Camerun, l’emergenza dell’“Estremo nord”
Siccità e rifugiati nella morsa Boko Haram

Da Reset-Dialogues on Civilizations

È stata una delle “stagioni secche” più dure della storia del Camerun quella che si sta per concludere nell’Estremo Nord, come viene chiamata la regione settentrionale del Paese. Dove Nigeria e Ciad si abbracciano, nei pressi dell’omonimo Lago, le temperature superano i quaranta gradi per otto lunghi mesi l’anno, da ottobre a maggio. Mesi durante i quali la gente vive sostanzialmente di miglio, riserve e alimenti provenienti da sud, quindi molto cari per i bassissimi salari locali. La povertà è diffusa e il caldo insopportabile.

Ma l’ultimo anno non è stato solo il sole a bruciare questa terra: la follia di Boko Haram ha valicato il confine, uccidendo, sequestrando, violentando e devastando i villaggi locali, oltre che i simboli religiosi e quelli “dell’Occidente”. Fece notizia nel febbraio 2013 il rapimento dei sette turisti francesi nel meraviglioso Parco naturale di Waza (centro-nord, oggi chiuso al pubblico), liberati due mesi dopo. Nell’aprile 2014 vengono fatti ostaggio per un mese due sacerdoti italiani, don Giampaolo Marta e don Gianantonio Allegri, e suor Gilberte Bussière, canadese. Ancora, a maggio sempre a Waza è la volta di dieci operai cinesi della ditta Syno-Hydro, rapiti mentre lavoravano alla costruzione di un tratto della strada Maroua-Kousseri.

Dall’autunno 2014, invece, nel mirino di Boko Haram sono gli stessi camerunesi: si è passati dal sequestro di bianchi (sostanzialmente missionari, pochi turisti e qualche imprenditore), a scopo di estorsione, alle rappresaglie nei villaggi vicini al confine. Il gruppo jihadista ha colto alla sprovvista gli stessi militari con una brutalità inaspettata e strategie prima ignote. “Non sapevamo neanche noi chi fosse il nemico”, mi dice Mahmat, soldato della mia scorta che ha combattuto alla frontiera lo scorso autunno, “in un giorno solo ho perso venti dei miei compagni, siamo stati sorpresi da questi terroristi in motocicletta”.

Boko Haram iniziava allora ad attaccare in territorio camerunese. In pochi mesi sono inoltre giunte notizie di civili saltati sulle mine sulla strada che collega Kousseri a Fotokol, lungo il confine nord-occidentale, che non risulta a oggi bonificato.

Ora la situazione è più calma, e le misure di sicurezza imposte ai pochi bianchi rimasti nel Nord del Camerun (per la quasi totalità missionari) si sono addolcite. Non ci sono stati nuovi scontri al confine e l’esodo di profughi sembra, attualmente, stabilizzato. “Boko Haram volge lo sguardo al vicino Niger”, ricco di combustibili, è la spiegazione di Mahmat. Sempre qualche settimana fa dalla Nigeria sono arrivate notizie rincuoranti sulla liberazione di centinaia di ostaggi. Chissà che l’elezione di Muhammadu Buhari, musulmano del Nord, alla guida della Nigeria dopo il cristiano nativo della regione meridionale, Goodluck Jonathan, non abbia la forza di dare finalmente legittimità ai vertici politici di Abuja. La vittoria di Buhari rispecchia, infatti, quell’alternanza tra religioni che per tradizione ha dettato in passato le regole di assunzione del potere politico in Nigeria. È possibile che questa circostanza, associata a strategie di sicurezza innovative, riesca ad arginare l’azione dei terroristi.

Ma è troppo presto per dirlo. Per il momento, in Camerun continuo a vedere militari nei principali centri abitati e posti di blocco lungo le strade; per volontà dello Stato, scorte accompagnano gli stranieri negli spostamenti e vegliano sulle nostre abitazioni durante la notte. Migliaia di soldati camerunesi continuano a monitorare la frontiera, dove tra l’altro negli ultimi sei mesi sono stati denunciati traffici di armi anche attraverso il passaggio dei profughi (mitragliette trovate nascoste sotto gli abiti delle donne).

Impossibile che l’infiltrazione di Boko Haram si sia realizzata senza l’appoggio di elementi interni, sostengono alcuni. Frange delle popolazioni di confine  vedrebbero secondo loro con favore una scissione da questo Camerun che, sebbene con tempi lunghissimi, si modernizza e si apre alla religione cristiana (nonostante l’Islam sia religione di minoranza in Camerun, ci sono tuttavia villaggi sulla frontiera totalmente musulmani in cui la religione è vissuta in maniera molto rigida). Preoccupa in questo senso l’evidente calo del numero di bimbi mendicanti. Per la quasi totalità si tratta di alunni delle scuole coraniche, un fenomeno comune a molti Stati africani. L’ultima volta che visitai il Camerun notai molti più adolescenti con la classica ciotolina per gli spiccioli, a chiedere elemosina nelle strade. Dal confronto con fonti locali emerge il timore che gli scolari più grandi possano essere passati all’arruolamento, come giovani soldati del Jihad.

Dal punto di vista dell’emergenza umanitaria la situazione nell’Estremo Nord rimane critica: ci sono ancora 80.000 profughi circa lungo il confine con la Nigeria. 45.000 sono stati accolti dalle Nazioni Unite nel campo di Minawao, gli altri riuniti in accampamenti di fortuna, improvvisati con paglia e le poche cose che sono riusciti a portar con sé nella fuga. Per lunghi mesi donne e bambini sono rimasti schiacciati sotto le bombe della guerra regionale, stretti in una morsa tra Boko Haram da una parte, gli eserciti di Camerun e Ciad (coalizzati con Nigeria, Niger e Benin) dall’altra. Inoltre, il rientro nei villaggi di origine è una prospettiva che resterà impraticabile per anni; molti non riescono neanche ad ottenere lo status di “rifugiato”, avendo disperso i documenti.

Le Caritas locali sono le sole a portare con una certa periodicità derrate alimentari e medicine. Hanno curato malati, realizzato toilettes e perforazioni per l’acqua potabile. Se si pensa che a queste cifre vanno inoltre aggiunti, sul fronte sud-orientale, i rifugiati dalla Repubblica Centroafricana, si capisce bene che le possibilità delle organizzazioni caritatevoli sono insufficienti. E lo Stato rimane per lo più assente.

Le Istituzioni camerunesi sono poco presenti in generale nella vita della gente comune. Per dare un esempio, tra i giovani cresce il desiderio di alfabetizzazione e, sebbene la qualità dell’insegnamento sia spesso scadente nei contesti dislocati, oggi anche i villaggi più remoti hanno scuole elementari. Ma con quali prospettive per i giovani? Non esistono grandi aziende o importanti risorse nazionali. Le infrastrutture sono molto arretrate anche nei centri abitati, e i principali diritti civili (come la salute pubblica, l’educazione, la mobilità) rappresentano ancora una conquista.

Il Paese sembra avviarsi lentamente a una fase di passaggio alla modernità e globalizzazione, a mettere cioè da parte quel mondo rurale tradizionale ancora organizzato in chiefferie e sultanati, quel contesto in cui le azioni quotidiane della gente restano ampiamente ispirate dall’animismo (che è ancora molto diffuso e praticato), senza avere però apparentemente sbocchi adeguati per i giovani. Con il rischio che essi cadano facilmente, di volta in volta, in balia dell’incantatore di turno. Che si tratti dell’impresa straniera (è il caso ad esempio della francese Sodecoton, che detiene il monopolio della produzione del cotone camerunese e che impone, tra le altre cose, prezzi stracciati, quote di produzione difficili da onorare e uso di erbicidi chimici che distruggono il sottosuolo), o della propaganda di Boko Haram, capace di fare breccia presso i giovani senza un’alternativa credibile alla noia, alla disoccupazione e allo sfruttamento.

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