Il Nobel per la Pace: un premio
alla nostra lotta per il pluralismo

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Ricordo ancora quel sabato, il 12 ottobre del 2013. Ci apprestavamo ad aprire i lavori del nostro workshop su “Ruolo della società civile per la riuscita del dialogo nazionale” quando, tutto d’un tratto, un gruppo di agenti di polizia ha fatto irruzione nella stanza e ha iniziato a perlustrarla da cima a fondo. Avremmo poi saputo in un secondo momento che erano stati avvisati della presenza di un oggetto sospetto. Avendo iniziato il workshop più tardi del previsto, eravamo ancora a metà dei saluti di apertura quando la sala convegni è stata invasa da un gruppo di miliziani decisi a mandare a monte il nostro lavoro, che scandivano incessantemente slogan contro il dialogo. Avevamo invitato al seminario rappresentanti di tutti i più importanti partiti politici, ma al delegato del Nidaa Tounes (Appello della Tunisia) era stato impedito di entrare.

Questo per spiegare quanto fosse difficile la situazione che stavamo vivendo quando nel 2013 è stata lanciata per la prima volta l’idea di un Dialogo Nazionale Tunisino. Quel dialogo non sarebbe mai stato possibile senza il famoso incontro “segreto” del 15 agosto 2013 tra i due grandi sceicchi (saggi, anziani) Béji Caïd Essebsi e Rached Ghannouchi. Solo pochi intimi sapevano di quell’incontro. Né l’opinione pubblica né i seguaci dei due leader erano consapevoli di ciò che si stava pianificando dietro le quinte. Con il ripartire della stagione politica era necessario entrare nel vivo di quel processo. C’è voluto un enorme sforzo pedagogico, dal momento che tra i due fronti di sostenitori la tensione era alle stelle all’indomani del lungo sit-in organizzato fuori dall’Assemblea Costituente dopo l’assassinio, il 25 luglio, di un deputato di sinistra. Calmare le acque e andare avanti nell’instaurare un dialogo che scongiurasse il realizzarsi di uno scenario simile a quello che aveva preso piede in Egitto era un grosso azzardo. Il ruolo svolto in questo senso dal più importante sindacato dei lavoratori nel Paese, l’Union Générale des Travailleurs Tunisiens (UGTT), ha rappresentato un fattore decisivo e determinante. Dopo due battute d’arresto, specie quando il leader del maggiore sindacato nazionale ha deluso le aspettative dei fautori della disobbedienza civile facendo cadere il governo con la forza, il destino della Tunisia è stato segnato il 25 ottobre dall’annuncio ufficiale del fatto che questo dialogo era stato finalmente instaurato.

Pur se inizialmente claudicante, dall’avvio macchinoso e caotico, il dialogo ha finito per salvare la Tunisia dalla catastrofe. Ha costretto gli islamisti più ostruzionisti ad accettare che si formasse un governo di transizione e la sinistra più radicale a smettere di reclamare vendetta per il suo deputato vilmente ucciso. Il processo si è consolidato nel giro di un anno circa con l’adozione di una Costituzione approvata quasi all’unanimità e successivamente con il secondo trasferimento di poteri portato avanti in maniera pacifica dopo la rivoluzione (2011 e 2014).

Il Nobel per la Pace, assegnato quest’anno alla società civile tunisina, rappresentata dai quattro principali attori coinvolti in questo dialogo nazionale (Unione Generale dei Lavoratori Tunisini (UGTT), Confederazione degli Industriali (UTICA), Lega dei Diritti Umani (LTSH) e Ordine Nazionale degli Avvocati), ha dichiaratamente l’intenzione di attribuire a questa esperienza una dimensione universale. È un segnale potente inviato alla vicina Libia, che potrebbe salvarsi grazie a un processo analogo, se supportata più attivamente dalla comunità internazionale. Le probabilità che un processo del genere venga attuato anche in Yemen sono certamente di meno, ma tuttavia esistono. La Siria è un caso più complesso, ma il dialogo nazionale è la sola alternativa per il Paese alla catastrofe totale e alla guerra perenne, o al rischio della deriva verso un conflitto tra Occidente e Russia.

Noi tunisini siamo fieri dell’esperienza fatta e ci sentiamo di appoggiare altre nazioni che aspirino a rendersi protagoniste di un pacifico e realistico cambiamento. Ringraziamo tutti coloro che ci hanno sostenuto e aiutati a dare vita a questo piccolo miracolo.

Professor Mohamed Haddad, Presidente dell’Osservatorio Arabo delle Religioni e delle Libertà

Traduzione di Chiara Rizzo

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