Aleppo, Siria: “La morte è ovunque”.
Amnesty denuncia i crimini di guerra

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Era l’ora del tramonto, un orario di punta del traffico, ed eravamo nel più grande mercato della zona quando siamo stati colpiti. Immediatamente dopo il primo attacco c’è stata un’altra esplosione. Il regime voleva causare il maggior numero di vittime, così ha usato due barili. Ho visto corpi fatti a pezzi e macchine andare a fuoco con la gente dentro. Anche le case stavano bruciando. C’era sangue ovunque.

Il 20 aprile 2014 un incrocio del quartiere Al Firdous di Aleppo viene colpito da due barili bomba. Una delle tante testimonianze raccolte nel nuovo rapporto di Amnesty International sui crimini di guerra e contro l’umanità in una delle città più devastate della Siria in guerra, parla di un elicottero, un primo schianto sulla strada principale, ed un altro, pochi minuti dopo, su un palazzo a cinquanta metri di distanza.

A quattro anni dall’inizio della crisi siriana esce Death everywhere, war crimes and human rights abuses in Aleppo, una raccolta di testimonianze e dati sulle violazioni e gli abusi commessi sui civili dal governo di Assad ma anche da alcuni gruppi armati delle opposizioni. Da dicembre 2014 a marzo 2015 sono state condotte 78 interviste a cittadini di Aleppo, oggi in Turchia o in Libano, e altre 29 a operatori internazionali di Ong e Nazioni Unite che avevano lavorato e vissuto in città. Gli intervistati sono stati raggiunti di persona, al telefono o via mail. Anche il governo siriano è stato contattato per alcuni dei casi esaminati, ma alla data della chiusura del rapporto, il 23 aprile scorso, non aveva dato alcuna risposta.

Molti degli intervistati hanno chiesto di rimanere anonimi, per proteggere la loro sicurezza e quella dei familiari che vivono ancora in Siria. Per completare il rapporto sono stati analizzati anche documenti governativi, delle agenzie delle Nazioni Unite, delle Ong e dei gruppi locali di monitoraggio come il Syrian Institute for Justice and Accountability, il Violations Documentation Center, il Syrian Network for Human Rights (SNHR), and il Syria Research and Evaluation Organization, che spesso hanno fornito anche foto e video.

Il quadro che emerge ad Aleppo è devastante per le ripercussioni sui civili, coinvolti in un conflitto che si combatte nei quartieri residenziali, dove la gente è diventata bersaglio di attacchi in luoghi pubblici come ospedali, scuole, mercati e strade. Quando non è stata colpita nelle proprie case. Le risoluzioni Onu sono rimaste lettera morta, violate ripetutamente. I civili che vivono nelle aree della città ancora controllate da Assad sono stati oggetto di attacchi aerei, compiuti soprattutto con i barili bomba, pieni di esplosivo, benzina e frammenti di metallo.

Da gennaio 2014 a marzo 2015 le forze governative hanno sganciato questi ed altri ordigni in quartieri residenziali e su obiettivi civili, inclusi 14 mercati, 12 stazioni dei bus, 23 moschee, 17 fra ospedali e centri medici. Secondo quanto confermato anche dal Violations Documentation Center, i barrel bombs hanno ucciso 3mila 124 civili e 35 combattenti solo nell’area di Aleppo.

Anche i gruppi armati delle opposizioni hanno condotto attacchi in zone abitate, soprattutto a colpi di mortaio, causando vittime civili.

Nel corso di questi quattro anni sono continuate anche le detenzioni arbitrarie, le torture in carcere, le sparizioni forzate. In città, in tutti i quartieri, continuano ad esserci problemi per l’approvvigionamento del cibo, dell’acqua, dei farmaci  e della corrente elettrica.

Il coinvolgimento dei civili di Aleppo nel conflitto, secondo quanto emerge dal rapporto, si è fatto più forte a partire dal 2012, quando le forze di opposizione hanno cominciato a controllare le zone a est della città, fino a tagliare fuori dai confini urbani le forze governative, intorno alla fine dell’anno.

Nel tentativo di riprendersi il centro urbano, le forze di Assad hanno organizzato un’offensiva su larga scala, per tutto il 2013. Al momento ad Aleppo ci sono 18 gruppi di opposizione che si spartiscono il controllo di quella fetta di città che resta fuori dal controllo del regime, e fra questi ci sono rivalità come pure varie forme di collaborazione. Cinque dei principali gruppi si sono riuniti nel Fronte el Levante al-Jabha al-Shamiya, del quale non fa parte Jabhat al Nusra, comunque attiva in città, come pure il Free Syrian Army e le Ypg, le unità di protezione curde che controllano solo il sobborgo Sheikh Maqsoud.

Raid aerei e barrel bombs

Secondo il Violations Documentations Center, fra aprile e giugno 2014 le forze governative hanno lanciato in media 107 attacchi aerei al mese, una media calata notevolmente fra settembre e marzo 2015, fino a 17 al mese. La diminuzione dei raid è spiegata da una serie di fattori analizzati da Amnesty: un cambiamento nelle tattiche e nelle risorse militari, e la possibilità che il governo abbia “completato” lo sfollamento dei civili dalle aree di interesse e la distruzione delle infrastrutture controllate dalle opposizioni. Nell’ottica di una politica che contempla deliberati attacchi contro la popolazione.

Con la Risoluzione 2139 del febbraio 2014 il Consiglio di Sicurezza dell’Onu aveva chiesto alle parti belligeranti in Siria la fine dell’assedio delle aree popolate, l’accesso umanitario e la fine delle violenze contro i civili. Nulla di tutto questo è avvenuto: secondo il SNHR 12mila 194 persone sono morte in Siria dal 2012 al febbraio scorso per i barili bomba. Più della metà sono stati uccisi dopo la risoluzione 2139. Ma secondo gli osservatori locali le vittime potrebbero essere anche di più, data l’impossibilità di identificare tutti i corpi dopo un’esplosione, o anche solo di trovarli, se restano sepolti sotto cumuli di macerie.

I ricercatori di Amnesty hanno intervistato 39 persone sopravvissuti ad un attacco compiuto con i barili bomba: un’esplosione di questo tipo genera una paura che viene descritta come terrore di finire a pezzi. La gente guarda sempre il cielo, e si aspetta continuamente un doppio attacco, perché dopo l’arrivo del primo barile ne segue sempre un altro. Solitamente entro mezz’ora. In questo modo, chi è corso a soccorrere i feriti, rischia a sua volta di essere ucciso.

Muhammed Basbous, un attivista di Aleppo, ha raccontato di essere arrivato sul posto di un attacco dieci minuti dopo: c’erano macchine private, taxi, biciclette, persone, e tutto stava bruciando. In un parcheggio alcuni minibus erano andati distrutti. Tutte le persone che ho visto erano morte o ferite. Il più vicino quartier generale dei gruppi armati di opposizione, potenziale bersaglio dei barili, si trovava a 4 km di distanza, e intorno non c’erano altri obiettivi militari.

Il report esamina anche altri tipi di attacco compiuti con diverse armi, soprattutto missili.

Uno dei casi citati è quello della scuola di Ain Jalut del 30 aprile 2014. Poco prima delle 9 del mattino la scuola viene attaccata per la seconda volta. Era già successo ad agosto dell’anno prima. Al momento dell’attacco, gli studenti e gli insegnanti, anche delle scuole vicine, erano appena arrivati per vedere la mostra di disegno dei bambini, dedicata al conflitto. Molte organizzazioni di monitoraggio hanno confermato l’uso di due missili. Amnesty ha parlato con tre docenti e due studenti sopravvissuti. Il primo missile ha centrato il primo piano della scuola e il secondo è caduto all’esterno, a 200 metri dall’edificio principale.

Ibrahim, 12 anni, è un bimbo sopravvissuto: gli insegnanti volevano organizzare questa festa per farci contenti. Tutte le scuole vicine erano state invitate a venire ad Al Jalut e i miei disegni dovevano essere esposti in mostra. Ero seduto con mio fratello più piccolo Ayham. Poi è arrivato l’aereo e mio fratello è stato colpito da grosse schegge nel petto e in faccia. Io sono svenuto e quando mi sono svegliato ero sotto le macerie. Sono riuscito a uscire fuori e ho chiesto aiuto a delle persone che mi hanno caricato su un pick up e portato in ospedale. Avevo schegge nel collo e in testa, e altri piccoli frammenti in tutto il corpo. Ayham è morto sulla strada verso la Turchia. Aveva 11 anni”.

Dai corpi identificati, almeno 21 persone sono morte in quell’attacco, 19 dei quali erano bambini, ma le vittime potrebbero essere state almeno 35. Fra i 25 feriti, molti hanno perso l’uso degli arti.

Hell Cannons

In molte occasioni nel 2014 e 2015 anche i gruppi di opposizione armata hanno attaccato quartieri residenziali, ospedali, presidi medici, scuole, moschee e siti governativi nell’area di Aleppo. Questi attacchi sono spesso portati avanti con colpi di mortaio o razzi con bombole di gas, definiti dai civili come hell cannons, cannoni infernali. L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha documentato la morte di 672 civili nel quartiere di Muhafazat, attaccato perché sotto il controllo delle forze di Assad.

Ogni volta che lanciano un colpo di mortaio – ha raccontato un abitante – non c’è mai un obiettivo militare vicino. Anche se gli attacchi vengono giustificati dalla presenza di postazioni dei servizi di intelligence, ma questi sono potenzialmente ovunque.

Otto episodi in particolare sono stati descritti, fra cui l’attacco di Salah al-Din del 26 settembre 2014. La parente di una delle vittime ha raccontato che la cognata è morta mentre stava tornando a casa con la figlia, che invece si è salvata. Sua sorella è stata sottoposta a tre interventi ed è in attesa del quarto per le ferite riportate.

Il 29 novembre c’è stato un altro attacco ad Al Achrafiya. Un testimone ha raccontato che le forze di opposizione hanno sparato tre razzi artigianali caduti vicino ad un ristorante: mi trovavo a casa con la mia famiglia mentre sono arrivati i razzi. L’esplosione ha ucciso mia moglie e tre dei miei figli. Sono rimasto solo con il mio figlio più piccolo che ha cinque anni. Ho cercato di portarli in ospedale dopo l’attacco ma non c’è stato tempo, per la forza dell’esplosione e il numero delle schegge. La mia casa è andata completamente distrutta”.

Detenzioni arbitrarie e tortura

Il Syrian Network for Human Rights ha documentato nel 2014 più di 6mila 400 casi di civili arrestati dal governo, dei quali 1915 morti durante la detenzione, a seguito di torture o esecuzioni sommarie. Nello stesso anno 750 membri di gruppi armati di opposizione sono stati arrestati e 48 sono morti in prigione. Secondo SNHR fra il 2011 e il 2014 il governo avrebbe contribuito alla sparizione di 85mila persone. E gli abusi di Aleppo sono rappresentativi di quelli commessi in tutto il paese.  Solo in città, secondo il Violations Documentation Center, 1196 civili sono stati arrestati dal 2011, il 90% di loro ha subito torture e 541 sono morti in carcere.

Si tratta soprattutto di attivisti, pacifisti, operatori umanitari e medici. Molti sono stati arrestati nell’esercizio dei propri diritti di espressione, associazione o assemblea. Ashraf, uno studente che filmò le prime proteste dell’università di Aleppo e le condivise in rete, descrive così il suo arresto, e il rilascio dopo due anni e mezzo: arrivarono all’università verso sera, il primo giorno di esami. Mi picchiarono col calcio di una pistola e mi presero il telefono. Questo era il benvenuto prima di arrivare nella stazione di polizia di Aleppo. Qui un uomo cominciò a picchiarmi, e un altro mi prese la testa e cominciò a sbatterla contro il muro. Mi torturarono per quattro ore. Mi misero dentro a un copertone, mi picchiarono con un cavo di plastica che tagliava la pelle come un coltello. La prima notte fu la più dura, sentivo le voci delle altre persone che venivano torturate, non riuscii a dormire quella notte.

Quando le guardie chiamarono il mio nome un giorno ho pensato che mi avrebbero ucciso. I miei amici cominciarono a piangere e mi salutarono. Non avevo paura. Ero insensibile. Tutto il tempo in prigione era come un sogno, sentivo che avevo bisogno di vederne la fine. Mi chiamarono per rilasciarmi. Fu un risveglio incredibile. Ero entrato (in carcere) che pesavo 82 kg, e quando sono uscito ne pesavo 45.

Il SNHR ha anche documentato la detenzione di almeno 996 persone da parte dei gruppi di opposizione nell’area di Aleppo, incluse 44 donne e 142 bambini. La sorte di almeno 226 di loro rimane incerta. Un operatore umanitario ha raccontato di essere rimasto due mesi in un centro delle Brigate Nur al-Din al-Zanki del Fronte del Levante: mi prelevarono dall’ospedale e mi portarono in prigione, e immediatamente cominciarono a picchiarmi con cavi elettrici. Mi misero un cappuccio nero in testa, erano almeno in sei ad urlarmi contro, mi accusavano di connivenza con il regime. Ma siccome ero un medico, mi chiedevano medicine. Ho visitato centinaia di persone, molte di loro torturate e in condizioni terribili. Ho visto ogni parte della prigione. Le celle di isolamento erano strette, un metro per mezzo metro. Ce ne erano nove, sempre occupate. Dio li aiuti.

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