Quel primo emendamento che scotta da Newtown a Tunisi

Il gioco di specchi, il dito puntato contro le differenze, quelle che reciprocamente acuiscono il contrasto tra Est e Ovest riguarda soprattutto la libertà. Ci sono persone ragionevoli negli Stati Uniti che dopo il massacro della Sandy Hook Elementary School non solo, giustamente, reagiscono con indignazione chiedendo restrizioni al traffico di armi automatiche e al potere delle lobbies che sostengono questo traffico, ma si spingono un po’ più in là, spostandosi – come scrive qui Jim Sleeper – dal Secondo emendamento della Costituzione americana (quello che garantisce la libertà di detenere e portare armi) al Primo, quello relativo alle libertà fondamentali, quella religiosa, politica, di stampa e riunione, la libertà di espressione in generale (il freedom of speech).

In che consiste lo spostamento? Nel denunciare la violenza dei media, nell’attaccare non solo i profittatori dell’industria delle armi, ma i mogul dell’industria dell’intrattenimento, nell’accusare i fiumi di sangue, di violenza gratuita, l’opera di intossicazione dei giovani con il flusso di massacri cui vengono esposti, opera compiuta dai grandi studios e dal business dei giochi elettronici. «Una corrente di morte – scrive Sleeper – passa nella società sotto l’ombrello non solo del Secondo emendamento ma anche del Primo». Era la stessa denuncia che Karl Popper rivolgeva in Cattiva maestra televisione, nel 1994, poco prima di morire e che riguardava, molto più che gli effetti politici della tv, esattamente il tema dello spettacolo di violenza cui erano esposti i bambini.

Da qui la proposta, che faceva lui, liberale, di introdurre forme di autolimitazione e di responsabilizzazione, e anche di censura, impedendo cioè che scene di violenza venissero trasmesse in certi orari, osservando regole di rating per i film da riservare ai maggiori di una certa età e così via. Da quegli anni l’evoluzione dei media, allora ancora fondamentalmente basata sul broadcasting, e cioè le tv generaliste, ha moltiplicato le vie di utilizzo dei media, modificando profondamente il paesaggio elettronico. Con il web è difficile limitare ai minori l’accesso a qualunque spettacolo e commercio di sesso e violenza, anche se esistono software di tutela parentale, di dubbia efficacia.

Lo spostamento verso questo genere di temi provoca di solito due tipi di reazione negativa da parte dei liberali-«non-ne-voglio-sapere» : una in base alla quale i media non hanno alcun effetto nel generare violenza (argomento palesemente falso, come da infinita massa di letteratura e ricerche); la seconda nota come argomento della «slippery slope», ovvero della «china scivolosa», in base alla quale se tu proibisci oggi qualche eccesso di violenza finirai domani per proibire il dissenso politico, religioso e così via. Nella discussione americana c’è anche la pure ragionevole obiezione che, dopo un caso come quello di Newtown, se tu insisti sul tema dei media rischi di attenuare le responsabilità primarie e più dirette di chi mette a disposizione dei ragazzi le armi.

La discussione è destinata a durare – come si vede – e c’è da augurarsi che lasci sul terreno non solo morte, ma anche qualche risultato legislativo (come quelli invocati qui da Benjamin Barber).

Ma è interessante osservare come il rapporto tra uso della libertà e responsabilità si riproponga in termini rovesciati nelle società arabe, verso le quali lo sguardo occidentale è fortemente critico per gli eccessi di restrizione che riguardano la nudità femminile, l’omosessualità e in generale comportamenti irriverenti verso la religione. In questi casi abbiamo reazioni estreme di segno opposto alle disinibite abitudini occidentali.

Se prendiamo in considerazione la scena pubblica tunisina, come fain questo articoloRadwan Masmoudi, presidente del Center for the Study of Islam and Democracy, ci troviamo di fronte al rischio di una radicalizzazione dello scontro tra l’ala islamista e l’ala secolare, tra riformisti religiosi e modernizzatori che, sullo sfondo di gravissimi problemi economici, rischia di incendiarsi intorno a episodi mediatici che riguardano la irriverenza verso la religione nell’arte, la nudità femminile, la pornografia. Anche qui è la trincea del «Primo emendamento» ad accendere il conflitto: il territorio di esercizio della libertà che sta fra le garanzie irrinunciabili, che vanno scritte nella legge, e la responsabilità di contenerne l’uso nei limiti della libertà degli altri. Il tema in Tunisia è talmente scottante che Masmoudi chiede di rinviarne la discussione per evitare che il conflitto impedisca di costruire i pilastri della democrazia. Ma sarà possibile rinviare una resa dei conti sulla versione araba e tunisina del Primo emendamento?

—–

L’immagine di copertina, intitolata “East/West – both sides of intolerance” ha vinto nel 2011 il concorso per le dieci migliori campagne contro la discriminazione. I suoi autori, brasiliani, sono Marcos Rene, Patricia Papp e Luiz Trevisani. L’immagine mostra come spesso le incomprensioni e la percezione reciproca tra Oriente e Occidente si basi su una vera e propria mancanza di volontà, da entrambi le parti, di scoprire l’altro oltre ai pregiudizi e alle false rappresentazioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *