Ecco come i media italiani ci raccontano le minoranze

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Qual è l’immagine delle minoranze nei media italiani? E soprattutto quali sono gli strumenti che i media offrono per conoscere le minoranze in Italia? Questa è la domanda che si è posto uno studio condotto dal Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale dell’Università la Sapienza, durato circa un anno durante il quale per 275 giorni sono stati monitorati 24 ore su 24 telegiornali, trasmissioni di attualità e di approfondimenti, radiofonici e televisivi, per analizzare il trattamento delle varie minoranze (etniche, religiose, sessuali, sociali, etc..) da parte dei media in Italia.

Il risultato di Minorities Stereotypes on Media si sintetizza in una affermazione del professore Mario Morcellini: “dopo essere trattati dai media i soggetti deboli ne escono ancora più deboli” e perdono ogni possibilità di riscatto.

Un lavaggio forte, dunque, con centrifuga a mille giri e senza ammorbidente quello riservato alle minoranze che ne escono piuttosto stropicciate. E così la loro immagine. Gli immigrati, i rifugiati, gli omosessuali, i detenuti, i tossicodipendenti rischiano di essere definiti così come una semplice categoria, una gabbia vuota, che viene riempita di pregiudizi, senza indagare sulle cause. “Nel sistema dei media – sottolinea Morcellini – noi vediamo quasi sempre le emergenze e non le ragioni che le hanno provocate”. Questo contribuisce a un appiattimento delle questioni, rendendo più difficile ai fruitori di dotarsi di strumenti adatti alla comprensione.

Spesso, sottolinea invece Foad Aodi, presidente della Comunità del Mondo Arabo in Italia, “siamo costretti a sperare che accada qualche evento di cronaca perché alcune questioni vengano affrontate”. È il caso, ad esempio, del conflitto libico: “prima di allora nessuno aveva fatto approfondimenti sulla questione. O è anche il caso dei copti in Egitto”.

Le categorie, gli idoli e i pregiudizi

Dal 1 giugno 2010 al 30 giugno 2010, rom, sinti, nomadi, zingari, e poi immigrati, rifugiati, richiedenti asilo, clandestini e profughi; gay, lesbiche, transessuali; tossicodipendenti, ex tossicodipendenti, detenuti ed ex-detenuti e, ancora, ebrei, musulmani, buddhisti, induisti, protestanti o testimoni di Geova sono stati monitorati, analizzati e passati al microscopio dai ricercatori che li hanno rinvenuti nel mainstream dell’informazione. Sono queste le categorie prese in esame dallo studio, per un totale di 12mila trasmissioni radiofoniche e millecinquecento televisive; categorie che racchiudono in sé diversità peculiari dietro le quali si celano storie e origini differenti e che, invece, molto spesso vengono utilizzate dai media in maniera non corretta o ambigua.

Il gruppo che più degli altri è finito nella centrifuga mediatica nell’ultimo anno è prevedibilmente – visti gli eventi che hanno scosso il Nord Africa nel 2010 – quella dei migranti e dei rifugiati, con il 61% dei casi citati in tv e radio. In particolare, in televisione il 71% dell’informazione sulle minoranze ha riguardato gli “stranieri” con episodi legati sia all’attualità politica internazionale sia alla cronaca nera. Più di quattromila notizie (4.373) a fronte delle circa mille volte (978) in cui si è parlato di rom, sinti e nomadi e delle novecento (913) in cui a guadagnare la ribalta virtuale sono state le minoranze religiose, seguite da quelle sessuali (686 casi) e, a distanza, da tossicodipendenti e detenuti (111 notizie).

Spesso la copertura mediatica di questi eventi è legata alla cronaca di altri Paesi, come le espulsioni dei rom decise in Francia o le violenze nei confronti dei cristiani nei Paesi a maggioranza musulmana (in Iraq ed Egitto, ad esempio) e nella maggior parte dei casi la categoria del “migrante” viene descritta attraverso un unico profilo e cioè quello della migrazione economica, sfuggendo così le ragioni più profonde di chi lascia il proprio Paese di origine e richiede asilo altrove. Mentre, per quel che riguarda le minoranze sessuali, l’attenzione mediatica si accende soltanto in occasioni di eventi come i Gay Pride o in concomitanza di discussioni pubbliche su nuove norme, quali ad esempio quelle sui matrimoni fra omosessuali. Gli ultimi della lista, tossicodipendenti, ex tossicodipendenti e detenuti ricevono, invece, rappresentazione solo in relazione a episodi di cronaca nera (anche le questioni politiche legate alle condizioni delle carceri sono legate all’accensione dei riflettori mediatici). Tutto questo si traduce in due fenomeni: la sovraesposizione momentanea per ciascuno di questi gruppi a cui seguono periodi di buio che impediscono la reale comprensione della realtà e il paradosso della gerarchizzazione delle minoranze per cui esistono minoranze anche all’interno delle stesse minoranze.

Televisione cattiva maestra?

Quello che emerge da Minorities Stereotypes on Media è, in sostanza, quello che aveva già spiegato Mc Luhan e cioè che “il mezzo è il messaggio” ovvero l’approccio alle questioni cambia a seconda del medium che le tratta.

“Rispetto alla radio – si legge nello studio – la televisione sembra appiattire il discorso delle minoranze maggiormente sulla categoria dei migranti”, mentre “la presenza delle altre categorie è sicuramente più significativa nella radio” che grazie alla maggior quantità di notizie veicolate dai giornali radio e ai suoi format diversificati può permettersi di ampliare i propri orizzonti e di proporre maggiori approfondimenti.

Per Mario Morcellini “la radio è meno ingenerosa della televisione nei confronti dei soggetti deboli”. Questo significa anche che viene a cadere il dogma secondo cui è il pubblico, con le sue preferenze, a condizionare l’offerta mediatica.

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