La resilienza Hazara contro la persecuzione talebana

Secondo un sondaggio Gallup del 2022, l’Afghanistan è l’unico Paese al mondo dove la stragrande maggioranza della popolazione, il 92 per cento degli uomini e il 96 per cento delle donne, afferma di dover affrontare difficoltà che rendono la sua vita “pura sofferenza”. In questo regno di agonia, il fardello degli hazara è ancora peggiore e si intensifica ancora per le donne hazara.

Gli hazara parlano persiano, praticano prevalentemente l’Islam sciita e costituiscono circa il 20 per cento della popolazione afghana. Per gran parte della sua storia sono stati “l’altro” nella “nazione afghana”, che si basa sull’Islam sunnita, sull’identità etnica pashtun e, in una certa misura, sulla lingua pashtu. Per gli hazara, rientrare in questa categoria ha avuto un costo elevato: il genocidio e la perdita dell’autonomia politica negli anni novanta dell’Ottocento, quando l’Afghanistan fu unificato con la forza da Amir Abdur Rahman, sostenuto dagli inglesi e noto anche come “Amir di ferro” per la sua brutalità, seguito da un secolo di massacri e persecuzioni sistematiche.

Negli ultimi venti anni, quando la Costituzione afghana del 2004 garantiva, almeno in teoria, libertà e pari diritti a tutti i cittadini, gli hazara hanno cercato l’istruzione come ultima risorsa. Anche se il sistema educativo afghano era ben al di sotto degli standard globali, gli hazara sembravano prosperare. Una condizione non gradita ai talebani e ad altri gruppi estremisti islamici che hanno continuato a prendere di mira gli hazara, mentre il governo afghano non è riuscito a garantire la sicurezza della comunità. Negli ultimi anni, gli hazara sono stati attaccati ovunque, compresi centri educativi, scuole, club sportivi e persino nei reparti di maternità. Con il ritorno dei talebani al potere nel 2021, gli hazara hanno affrontato ulteriori persecuzioni etniche e religiose.

Il deterioramento della situazione degli hazara ha sollevato preoccupazioni di abusi diffusi. Organizzazioni come l’United States Holocaust Memorial Museum (USHMM) hanno messo in guardia da potenziali atrocità di massa, ribadendo la necessità di un’azione urgente. Alcuni esperti hanno descritto la situazione attuale come un “lento genocidio“, sottolineando la gravità della minaccia in corso.

I talebani, armati fino ai denti con equipaggiamenti militari forniti dagli Stati Uniti – destinati all’esercito afghano in disfacimento –, forti della loro “vittoria” e non scoraggiati dalla comunità internazionale, hanno intensificato la persecuzione degli hazara. Di recente, hanno iniziato a detenere arbitrariamente donne e ragazze hazara nell’enclave di Dasht-e Barchi, nella parte occidentale di Kabul, e nelle province di Ghazni e Daikundi, perché “non indossavano il corretto hijab“.

Sebbene l’ipotesi prevalente sia che le recenti detenzioni arbitrarie di donne e ragazze hazara da parte dei talebani derivino dalla loro interpretazione estremista dell’Islam, in particolare dall’applicazione del loro draconiano “Decreto sull’Hijab” del 25 aprile 2022, molte prove e testimonianze suggeriscono che queste detenzioni sono motivate meno dall’“applicazione dell’hijab” e più dall’intenzione di emarginare e perseguitare ancora di più gli hazara.

Secondo Shah Gul Rezaie, ex membra del Parlamento afghano, la società hazara, come le altre popolazioni dell’Afghanistan, è religiosa e le persone osservano l’hijab di default. Non c’è nessuno per strada senza hijab e gli arresti arbitrari dei talebani non hanno nulla a che fare con l’hijab o l’Islam. Le immagini dei centri di detenzione mostrano “poliziotte” talebane che arrestano donne con il capo completamente coperto.

L’attivista per i diritti umani Tamana Rizaei, che ha protestato contro il divieto di lavoro e di istruzione alle donne imposto dai talebani e contro l’uccisione di Zainab Abdullah – una donna hazara di Kabul ovest – da parte dei combattenti talebani, afferma che la detenzione di donne e ragazze hazara da parte dei talebani ha motivazioni etniche e religiose. Rizaie e il gruppo di donne con cui stava protestando sono state detenute dai talebani per quasi un mese nel 2022.

Per spiegare la sua posizione, Rizaei dice a Reset: “Le donne e le ragazze hazara, a modo loro, hanno resistito all’inflizione di terrore e paura da parte dei talebani. I talebani hanno chiuso le scuole, ma le ragazze hazara sono andate in centri educativi segregati per genere. I talebani dicevano “hijab come diciamo noi [talebani]”, le donne e le ragazze si adeguavano con rassegnazione, ma continuavano a frequentare le lezioni, e molte cercavano di imparare una lingua straniera e di cercare un’istruzione all’estero. Poi, quando i Talebani si sono resi conto di non poter fermare le ragazze, hanno iniziato a trattenerle arbitrariamente, accusandole di non indossarne uno adeguato. Ma l’hijab e l’Islam sono scuse“.

L’attivista per i diritti delle donne Fariza Akbari, che ha anche protestato contro i talebani ed è stata detenuta insieme al marito nello stesso periodo di Rizaei nel 2022, ha una visione simile: “È chiaro che le recenti detenzioni sono legate all’etnia hazara delle ragazze e alla loro fede sciita“.

Akbari racconta che quando la sua situazione è peggiorata durante la detenzione, durante l’interrogatorio “ho detto che non avevo commesso alcun crimine e che volevo essere rilasciata. L’interrogatore talebano mi ha detto: ‘Voi sporchi sciiti state protestando contro l’Emirato islamico e dovete essere puniti’, e io ho risposto che non ero sciita e che mi ero convertita all’Islam sunnita anni fa”. Questo, dice Akbari, “ha immediatamente ammorbidito il loro tono”. La rivelazione della sua fede potrebbe aver ammorbidito il tono degli interrogatori, ma non ha salvato il bambino di Akbari, che ha subito un aborto spontaneo dopo il suo rilascio. Lei ritiene sia avvenuto solo perché non ha potuto ricevere le cure mediche necessarie durante la detenzione.

La detenzione talebana è stata terribile per Akbari e Rizaei. Erano costretti a digiunare di giorno, a pregare di notte e talvolta venivano punite per essersi addormentate. Rizaei dice del trattamento riservato dai talebani agli hazara: “Le talebane sono brutali quanto gli uomini”. Aggiunge: “Non ci chiamavano nemmeno per nome, ma con termini dispregiativi come ‘sporchi infedeli hazara’”.

Rizaei e Akbari sono state rilasciate dopo aver confessato, sotto la minaccia delle armi, di essere state trattate bene e che il loro atto di protesta era sbagliato, e le loro famiglie sono state costrette a firmare una garanzia che non avrebbero protestato di nuovo. Entrambi confermano che i talebani hanno chiesto copie degli atti di proprietà delle loro famiglie oltre ai documenti d’identità. Notizie recenti, tuttavia, indicano che i talebani chiedono denaro per il rilascio di donne e ragazze.

Maryam, studentessa dell’Università di Herat, che preferisce essere identificata solo con il suo nome di battesimo, afferma: “I talebani disprezzano le donne e le ragazze, soprattutto quelle hazara perché, ai loro occhi, siamo nate con quattro peccati imperdonabili: hazara, donne, sciite e in cerca di un’istruzione”. Ciò che teme di più è che “i talebani possano riuscire a confinare le donne nelle loro case, infliggendo paura e violenza alle donne e alle loro famiglie”.

Un resoconto dettagliato delle testimonianze di tre persone detenute dai talebani suggerisce che il gruppo usa la tortura come metodo più comune per estorcere confessioni, cosa che hanno sperimentato sia Rizaei che Akbari.

Se per molti la detenzione arbitraria ha conseguenze psicologiche irreversibili, a molti altri è costata la vita: le donne e le ragazze detenute dai talebani sono ulteriormente stigmatizzate dalla società. Secondo Rina Amiri, l’inviata speciale degli Stati Uniti per le donne, le ragazze e i diritti umani in Afghanistan, “alcune [delle donne detenute] che hanno affrontato la prigionia durante la notte hanno commesso autolesionismo e si sono suicidate per paura del disonore”.

Per quanto riguarda gli hazara, i diritti della comunità sono ulteriormente minacciati dalle politiche di omogeneizzazione religiosa dei talebani, che prendono di mira in particolare la libertà religiosa degli hazara sciiti. All’inizio del 2023, i Talebani hanno eliminato dai programmi di studio la teologia sciita, insegnata nelle università delle province dominate dagli hazara, come Bamiyan. In seguito, hanno ordinato alle università private di ripulire le loro biblioteche dai testi islamici non sunniti, compresi quelli sciiti e altri libri religiosi.

Il ministro talebano dell’istruzione superiore ha negato in un discorso che l’Afghanistan sia un Paese di religioni multiple, affermando che “tutti [gli abitanti] sono seguaci dell’Islam Hanafi [la principale branca dell’Islam sunnita]”. In modo analogo, il governatore talebano di Herat, Noor Ahmad Islam Jar, nel suo recente libro in arabo, Research on the Māturīdiyyah Doctrine, descrive gli sciiti come “infedeli”. Tutto questo, insieme agli ingenti investimenti dei talebani nelle madrase jihadiste sunnite, difficilmente lascerà spazio alla libertà religiosa.

Gli hazara sono da tempo in una situazione di insicurezza. Mesi prima che i talebani riprendessero il controllo dell’Afghanistan nell’agosto 2021, la comunità ha dovuto affrontare livelli di violenza senza precedenti. Un rapporto delle Nazioni Unite ha documentato 20 attacchi violenti contro di loro solo nella prima metà del 2021.

I talebani, che hanno commesso diversi massacri di civili hazara durante il primo periodo al potere, dal 2021 hanno ucciso e fatto sfollare gli hazara. Quando hanno preso il controllo di parti della provincia di Ghazni, hanno ucciso nove hazara. Mesi dopo aver preso il controllo dell’intero Paese, hanno fatto altre 13 vittime hazara, tra cui una ragazza adolescente nella provincia di Daikundi. Allo stesso tempo, hanno allontanato gli abitanti hazara da diversi villaggi di Daikundi e successivamente da altri luoghi nelle province di Ghor, Daikundi e Urozgan.

Dal ritorno dei talebani, centinaia di hazara sono stati uccisi o feriti in attacchi rivendicati dall’Isis in tutto il Paese. I talebani, in quanto “autorità di fatto”, non hanno esitato a tollerare questi attacchi. Negli ultimi due anni, in caso di dispute tra gli abitanti dei villaggi hazara e i nomadi pashtun kuchi, che in primavera si spostano in alcune zone delle regioni hazara con le loro greggi di pecore, i talebani si sono sempre schierati dalla parte dei kuchi, costringendo gli hazara a pagare somme estremamente elevate come “risarcimento” arbitrario.

Secondo quanto riportato, nel 2023, i residenti pashtun del distretto di Urozgan-e Khas, nella provincia di Urozgan, hanno distrutto le proprietà dei loro vicini hazara, tagliato i loro alberi da frutto, incendiato le loro case e dato fuoco alle loro coltivazioni di grano. Secondo la gente del posto, questi atti di violenza e abuso sono stati compiuti in coordinamento con i talebani.

 

 

Immagina di copertina: membri della comunità hazara a una manifestazione l’8 ottobre 2022. Foto di Aamir Qureshi/Afp.

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