Libia, Haftar verso Tripoli, infuria la guerra in Cirenaica. Le nuove sfide per l’Italia

Da Reset-Dialogues on Civilziations

Con l’avvicendamento tra Federica Mogherini e Paolo Gentiloni alla Farnesina, il pressing italiano per una soluzione della crisi libica sta diventando sempre più significativo. Anche il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov ha segnalato all’Italia la disponibilità russa a cooperare in Libia. Il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni non ha usato mezzi termini: «Non potremo più delegare gli americani per la sicurezza della Libia», ha detto. È andato ben oltre, chiedendo la fine dei raid aerei e dicendosi pronto a fare una distinzione tra islamisti moderati e radicali.

Il principale tentativo dei militari libici è proprio quello di esportare il modello egiziano di Stato contro terrorismo, e definire in altre parole pericolosi estremisti tutti i movimenti della galassia dell’Islam politico, da Ansar al-Sharia alla Fratellanza musulmana libica. Questa generalizzazione non porta molto lontano. Ma questa volta dietro una Farnesina nuovamente ‘interventista’ ci sono chiari interessi petroliferi e di controllo dell’immigrazione. Su entrambi i fronti gli attacchi di Francia e Gran Bretagna del 2011 hanno colpito direttamente gli interessi italiani e tedeschi in Libia in riferimento al controllo delle risorse petrolifere. E così Gentiloni ha promesso l’invio di una forza di peace-keeping con l’avallo delle Nazioni unite che vedrebbe l’Italia in prima linea.

Ansar al-Sharia attacca Bengasi

La guerra continua prima di tutto a Bengasi dove non si fermano i raid del generale Haftar contro Ansar al-Sharia, gruppo radicale inserito nella lista dei gruppi terroristici dagli Stati uniti e responsabile degli attacchi che nel settembre 2012 causarono la morte dell’ambasciatore Usa in Libia, Chris Stevens. Dieci persone sono morte e otto sono rimaste ferite da un razzo caduto appena qualche giorno fa nel centro di Bengasi. Fonti militari accusano il gruppo jihadista Ansar al-Sharia di aver lanciato il razzo, mirando a un ospedale militare, poi caduto per errore sul quartiere.

Gli islamisti stanno tentando di fermare la nuova marcia di Khalifa Haftar su Tripoli con raid aerei che partono dall’aeroporto di Mitiga. Il capo dell’aviazione militare libica ha promesso nuovi raid per fermare gli attacchi dallo scalo. Qualche giorno fa, i militari vicini all’ex agente Cia, Haftar, che controlla il parlamento illegittimo di Tobruk e sostiene il premier Abdullah al-Thinni, con l’avallo del Cairo, avevano annunciato l’avvio di un’operazione per liberare la capitale libica dalle milizie filo-islamiste. Haftar ha lanciato un ultimatum alle milizie Scudo di Misurata per lasciare la capitale. La procura di Tripoli ha risposto spiccando un mandato di arresto contro Haftar. Poche settimane fa la Corte suprema libica si era espressa per lo scioglimento del parlamento di Tobruk, eletto lo scorso giugno da una minoranza di libici, la cui sede si trova ancorata su una nave a largo delle coste di Bengasi, per le instabili condizioni di sicurezza. Ma la roccaforte dei jihadisti è la città orientale di Derna che ha ora un’organizzazione amministrativa autonoma a cui capo siede Abu al Baraa al Azdi, di origini yemenite. A Derna sono attive anche la brigata Rafallah al Sahati, 17 febbraio e l’esercito dei mujahedin. Questi gruppi dichiarano la loro fedeltà ai jihadisti dello Stato islamico (Isis), attivi in Iraq e Siria.

Tra milizie e sabotaggi dei pozzi petroliferi

La Libia è attra­ver­sata da un’instabilità poli­tica cro­nica sin dal 2011. Sono oltre 1700 le mili­zie pre­senti nel paese, in cui cir­co­lano indi­stur­bate enormi quan­tità di armi, dopo i san­gui­nosi attac­chi della Nato (2011) e la morte vio­lenta del colon­nello Muam­mar Ghed­dafi. Sin dal suo inse­dia­mento, il fra­gile governo isla­mi­sta di Ali Zeidan è stato inca­pace di disar­mare i mili­ziani. Lo scorso ottobre, Zeidan era stato preso in ostaggio per alcune ore. Ma la sfiducia per l’esecutivo, targato Fratelli musulmani, è arrivata lo scorso marzo, quando Zeidan si è dimostrato incapace di impedire l’esportazione di petrolio al cargo Morning Glory da parte dei separatisti della Cirenaica. Proprio da Bengasi è partito il tentativo di golpe dell’ex generale, critico verso Gheddafi, Khalifa Haftar, insieme ai miliziani di Zintan, che ha conquistato Bengasi ma non è riuscito ad entrare a Tripoli. Dopo le elezioni del 25 giugno scorso, con una vittoria dei laici e la formazione del parlamento pro-Haftar a Tobruk, le milizie jihadiste hanno di nuovo conquistato posizioni. In seguito agli scontri che hanno distrutto l’aeroporto di Tripoli e causato oltre 200 morti, nel luglio scorso i gruppi radicali avevano dichiarato la nascita dell’«Emirato di Bengasi», dopo aver preso il controllo delle basi delle forze speciali della seconda città libica. Da allora Haftar ha lanciato almeno tre offensive per sottrarre agli islamisti il controllo di Tripoli. Fin qui l’unico risultato è una Libia sempre più lacerata, sulla stessa terribile strada della Somalia, e spaccata in tre: Cirenaica, Tripolitania e sud desertico che è terra di nessuno.

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