanto per i musulmani, è il padre misericordioso, non chiede sangue né istiga alla violenza. Tanto è vero che nel Vangelo Gesù si preoccupa di dirci che abbiamo capito “occhio per occhio, dente per dente”, ma abbiamo capito male… Epperò se ricordo la mia infanzia non posso che ricordarmi mia nonna che mi insegnava a fare i fioretti, un altro tipo di sacrificio: “devi promettere a Gesù di rinunciare per lui, il fioretto deve essere un sacrificio.” Dunque il cristianesimo mi chiama a rinunciare, a uccidere i miei desideri, come aveva capito Nieztsche? No, non è così. Lo dice la parabola dei talenti, che non bisogna lasciare marcire sotto terra, ma seguire, incentivare, far crescere. E i talenti non sono i miei desideri? Desidero diventare un pianista perché ho quel talento, no? Ma un riflesso antico, primitivo, è rimasto in tante culture, e questo riflesso ha reso sacrificale il nostro Dio, e ha ridotto i nostri desideri alla nostre brame. Nulla è nobile nel desiderio, è solo concupiscenza, bramosia? I nostri talenti sono scomparsi dal nostro desiderio, vi è rimasta solo la donna altrui, o la ricchezza altrui? Dunque non è possibile desiderare Dio?

Ecco che la domanda posta da Bergoglio può inquietarci in profondità, rendere inquieto il nostro sguardo su noi stessi, più capaci, come ha detto nella prima udienza generale del 2018, a confessare i peccato altrui che i nostri.
In un certo senso potremmo dire che il vecchio è entrato nel nuovo, capovolgendo chi voleva capovolgere la cultura con una nuova visione, quella del Dio di Abramo.E il Vangelo? Non a caso la polemica principe del Vangelo, testo chiave in questa teoria monoteista del capovolgimento capovolto, è con gli scribi e i farisei. Per prima cosa dobbiamo capire di chi parliamo. Gli scribi erano una classe di uomini esperti in tutto ciò che riguarda la trasmissione dei testi e delle tradizioni religiose, mentre i farisei promuovevano l’ osservanza dell’intero corpo della legislazione mosaica, sia nella sfera personale sia in quella sociale. Dunque è questo, il significato della tradizione e della legge, che il monoteismo vuole capovolgere e che gli uomini hanno tradito capovolgendolo di nuovo. Bergoglio a mio avviso coglie e prospetta ai credenti e ai non credenti un punto molto importante. Prendendo sul serio i testi sacri si capirà che quando è nato l’uomo la luce della logica doveva indicar loro la distinzione confliggente tra desiderio e bramosia, tra virtù e vita bruta: tutto sommato quell’uomo, come un neonato, veniva da un mondo a quattro zampe. Il tono perentorio, dogmatico, impositivo dei testi antichi è dovuto a questo, non a una severità di Dio. Ma quando l’uomo è cresciuto, è diventato un uomo, il nuovo messaggio divino doveva accompagnarlo meglio a capire il desiderio di Dio, ritornando sulla misericordia di Dio, tornando sul rifiuto del sacrificalismo: il padre ti vuole bene, vuole il tuo bene, in un ordine opposto a quello cui sei abituato, l’ordine del padrone. Detto in termini cristiani, il problema del pensiero non ecclesiastico è quello di non prendere sul serio i testi sacri. Ma non lo fa proprio per questo, perché quei testi hanno finito per essere vissuti come espressione dell’ancienne regime, quello  da cui la modernità è finalmente riuscita ad uscire per non tornarci più. Basti fare un esempio. Se non si prendono sul serio i testi sacri Gesù sembra dire una banalità opportunista, da uomo che va bene per ogni stagione, o per ogni imperatore, quando dice “Date a Cesare quel che è di Cesare e Dio quel che di Dio”. Così la cultura non ecclesiastica, che non prende sul serio i testi sacri, non si ferma a leggere, non lo prende sul serio. Lo ha fatto Pasolini per nostra fortuna, sebbene non abbiamo preso sul serio neanche lui, che prendeva sul serio i testi sacri: “Cristo non poteva in alcun modo voler dire: accontenta questo e quello, concilia la praticità della vita sociale e l’assolutezza di quella religiosa, dà un colpo al cerchio e uno alla botte. Al contrario- in assoluta coerenza con tutta la sua predicazione – non poteva che voler dire: distingui nettamente tra Cesare e Dio, non confonderli, non farli coesistere qualunquisticamente con la scusa i poter servire meglio Dio: non conciliarli: ricorda bene che il mio “e” è disgiuntivo, crea due universi non comunicanti, o, se mai, contrastanti: insomma, lo ripeto, inconciliabili.” Questa è il grande problema della cultura non ecclesiastica, mentre quella ecclesiastica ha preferito ridurre il concetto a proprio favore: esistono due poteri, il mio -spirituale- e quello di Cesare-materiale-, e quello spirituale è superiore, ovviamente.

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