Caos Brasile: le élite si ribellano
e per Dilma è impeachment

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Sostengono i più smaliziati che la città sia stata fondata in mezzo al nulla e in un’area sconfinata prima semi-disabitata, perché tale ampiezza rendesse possibile la costruzione dei palazzi del potere molto distanziati l’uno dall’altro. Così da superare il concetto sociale di piazza e sottrarre riferimenti concreti in caso di eventuali assembramenti e manifestazioni anti governative. Nel giorno in cui dopo mesi di accese battaglie politiche, in parlamento a Brasilia sono iniziate le votazioni per l’impeachment della presidente Dilma Rousseff, anche questo tabù è stato superato.

Dopo aver aizzato la popolazione in centinaia di manifestazioni in varie città brasiliane sin dal 2013, i politici divisi tra pro e contro impeachment, hanno accettato che anche a Brasilia si riproponesse, nel giorno più importante della storia recente del Paese, quella divisione netta caratteristica dello scontro politico e sociale. Il procedimento per la messa in stato d’accusa della ‘presidenta’ Dilma, avviato lo scorso lunedì con il voto favorevole di una commissione speciale alla Camera, arriva infatti al termine di un lungo periodo di mobilitazioni e scontri, che ha visto una sempre maggiore polarizzazione della popolazione e una radicalizzazione preoccupante delle posizioni.

Per evitare contatti pericolosi tra le due ‘curve’ di manifestanti che da mesi si ringhiano contro per le strade e sui social network, sulla spianata dei ministeri sono state costruite di due enormi barricate. Due muraglie di acciaio lunghe un chilometro erette lungo due lati opposti dove accogliere, divisi, i dimostranti. Mezzo milione di persone. Al centro una camera di compensazione larga 80 metri, pattugliata da un numero enorme di poliziotti.

Scenario

Il cuore della capitale diviso in due, rappresenta appieno la divisione all’interno della società brasiliana e sintetizza questi mesi di battaglia. Una separazione dalla radice antica: colonizzatore-colonizzato, fazendero-schiavo, bianco-nero, ricco-povero; finita in chiave moderna, per sintetizzarsi in pro e contro il governo Dilma. Ancor più pro e contro il Pt (partito dei lavoratori) e il suo leader, l’ex presidente Luiz Ignacio ‘Lula’ da Silva: uno dei maggiori elementi di discontinuità in cinquecento anni di storia. Primo presidente non proveniente dagli ambienti della ricca e bianca élite dominante, primo presidente di sinistra, e primo presidente ad aver attuato politiche di sinistra in favore delle fasce povere della società.

Nel periodo di boom economico dei due governi Lula, il passaggio dei poveri da indigenti a consumatori, aveva fatto sorridere anche quelle classi economiche dominanti ufficialmente contrarie alla forma ‘assistenzialista’ di sostegno al reddito dei più deboli e la classe media. E fino a che l’economia non ha iniziato a decrescere è andata bene a tutti. Aver destinato ingenti risorse a quei settori poveri della società da sempre sfruttati, ghettizzati e tenuti fuori dalla classe dirigente, non è stato più perdonato ai governi del Pt quando il pil è crollato. Soprattutto a causa dell’incapacità in politica economica mostrata dal governo Dilma. La mancanza di un’oculata gestione, l’assenza di una visione di prospettiva per l’economia e l’insufficienza di riforme che avrebbero modernizzato il Paese sono venute al pettine. E le élite all’opposizione, si sono rivoltate.

Gli attacchi dei partiti di destra nell’ultima campagna elettorale erano stati intensi soprattutto per il disastro economico. Poi quando le notizie dell’inchiesta sul maxi giro di tangenti alla Petrobras è deflagrata, nel 2013, il tema centrale degli attacchi è divenuto quello della corruzione. Nonostante questo Dilma e il Pt hanno vinto le elezioni.

Impeachment

Nel corso dei mesi, l’avanzare dell’inchiesta “Lava Jato” ha portato alla luce un antico e sfacciato schema di corruzione sistematico tra imprese private, pubbliche e partiti poltici. Le investigazioni, discutibili per molti aspetti, hanno travolto tutti i partiti, tra i quali il Pt di Dilma, ma mai il nome della presidentessa è venuto fuori con responsabilità dirette. Nonostante questo il fronte anti-Dilma ha iniziato a invocare sempre più l’impeachment della presidente. L’accusa che ha motivato l’apertura del lungo procedimento parlmanetare per l’apertura dell’Impeachment, è stata al bocciatura da parte della Corte dei Conti federale dei conti dello Stato, viziati da irregolarità di bilancio (prestiti chiesti alle banche e senza approvazione del parlamento per mascherare buchi). Non un reato grave “di responsabilità” come sostengono i giuristi contro l’impeachment. “Senza crimine è golpe” è diventato così uno degli slogan in difesa di Dilma. E contro il golpe in migliaia sono scesi in piazza a favore di Dilma.

La questione giuridico istituzionale, maschera la verità di fondo: tutta politica. Se l’impeachment è andato avanti è perché il Pmdb (partito del movimento democratico brasiliano) ha deciso di rompere l’alleanza di governo con il Pt, che era valsa 600 poltrone e la presidenza delle camera. E proprio dal vertice della Camera, il chiacchierato Eduardo Cunha, è partito tutto. L’isteria collettiva che ha colpito il Brasile ha distolto molti da un’analisi di alcuni elementi fondamentali. Il Pmdb che condanna la corruzione del Pt, motivando con questa le accuse a Dilma, è il partito maggiormente colpito dalle indagini sulla corruzione alla Petrobras. E non è la sola anomalia. Nella commissione speciale che lunedì ha autorizzato l’avvio del procedimento di Impeachment, dei 65 deputati, ben 35 sono al centro di investigazioni, indagini o processi. Trentatré di questi hanno votato per l’impeachment. In totale i 35 sommano ben 153 pendenze giudiziarie tra illeciti amministrativi, corruzione, riciclaggio e associazione per delinquere. Sei deputati sono già stati condannati e otto sono sotto accusa presso Supremo Tribunal Federal. Di questi, sette sono del Pmdb, sette del Pp. Ex alleati ora principali accusatori.

Il presidente della Camera Eduardo Cunha del Pmdb, dal canto suo è a processo presso il Supremo Tribunal Federal, accusato di aver ricevuto 5 milioni di dollari di mazzette nell’ambito dell’inchiesta per la corruzione alla Petrobras e di riciclaggio di denaro sporco, e già condannato per voto di scambio a Rio de Janeiro. Se dovesse passare alla camera, fondamentale per la messa in stato di accusa del presidente sarà il passaggio in Senato. Sul capo del presidente 
Renan Calheiros del Pmdb pendono nove accuse al Supremo Tribunal Federal, sempre nell’ambito dell’inchiesta Lava Jato, per corruzione, riciclaggio di denaro, e associazione a delinquere.

In questo clima infernale da resa dei conti, con i nervi di tutta la nazione tesi e milioni di persone in strada in molte città, settimana scorsa sono iniziate discussioni alla camera. Perché il testo che apre al processo di impeachment approdi in Senato, era  necessario che i due terzi dei deputati votassero a favore: 342 sui 513. Ed è proprio quello che è successo domenica sera, quando il governo ha ammesso la sconfitta prima del raggiungimento del quorum, quando i sì erano 304 e i no 107, dopo una battaglia che molto accesa, e meno scontata rispetto a quanto riporta compatta la stampa nazionale, tutta spesso strumentalmente su posizioni antigovernative e pro impeachment. Dopo la bocciatura del ricorso dell’avvocatra di Stato per vizio di forma, il fronte a favore della ‘presidenta’ guidato da Lula, si è concentrato nuovamente sul versante politico, stilando nel pomeriggio di venerdì un manifesto “contro l’impeachment” e “in difesa della democrazia”, firmato da 186 deputati.

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Twitter: @luigi_spera

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