«Trump amico di Israele? Falso, come hanno capito gli ebrei americani»

Parla Yael Dayan, scrittrice, ex parlamentare e figlia del generale "mito" d'Israele

“Donald Trump non è stato un amico d’Israele ma un accanito sostenitore della destra del mio Paese e dell’uomo che l’ha incarna: Benjamin Netanyahu. L’interesse di Trump è stato quello di cercare nel mondo figure che condividessero le sue idee, la sua ideologia: in questo Netanyahu è stato il Bolsonaro o l’Orban d’Israele. Per i fanatici di Eretz Israel, Trump è un eroe, se fossero loro a decidere, se fossero loro a votare, avrebbe un trionfo assicurato”. A sostenerlo, in questa intervista in esclusiva concessa a Reset è Yael Dayan, scrittrice, più volte parlamentare laburista, già vice sindaca di Tel Aviv, figlia di uno dei miti d’Israele: l’eroe della Guerra dei Sei giorni, il generale Moshe Dayan.

Il giorno del giudizio elettorale è arrivato. Martedì 3 novembre 2020, l’America sceglie chi sarà il suo Presidente per i prossimi quattro anni: Donald Trump o Joe Biden. Non le chiedo per chi voterebbe se fosse cittadina americana…

Nessun problema, lo chieda pure, perché poche volte nella vita sono stata così sicura della risposta….

Allora, per chi voterebbe e perché?

Joe Biden. E non solo perché l’alternativa è Trump, ma perché ho avuto modo di conoscerlo personalmente quando era vice presidente con Obama alla Casa Bianca, e ne ho apprezzato l’equilibrio, la serietà, la competenza. Tutte qualità che fanno difetto all’attuale inquilino della Casa Bianca.

Eppure Donald Trump è popolarissimo in Israele. Se fossero gli israeliani a decidere il futuro presidente USA, non ci sarebbe partita. E questo perché, stando ai sondaggi, è considerato dalla maggioranza degli israeliani come uno dei presidenti americani, più amici dello Stato ebraico.

Si tratta d’intenderci su cosa significhi essere “amico d’Israele”, un vero amico. Se significa avallare ogni scelta compiuta da chi governa Israele, anche se ciò significa affossare il processo di pace con i palestinesi, consolidare un regime di apartheid nei Territori occupati, allora sì, Trump è un Netanyahu all’ottava potenza. Ma io ho un’altra idea di cosa significhi essere un vero amico d’Israele: un amico che non avalla ogni tua scelta, che non copre i tuoi errori, non ti dice sempre che stai facendo la cosa giusta. Un vero amico è quello che ti aiuta a non sbagliare.

Trump non lo ha fatto?

Direi proprio di no. Trump ha sposato le posizioni più oltranziste della destra israeliana, le ha supportate in ogni atto della sua presidenza, in un modo che va ben oltre l’aspetto puramente politico.

Vale a dire?

Lo sa chi sono stati in America i più accaniti sostenitori del trasferimento dell’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme? Gli evangelici, molto più di quanto abbia fatto la componente più conservatrice della comunità ebraica americana. A costoro della sicurezza d’Israele non interessa nulla. Per gli evangelici americani Gerusalemme è la capitale del Regno di Giudea! E non è un caso che sia stato proprio a loro che Netanyahu si è rivolto per avere il sostegno al piano di annessione di parti della Cisgiordania…

Un piano che è rimasto nel cassetto. E i più stretti collaboratori di Trump hanno sostenuto che ciò è dovuto a quegli “Accordi di Abramo” che, con la “benedizione” del tycoon, Israele ha sottoscritto con Emirati Arabi Uniti e Bahrein.

Questa è una narrazione ad uso e consumo interno, sia per Trump che per Netanyahu. Ma la realtà è ben altra: se quel piano non è decollato, è perché Netanyahu ha dovuto fare i conti, così come il suo amico americano, con la tragedia del Covid-19 e con la sua scellerata gestione. Neanche un cinico patentato come è Netanyahu poteva spingersi fino al punto di investire risorse umane ed economiche per realizzare l’annessione, mentre in Israele la gente moriva di coronavirus, gli ospedali andavano in tilt e decine di migliaia di persone si sono ritrovate da un giorno all’altro senza lavoro. Quanto poi a quegli accordi: fuor di retorica, cosa ci sarebbe di “storico” nel fare la pace con due Paesi arabi che non sono mai stati in guerra con Israele? Qualcuno, senza arrossire di vergogna, ha scomodato il precedente della pace con l’Egitto, quella di Camp David firmata da Begin e Sadat. Quello sì che fu un accordo storico, perché l’Egitto è un Paese che era stato in guerra, e più volte, con Israele. E il presidente Sadat pagò con la vita quella sua coraggiosa scelta. Sia chiaro: ogni normalizzazione dei rapporti con qualsiasi Paese arabo è un fatto positivo. Ma che gli “Accordi di Abramo” servano a raggiungere una pace giusta e duratura con i palestinesi, questa è una forzatura propagandistica che non ha un supporto nella realtà.

Biden ha affermato che se sarà lui il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America lavorerà per una soluzione a due Stati.

È un’affermazione importante, impegnativa, anche se di difficile realizzazione. E non perché metta in dubbio le intenzioni di Biden, e della sua vice Kamala Harris, ma perché da quando Netanyahu è al potere, lui e i governi che ha guidato hanno operato per rendere impraticabile questa soluzione, trasformando gli insediamenti in Cisgiordania in vere e proprie città, e popolando i territori occupati con oltre 500mila coloni. D’altro canto, non vedo altra strada da seguire…

Ci sarebbe quella di uno Stato binazionale.

Ne comprendo la suggestione, ho avuto modo di discuterne con il mio amico Abraham Yehoshua che ne era un sincero sostenitore, ma a me pare una ipotesi ancor meno praticabile di quella a due Stati. E di ciò credo che Biden sia consapevole. Perché uno Stato binazionale significherebbe, viste le tendenze demografiche, che gli ebrei accettino di diventare minoranza nello Stato che è nato per realizzare un focolaio nazionale ebraico dopo l’orrore della Shoah. D’altro canto, istituzionalizzare il regime di apartheid nei Territori palestinesi occupati vorrebbe dire incrinare l’altro pilastro su cui lo Stato d’Israele è sorto: quello democratico.

Secondo gli ultimi sondaggi, la grande maggioranza degli ebrei americani ha votato o voterà per Biden. È la conferma di un rapporto tradizionale tra la diaspora ebraica americana e il Partito democratico?

No, non è solo questo. È una scelta politica che si cala nel presente. Gli ebrei americani non si sentono un corpo separato dal resto della società americana. Come tutti gli americani, hanno dovuto fare i conti con la gestione fallimentare, ondivaga, del loro Presidente della crisi pandemica, così come gli israeliani hanno fatto con la gestione di Netanyahu. Ma non c’è solo il coronavirus a spiegare il massiccio orientamento pro-Biden degli ebrei americani.

Cos’altro c’è?

C’è il suprematismo bianco, il “white power” cresciuto sotto la presidenza Trump. Un suprematismo violento, razzista, che si nutre di antisemitismo. Trump non ha mai avuto parole nette, chiare, di condanna del terrorismo, perché di ciò si tratta, suprematista. Anzi, si è spinto fino al punto di affermare pubblicamente, anche in campagna presidenziale, che c’è del buono anche tra quella gente! Dalle fila di questi criminali è uscito fuori il terrorista che due anni fa fece una strage tra gli ebrei che si erano riuniti nella sinagoga di Pittsburgh. Mentre sparava, uccidendo 11 persone, quell’uomo gridava: “Ebrei dovete morire”. Quell’assassino era un suprematista dichiarato. Nell’America suprematista, gli ebrei si sentono meno sicuri, e non c’è “accordo di Abramo” che possa lenire questa insicurezza. Ecco allora il paradosso dei quattro anni di Trump presidente: ha conquistato, forse, la maggioranza degli israeliani ma ha scavato un fossato tra lui e la grande maggioranza degli ebrei americani.

Trump ha affermato che non accetterà un risultato che veda vincitore il suo rivale democratico.

Questo discorso l’ho già sentito qui in Israele. Pur di non farsi da parte, Trump come Netanyahu sono disposti a radicalizzare lo scontro, fino al punto di mettere a rischio la democrazia stessa. È stato così quando Netanyahu ha sobillato la piazza gridando al “golpe” ordito dalla magistratura, solo perché il Procuratore generale d’Israele, persona che peraltro era stata scelta dallo stesso Netanyahu, aveva avuto l’ardire di rinviarlo a giudizio per gravi reati di corruzione pubblica. Un copione che Netanyahu ha continuato a recitare accusando le decine di migliaia di israeliani che da mesi protestano contro il primo ministro per la sua irresponsabilità nell’affrontare l’emergenza pandemica, di essere dei “comunisti”, degli sbandati, e addirittura additandoli come propagatori del virus. Per Netanyahu come per Trump non esistono avversari ma solo nemici da combattere. Un altro esempio del loro agire a braccetto? Sia Trump che Netanyahu hanno riempito d’insulti feroci i Commissari alla lotta al coronavirus, il professor Gamzu in Israele e il professor Fauci negli Stati Uniti, accusandoli delle peggiori nefandezze, arrivando, come ha fatto Trump, ad annunciare che se sarà rieletto la prima cosa che farà sarà dare il benservito al dottor Fauci.  A questo siamo arrivati. E lei mi chiede per chi voterei se fossi cittadina americana?

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