De Luca, la Severino e i separati in casa

Il Corriere della sera: “’Iran pronto a una nuova era’. Rouhani: se l’America rispetta l’intesa nucleare sarà possibile riaprire le ambasciate”. “Parla il presidente che sabato è a Roma. ‘In Siria lotta comune all’Isis, poi elezioni”.

In alto la vicenda De Luca: “La giudice al telefono: ‘Finito, è fatta’. E il marito avvertì la squadra di De Luca”. Un articolo in prima si sofferma sulle conseguenze nel Pd: “Paura di un altro caso Marino”. Un “retroscena”: “Il governatore è le ‘infamità’”. L’editoriale, firmato da Marco Demarco: “Lo sceriffo ha perso la stella”.

A fondo pagina: “Ecstasy e viaggi con i soldi dell’8 per mille. L’ex abate svuotava i conti di Montecassino. Bottino da oltre mezzo milione”.

La Repubblica: “Assedio a De Luca. Nuova inchiesta sul voto campano”, “Il governatore si difende: sono io la parte lesa. Fiducia dal Pd. Orlando: il giudice coinvolto chiarisca. La magistrata indagata: sono separata in casa”.

A centro pagina: “Unicredit licenzia 18mila lavoratori. Allarme Bce: i governi facciano di più”, “In Italia 7mila taglia. Parla Coeuré (Eurotower): Roma? Prima riduca il debito”.

In evidenza, con foto: “Madrid gela Barcellona: ‘No all’indipendenza’”, “Rajoy: la Spagna resterà unita”.

Sulla colonna a destra: “L’atleta perfetto. Il sogno chimico della Russia”, di Silvia Ronchey.

La Stampa: “De Luca: io parte lesa. Ma c’è la telefonata che rivela la sentenza”, “Renzi per adesso lo difende, ‘Però non sarà a tutti i costi’”.

Più in basso: “Sindaco di Roma. Primarie grilline in tutta Italia”, “Toti rinforza l’asse con la Lega: nel 2018 faremo una lista unica”.

La foto in grande evidenza è per alcuni guerriglieri jihadisti nella città siriana di Idlib: “’Vi racconto perché faccio la guerra santa agli infedeli’”, “Parla un jihadista che ha combattuto in Iraq e Siria”. L’intervista è stata realizzata da Domenico Quirico, inviato a Tunisi.

In basso, sull’”emergenza immigrazione”, un’intervista al commissario europeo Avramopulos: “’Quote, responsabilità o svanisce il sogno Ue’”, “Italia solidale, ora acceleri le ricollocazioni”.

Il Fatto apre con il caso De Luca: “’Ok, vediamoci con de Luca’. Ma lui non denunciò il ricatto”, “I pm: non si oppose alle minacce di un magistrato sulla Severino”, “Il marito della giudice Scognamiglio voleva una promozione e prometteva un verdetto anti-decadenza. Il braccio destro del governatore: ‘Dobbiamo trovarci in regione’”.

Su Vatileaks: “Indagati Nuzzi e Fittipaldi”. Poi le notizie sull’ex abate di Montecassino: “Motecassino, rubò soldi dei poveri, inquisito l’ex abate ‘Mezzomilione’”.

A centro pagina: “Expo ha un buco di 400 milioni, così il governo vuole nasconderlo”, “Giochi di prestigio. Pronti a coprire tutto usando la Cassa Depositi e Prestiti”.

Avvenire: “Ue-Africa, si tratta”, “A Malta 63 delegazioni dei due continenti. Bruxelles offre piano di aiuti, ma non c’è accordo sui rimpatri. Renzi: ‘L’Italia farà la sua parte’”, “Un vertice per la regolazione dei flussi migratori. Nuova strage nell’Egeo: morti anche 7 bambini”.

A centro pagina, i titoli sul convegno nazionale ecclesiale di Firenze: “Chiesa in uscita, confronto forte”.

E un richiamo anche alla sentenza della Corte costituzionale sulla legge sulla fecondazione assistita: “Consulta, sì allo ‘scarto’ di embrioni”, “Selezione eugenetica: cade l’argine”.

In prima anche il richiamo all’intervista al filosofo Zygmunt Bauman: “I giovani, la speranza e il Papa: parla Bauman alla vigilia dei 90 anni”.

Il Giornale: “Moralisti in tilt. Pd e procure inquinate. Lo scandalo De Luca inguaia Renzi, il partito trema: stavolta finisce male”. “Trattativa governo-magistrati: si alza il velo”.

A centro pagina: “Truffa Merkel, ci rimanda i profughi. Ora Berlino fa lo scaricabarile. Non solo Volkswagen tarocca le emissioni”.

Il Sole 24 ore: “La corsa ai Bot a 12 mesi porta i tassi sotto zero. Senza rendimento l’intera filiera del debito a breve italiano”.

Di spalla: “De Luca indagato: ‘Io parte lesa’. Pm: minacciato, non si è opposto. Fonti Pd confermano la fiducia”.

In alto: “Rifugiati, l’Europa cerca un ponte con l’Africa”.

A centro pagina: “Unicredit, sfida da 5,3 miliardi. Nel nuovo piano industriale oltre 18 mila tagli e cessioni di asset per salvare redditività e ratios. La previsione di utile nel 2018. Ghizzoni: nessun aumento di capitale”.

In prima il quotidiano di Confindustria offre anche una intervista al Ceo di Microsoft, Satya Nadella, oggi a Roma.

De Luca

La Stampa: “La giudice, il marito e la telefonata chiave, ‘Anch’io sono furbo’”, “Così la Scognamiglio comunicò la decisione su de Luca. Poi l’sms inviato al mediatore: ‘E’ andata come previsto’”. Ne scrive Guido Ruotolo. 17 luglio scorso, il collegio della prima sezione del Tribunale civile di Napoli è in camera di consiglio. A un certo punto il giudice relatore, Anna Scognamiglio, si apparta e compone il numero del marito Guglielmo Manna, svelandogli la decisione presa dal collegio. Manna, dirigente dell’ospedale pediatrico Santobono, non sa di essere intercettato dalla Procura distrettuale antimafia di Napoli, che indaga sui clan e gli appalti nella sanità pubblica. Manna dice: “Tu credi di essere intelligente solo tu, e invece anch’io sono furbo”. Ora -scrive Ruotolo- il giudice e il manager dicono di essere separati ma, per dirla con un inquirente, marito e moglie sembrano aver agito in sintonia. Appena la telefonata tra i due si conclude, Manna digita un sms destinato al gruppo di avvocati, mediatori e uomini di De Luca per lavorano per neutralizzare la Severino: “E’ andata come previsto”. Il telefono di Manna era già sotto controllo prima del 17 luglio, giorno della camera di consiglio e si capisce che sta organizzando qualcosa di illecito. Telefonate di Manna con uno degli avvocati indagati nelle quali chiede di poter attivare il braccio destro di De Luca Nello Mastursi, per una nomina pesante nella sanità pubblica. 2 agosto, confida alla moglie: “Sono stato chiamato in Regione”. Lei: “Se dovesse essere quello, ti metti in ferie e parti. Speriamo bene”. Il giorno dopo, Manna alla moglie: “Dovrebbe essere Na1, gira voce. Non ho chiesto Napoli ma Caserta, Avellino o Benevento”, “Sono stato segnato su una specie di bloc notes”. Nei giorni seguenti, telefona a Mastursi e agli avvocati mediatori, con l’ex coordinatore delle liste a sostegno di De Luca. Mai viene registrata una telefonata diretta con de Luca.

Che ieri si è difeso in conferenza stampa sottolineando di non sapere chi sia Manna. Il titolo sulla stessa pagina: “Il pm: il governatore minacciato e indotto a promettere incarichi”. Dove ci si riferisce al decreto del pm laddove, in riferimento a Manna, scrive che “minacciando De Luca di una decisione a lui sfavorevole da parte del tribunale con conseguente perdita della carica ricoperta, inducevano il medesimo a promettere a Manna la nomina in una importante carica dirigenziale nella sanità campana”.

Anche sul Corriere Fiorenza Sarzanini pubblica gli sms di Manna alla moglie. Le domande dell’inchiesta sono: “la giudice Anna Scognamiglio è consapevole di quello che il suo consorte sta tramando? Ne è partecipe?”. Sarzanini ricorda che il 19 ottobre ci sono le perquisizioni a casa e al lavoro di Mastursi. Scrive che il 29 i legali di DeLuca chiedono che si possa presentare per rendere dichiarazioni. Il 3 i pm gli rispondono che “sono in corso gli accertamenti e poi prenderanno una decisione. De Luca continua a rimanere in silenzio altri dieci giorni. Fino al 9 novembre, quando Mastursi comunica di essersi dimesso”.

Sullo stesso quotidiano: “Le contraddizioni del presidente che sapeva tutto da due settimane. La richiesta di essere ascoltato dai magistrati il 29 ottobre”. “Chiama a raccolta i giornalisti ma non vuole domande e parla solo di una inchiesta che appena il giorno prima negava”.

La Repubblica: “De Luca show: sono la vittima, il Pd: fiducia in lui e nei pm”, “Secondo l’accusa non si è opposto ai ricatti. M5S: ora si dimetta. La difesa: ‘Sono due settimane che chiedo ai pm di ascoltarmi’”. Alla pagina seguente, “le carte”: “Spunta una nuova inchiesta. Il marito disse alla giudice, ‘Attenta, non sono fesso’”. Dario del Porto e Conchita Sannino danno conto quindi delle telefonate tra Manna e la moglie citate sopra, poi sottolineano che alle spalle della ricostruzione agli atti della Procura di Roma c’è un’inchiesta più ampia e profonda dei pm di Napoli John Woodcock ed Enrica Parascandolo sulle infiltrazioni dei clan nella sanità. Ed è per questo che Manna era intercettato. Si fa cenno poi al fatto che il giudice Anna Scognamiglio fu estensore di un secondo verdetto favorevole in qualche modo a de Luca: dopo quello di luglio, ce ne fu un altro dell’11 settembre. Qui si trattava di un ricorso di ex consiglieri regionali che chiedevano la sospensione di De Luca dalla sua proclamazione e non dal decreto di sospensione adottato da Renzi in base alla legge Severino. Il ricorso venne bocciato e i ricorrenti furono pagati al pagamento delle spese. I pm di Roma Fasanelli e Orano, titolari dell’indagine, contestano agli indagati di aver reiterato la condotta anche in quella udienza dell’11 settembre.

Alla pagina seguente: “La magistrata indagata: sono separata in casa”. Anna Scognamiglio ha fatto sapere: “I rapporti con mio marito si sono fortunatamente incrinati tanto da indurmi, già tre anni orsono, a presentare in tribunale ricorso di separazione”, “Mai e poi mai avrei compromesso i miei principi morali e la mia professionalità allo scopo di procurare illeciti vantaggi di carriera a mio marito”, con Manna “la convivenza era solo formale, dovuta alla necessità di salvaguardare l’equilibrio dei nostri due ragazzi. Vivevamo ‘separati in casa’, ognuno di noi aveva ed ha la sua vita, anche sentimentale, del tutto autonoma”. Poi precisa che la decisione favorevole a De Luca del luglio scorso “è stata assunta all’unanimità da tutti i componenti del collegio giudicante, era conforme a quanto già deciso in precedenza dal presidente della sezione ed è stata poi confermata integralmente, in sede di reclamo, da un altro collegio del tribunale, ancora una volta all’unanimità” e “questo avrebbe reso priva di qualsivoglia efficacia una eventuale pressione che solo uno stupido avrebbe potuto esercitare e alla quale solo uno sprovveduto avrebbe potuto soggiacere”.

Il Fatto: “I pm: ‘De Luca non si oppose e non denunciò i ricatti’”. Si cita anche qui il decreto di perquisizione in cui si parla di Anna Scognamiglio: “in concorso con il coniuge Manna” e con due intermediari, “minacciando De Luca” tramite altri “di una decisione a lui sfavorevole”. Con le minacce, quindi, secondo i pm, scrivono Vincenzo Iurillo e Valeria Pacelli, “inducevano il medesimo a promettere” a Manna una carica nella sanità. Quindi, scrive Il fatto: “Alle minacce -che i pm danno però per scontate nella contestazione- non è seguita però alcuna denuncia da parte di de Luca: agli atti della procura di Roma infatti non c’è alcun verbale il cui il governatore racconti di aver subito pressioni. L’unica cosa che De Luca ha esibito in conferenza stampa è una richiesta del suo legale del 29 ottobre, attraverso la quale chiedeva ai pm di essere interrogato”.

A pagina 3: “Ma il premier si tiene (per ora) il governatore”.

Su La Repubblica, in prima, la rubrica “Il punto” di Stefano Folli: “Il potere opaco del partito-vulcano”. Dove si parla del doppio incarico di Mastursi, fino a qualche giorno fa braccio destro di De Luca e responsabile organizzativo del Pd in Campania. Due sono gli aspetti “sconcertanti” secondo Folli:“il tentativo di nascondere le vere cause delle dimissioni presentate” dal suo incarico di segretario di de Luca (“segno che molti sapevano dell’inchiesta in corso”) e “il fatto che il presidente della Regione esercitasse, attraverso il suo uomo, un controllo diretto e, si suppone, capillare sul Pd. Altro che rinnovamento e trasparenza”. E questa “opacità nelle città e nelle Regioni, soprattutto nel centro Sud e non solo, è il vero limite del Pd renziano”. Renzi sta a Palazzo Chigi, pensa di controllare il territorio nazionale, in realtà “ci sono tanti capi locali che vanno per conto loro e impongono le loro leggi”.

Su La Stampa Federico Geremicca sottolinea come fossero facilmente prevedibili, gli effetti già segnalati di quel “pregiudizio negativo” che esisteva su de Luca già ai tempi delle primarie per la Campania. Geremicca evidenzia le conseguenze del “doppio incarico” di Renzi: premier e segretario (ruoli che interpreta in modo diametralmente opposto: tenace e veloce nelle vesti di premier, distratto, passivo e “clamorosamente assente” nei panni di segretario).

Su Il Fatto, l’editoriale del direttore Marco Travaglio: “Il personaggetto” : “prima di domandarsi perché Vincenzo De Luca non si è ancora dimesso da governatore della Campania, bisognerebbe chiedersi come ha potuto diventarlo”; poi Travaglio ricorda che Rosy Bindi, “com’era suo dovere da presidente della Commissione Antimafia”, aveva inserito de Luca nella lista “dei condannati in primo grado in via definitiva” (per abuso d’ufficio, ndr.), ma Renzi in persona l’attaccò e “sciolse i suoi doberman ad azzannarla”.

Sul Sole Paolo Pombeni si sofferma non tanto sulla vicenda giudiziaria ma su quella politica, perché da quella emerge che “si continua a considerare che le nomine affidate alla decisione della sfera pubblica siano oggetto di ‘trattativa’”. E se l’inchiesta penale dovrà verificare se ci sia “millantato credito” o “pressione indebita”, se il decisore era coinvolto o non ne sapeva niente, se il magistrato ha deciso in un senso per agevolare suo marito o lo avrebbe fatto comunque, la questione politica è che “in questo paese non si riesce a far uscire dalla testa di certa gente che le nomine sono un affare di negoziazione e dunque devono prevedere un do ut des di qualche genere”. Dunque “il presidente De Luca delude proprio per l’impressione che dà di non rendersi conto della gravità del contesto in cui è invischiato”, al di là della inchiesta.

Anche sul Corriere Marco Demarco, che firma l’editoriale, scrive che che dal punto di vista giudiziario De Luca “ha dalla sua due argomentazioni di peso”: le accuse vanno confermate e poi “le leggi con cui sta facendo i conti” non sono “modelli formali da portare ad esempio”, perché “prefigurano dispositivi talmente opachi che è fin troppo facile approfittarne”. Anche se non risulta che De Luca – che ieri si dichiarava parte lesa – abbia denunciato minacce ricevute, “lui che pure passava per essere uno ‘sceriffo’”.

Ma “è dal punto di vista politico, che, ancor di più, le tesi difensive del governatore fanno acqua da tutte le parti”. Sbagliato “trincerarsi dietro l’avvenuta elezione come se il consenso elettorale potesse bastare da solo a sanare ogni tipo di responsabilità pregressa”, sbagliato dichiararsi “all’oscuro di tutto, quando per mesi De Luca ha lasciato che passasse la versione mediatica di una Regione con un uomo solo al comando, non è convincente”, perché “o De Luca millanta quando si descrive come il dominus assoluto, perché eletto direttamente dal popolo, del governo regionale; o quell’uomo solo al comando è in realtà un altro marziano caduto sulla terra. In entrambi i casi, la sua credibilità ne esce a pezzi”.

Pd

Sul Giornale: “Renzi prende tempo ma il partito trema: ‘Stavolta finisce male’. Il leader chiede ai suoi di attendere lo sviluppo delle indagini. L’ex assessore a Roma Esposito: ‘si proceda come con Marino’”. Si legge che se nell’entourage renziano “la preoccupazione è forte”, “gongola l’antirenziana Bindi, che ebbe un memorabile scontro con De Luca”.

Il Corriere: “Non è come Marino. L’imbarazzo del Pd che però non esclude di sacrificarlo”. Si legge che al Nazareno “respingono offesi il paragone con Marino”, perché nel caso dell’ex sindaco di Roma la situazione era “molto logorata” e “si era rotto il rapporto con la città”. Si legge che anche Rosy Bindi “sceglie di non infierire: ‘Io non dico una parola, non muovo nemmeno un sopracciglio’”.

Sul Sole: “Imbarazzo di Renzi e del Pd: fiducia, attendiamo gli sviluppi”.

Lega, centrodestra

Sul Giornale: “Berlusconi rassicura i suoi: ‘A Bologna la scelta giusta’. Il Cavaliere smonta le perplessità dei malpancisti per la kermesse di domenica. E adesso la fronda si sgonfia”. Si legge che stasera Berlusconi tornerà a Porta a porta, e nei prossimi giorni è previsto un suo intervento radiofonico, con l’obiettivo di rilanciare la leadership e il partito

Sul Sole l’intervista concessa ieri a Giovanni Minoli da Giorgia Meloni: “Berlusconi non può avere il ruolo di venti anni fa”. Ribadisce che per scegliere il leader servono le primarie o un altro metodo, purché non sia quello di mettersi “seduti attorno a un tavolo tra segretari di partito perché quella roba lì non funziona”. Su Roma dice che “andare con Marchini significa spaccare il centrodestra perché Fratelli d’Italia Marchini non lo può sostenere”.

Fecondazione assistita

La Stampa: “La Consulta cancella il divieto assoluto di scegliere gli embrioni”, “Via libera per le coppie portatrici di malattie genetiche. Ma stabilire chi lo è e chi no è più difficile del previsto”. Ne scrive Paolo Russo. Sulla stessa pagina, intervista a una delle coppie di portatori di patologie genetiche che aveva presentato il ricorso: “La legge ci ha obbligato ad abortire. Ora possiamo evitare la roulette russa”.

La Repubblica: “’Scegliere gli embrioni non è reato’. La Consulta smonta un altro pezzo della legge: 37 sentenze in 11 anni, resta solo il divieto per single e gay. ‘Selezione possibile se c’è il rischio di gravi malattie genetiche ma quelli scartati non possono essere distrutti’”.

A confronto in due interviste Eugenia Roccella, deputata Ncd (“Questa è eugenetica, si toglie ai disabili il diritto di nascere”) e il ginecologo Carlo Bulletti (“Il dramma di avere figli ammalati da ora si può evitare”).

Su Avvenire il commento di Roberto Colombo: “Embrioni ‘scartati’, un gelido destino” (in riferimento alla crioconservazione cui sarebbero destinati gli embrioni non trasferiti in utero, se non alla distruzione).

Spending review, manovra

Sul Corriere una intervista a Yoram Gutgeld, commissario alla spending review rimasto al suo posto dopo le dimissioni di Roberto Perotti. Dice che non sa se Perotti sia deluso del suo lavoro di non esser d’accordo sulla sua affermazione che non si sentiva molto utile. Dice che in due anni “abbiamo operato venti miliardi di tagli di spesa, questa è la realtà”. Elenca i tagli fatti e quelli sui quali per ora ci si è fermati: i servizi pubblici locali (“sono materie che saranno affrontate nella riforma della pubblica amministrazione”) gli sgravi all’autotrasporto (“bisogna procedere con metodo, va avviata una riforma complessiva di tutto il settore” cui sta lavorando il ministro Delrio).

Sullo stesso quotidiano Maurizio Ferrera scrive che il disegno di politica economica e sociale che “sembra emergere” dalla leggedi Stabilità è fondato su crescita, lavoro, investimenti, meno disagio, più merito. Ma “nel coacervo di misure contenute nel testo” è “molto difficile trovare un filo rosso. La riduzione delle imposte non è controbilanciata da adeguati tagli di spesa, poggia su misure una tantum (come la cosiddetta voluntary disclosure) e sulla maggiore flessibilità concessa dalla Ue in termini di deficit. Per avere successo, la strategia del governo dovrebbe invece poggiare su misure strutturali, stabili nel tempo, ispirate da criteri trasparenti di efficienza e di equità”. Secondo Ferrera non bastano lotta all’evasione e tagli di spesa, perché “per finanziare un taglio davvero importante delle imposte serviranno ulteriori riforme restrittive. Bisogna essere chiari su questo punto, sennò è meglio lasciar perdere”. “Qualcuno dirà: se pago meno tasse ma più ticket o più tasse universitarie per i miei figli, non cambia niente. La risposta è: se non sei disposto a rinunciare a niente, come posso farti pagare meno tasse? Negli Stati Uniti la classe media è sicuramente meno tartassata che da noi. Ma paga premi salati per l’assicurazione sanitaria privata o per l’università dei figli. Non ci sono pasti gratis”.

Migranti

Sul Sole una intervista al ministro degli esteri ungherese Peter Szijjarto: “Non siamo la Germania. L’Ungheria non ha bisogno di migranti. Le quote per ripartire i migranti sono una assurdità che non verrà mai applicata. Ma il problema c’è ed è gravissiimo, l’Ue deve dare una risposta chiara sui flussi migratori”. Dice che occorre distinguere tra chi scappa dalla guerra e chi cerca una vita migliore in Occidente. “Vorrei far notare che i profughi che si trovano in Grecia, Serbia, Ungheria, Croazia e Slovenia non sono in pericolo di vita, sono persone che si muovono e cercano di raggiungere l’Europa occidentale per motivi economici, per trovare un lavoro. Ma come possiamo dare un lavoro a chi prende a sassate le nostre forze di polizia?”. Le proposte ungheresi per la questione migranti: “Primo: mettere in sicurezza i confini”, poi “organizzare una forza comune europea” per controllarli e poi fare accordi con Turchia, Giordania, Libano e Iraq per “regolare i flussi”. Infine “intervenire” per risolvere le crisi in Libia e Siria e “investire nei Paesi africani per portare sviluppo”.

In prima pagina il quotidiano di Confindustria si sofferma sul vertice di Malta: “Rifugiati, l’Europa cerca un ponte con l’Africa”. Con un commento di Adriana Cerretelli: “Quel ponte che manca con Africa e Turchia”. Dove si legge che “ormai le quote, quei 160 mila da redistribuire in due anni da Italia e Grecia, appaiono una goccia nel mare degli arrivi: 600 mila solo in Grecia dall’inizio dell’anno. Anche se i flussi si fermassero per miracolo, ci sarebbero già 778.800 domande di asilo da smaltire. Le quote non funzionano, i centri di identificazione e registrazione nemmeno, il rafforzamento di Frontex è da venire”.

Sul Giornale: “Super summit sui profughi, l’Italia paga il caos tedesco”. “L’Europa offre soldi per evitare invasioni. Ma chi vuole andare in Germania rischia di restare da noi. Per colpa della Merkel”. Sul vertice il quotidiano ricorda che l’Ue “porta in dote” all’Africa 1,8 miliardi di euro con l’idea – di medio lungo termine – di “eliminare all’origine la povertà e i conflitti che causano gli esodi”, ma con la consapevolezza che l’aiuto stanziato è “insufficiente”, tanto che il commissario Avramopulos ha invitato gli Stati membri a stanziare altrettanto.

Iran

Paolo Valentino e Viviana Mazza, inviati a Teheran, intervistano sul Corriere il presidente iraniano Hassan Rouhani, che sta per arrivare in Italia, prima visita all’estero dopo la firma dell’accordo nucleare. E’ la prima intervista ad un giornale europeo dalla sua elezione. Dice: “Sulle questioni internazionali e politiche, i leader italiani hanno sempre avuto un atteggiamento moderato nei nostri confronti. Nelle nuove condizioni, l’Italia può essere per noi uno dei partner più importanti. Consideriamo il vostro Paese un amico in Europa. Spero che il mio viaggio apra una nuova fase nei nostri rapporti”. Sull’accordo: “Non abbiamo ancora raggiunto il cosiddetto implementation day (il giorno in cui l’Iran avrà modificato il suo programma nucleare e l’Occidente inizierà a togliere le sanzioni, ndr ), quindi durante questo periodo l’Unione Europea, gli Stati Uniti e gli altri Paesi del 5+1 devono fare quello per cui si sono impegnati, in modo che, quando arriva quel giorno, tutte le sanzioni economiche, bancarie e finanziarie siano rimosse. L’Iran rispetterà i suoi obblighi, simultaneamente alle azioni dell’altro campo. Stiamo entrambi lavorando. Penso che entro fine anno arriveremo all’ implementation day”.
Chiedono: “Lei considera l’America il Grande Satana?”. Risponde Rouhani: “L’accordo nucleare è una cosa, i nostri rapporti con gli Stati Uniti un’altra”, ma il modo in cui sarà applicato l’accordo nucleare potrà gettare le basi “per minori tensioni con gli Usa, creando le condizioni per aprire una nuova era”. Sugli arresti di americani in Iran dice che “non dovrebbe essere messo in relazione con questioni politiche”, se ne occuperà la magistratura. Dice ancora che “la chiave” per cambiare i rapporti con l’Iran “ce l’hanno gli americani: “Se modificano le loro politiche, correggono gli errori commessi in questi 37 anni e si scusano col popolo iraniano, la situazione cambierà e buone cose potranno accadere”. Sul suo Paese: “Non vedo alcun ostacolo per le mie riforme, ma io in quanto presidente ho il compito di far applicare la Costituzione: se vedo che alcuni dei suoi articoli non vengono applicati, sono distorti o violati, ho il dovere legale di lanciare degli avvertimenti”. Perché non si è ancora verificata la promessa di “Più democrazia” fatta in campagna elettorale? “I miglioramenti sociali o nel campo dei diritti dei cittadini non possono avvenire in una notte. Ci vuole tempo”. Ma oggi “la stampa critica liberamente il presidente: due anni fa nessuno avrebbe immaginato una cosa del genere”. Dice che “un giorno” saranno liberati i leader riformisti Mousavi e Karroubi.

Sulla Siria, “anche se Stati Uniti, Russia, Iran, Turchia e Arabia Saudita hanno opinioni diverse, è un segnale che nelle crisi regionali si possono cercare soluzioni insieme”. Su Assad: “Per noi in Siria l’importante è la lotta al terrorismo” e “le altre questioni sono secondarie. Qualunque decisione sul governo e sul futuro della Siria, spetta al popolo siriano. Altri Paesi e forze non dovrebbero interferire ma preparare la strada a libere elezioni. Chiunque venga eletto noi lo rispetteremo”. Ribadisce che la minaccia è l’Isis: “Noi siamo stati tra i primi ad appoggiare l’esercito iracheno contro l’Isis e se non l’avessimo fatto, forse Baghdad sarebbe già caduta”. In Iran c’è ancora il record delle esecuzioni capitali. “La punizione dovrebbe servire da deterrente. Si può discutere sull’efficacia o meno delle esecuzioni, come pure degli arresti e perfino delle multe. Ma in ogni Paese il codice penale ha a che fare con regolamenti interni, in molti Paesi c’è la pena di morte, in altri no”. Lo slogan “morte a Israele”. “Rispettiamo tutte le religioni monoteiste, comprese quella ebraica e cristiana”, “il popolo ebraico ha sempre vissuto e vive in Iran pacificamente. Gli ebrei hanno i propri rappresentanti nel Parlamento iraniano, possono praticare la loro religione liberalmente. Ma questo è diverso dalle politiche del sionismo, che è cosa diversa dall’ebraismo”, e dunque “il popolo iraniano può odiare Israele e le politiche sioniste, ma allo stesso tempo può amare l’ebraismo, i suoi profeti e il Libro”.

Internazionale

Su Avvenire: “Siria, Turchia pronta a invadere”, “’Si creerà una zona cuscinetto con 10.700 soldati’. Piano al G20 mentre a Vienna resta il nodo Assad”, “L’azione di Erdogan, che sarà analizzata al vertice di Antalya, prevede uno sconfinamento di 46 chilometri. Ipotesi anche di una no-fly zone. ‘Caccia israeliani colpiscono lo scalo di Damasco’”.

La Repubblica: “Una zona cuscinetto a 10mila soldati, il piano di Erdogan per l’emergenza Siria”, “I militari turchi creerebbero un’area protetta di 46 chilometri per aiutare chi fugge. Ma l’Ue -scrive Marco Ansaldo- teme che il vero scopo di Ankara sia fermare i curdi”.

Su La Repubblica un’intervista con copyright Europe1-France 2 al presidente iraniano Rouhani: “L’Iran terrà fede al patto sul nucleare ma l’Occidente sia leale con noi”. Rouhani parla alla vigilia del suo arrivo in Italia. Dice che “la priorità è combattere il terrorismo: il problema non è una sola persona”, “Non riconosciamo la legittimità dell’attuale Stato di Israele. E’ la ragione per cui non abbiamo relazioni diplomatiche. La sola soluzione sono elezioni libere: una volta riuniti tutti, gli ebrei, tutti i musulmani, tutti i cristiani, tutti coloro che appartengono a questa terra e sono oggi profughi, devono tornare nel loro Paese a votare”.

Le pagine 2 e 3 de La Stampa sono dedicate all’incontro-colloquio di Domenico Quirico, in Tunisia, con il tunisino Abu Rahman, che si è arruolato con Al Qaeda prima in Iraq e ora in Siria: “’Io, jihadista, vi racconto la mia guerra santa contro gli infedeli’”, “Uccido nel nome di Dio per dovere e non per scelta. Così aiuto i fratelli musulmani’”, “Ho ucciso la prima volta in Iraq, al tempo degli americani. E ho ringraziato Dio che ha guidato la mia mano”, “La jihad è dura. Abbiamo patito freddo e fame, abbiamo mangiato l’erba come le bestie”, “Voi occidentali non potete capire, avete perso la voglia di combattere per la fede”.

Su La Repubblica: “Israele, l’Ue etichetta i prodotti delle colonie. L’ira di Netanyahu”, “Il premier: ‘E’ discriminazione, l’Europa si vergogni’. La replica: ‘Nessun boicottaggio’. L’Anp applaude”. Bruxelles impone ai 28 Paesi di indicare la tracciabilità dei prodotti dei Territori occupati.

Su Avvenire: “Israele, le etichette Ue sono ‘anti-ebraiche’”, “Netanyahu congela gli incontri diplomatici: no alla tracciabilità sui prodotti dei Territori”. Giovanni Maria Del Re, da Bruxelles, cita il documento della Commissione Ue: “Poiché le Alture del Golan e la Cisgiordania inclusa Gerusalemme Est, non sono parte del territorio di Israele secondo il Diritto internazionale, l’indicazione ‘Prodotto di Israele’ è considerato incorretto e fuorviante”. Il testo interpretativo chiede che per questi prodotti si usi l’espressione “insediamento israeliano” o equivalente. Per quel che riguarda i prodotti delle aree palestinesi, si indicherà “prodotto della Cisgiordania (prodotto palestinese)” o “prodotto della Palestina”. Ieri il vicepresidente della Commissione Ue Dombrovskis si è affrettato a sottolineare che “è una questione tecnica, non una posizione politica. Sono gli Stati membri ad averci chiesto un chiarimento”. Le etichette saranno obbligatorie esclusivamente per i prodotti agricoli, volontarie per gli altri. Susan Dabbous fornisce i numeri: “Giro d’affari da 15 milioni”, “Vino, olio, ciliegie, datteri e cosmetici, plastica e metalli: questo il ‘Made in Israel’ che però proviene dalle zone occupate. E che dà lavoro a migliaia di palestinesi”.

Su La Stampa: “Etichette, ira di Israele sulla Ue, ‘Discriminazione anti-ebraica’”, “In vigore il regolamento che identifica i prodotti delle colonie. ‘Vuole distruggerci, ma venderemo di più negli Stati Uniti’”.

Sul Corriere: “Madrid, l’Alta Corte boccia la Catalogna. E’ crisi costituzionale. Dopo l’avvio formale del processo di indipendenza”. Gli undici giudici della Corte costituzionale ieri hanno accolto il ricorso del premier Rajoy e di sospendere in forma cautelare la mozione del “Parlament” catalano con la quale si decreta l’avvio del processo di secessione della Catalogna dalla Spagna. La Corte ha anche avvertito il leader catalano Arturo Mas che, con i suoi dirigenti, rischia l’incriminazione, come accadde già nel 2014 quando in Catalogna fu indetto un referendum indipendentista. A dicembre si vota in Spagna e la questione catalana dominerà certamente la campagna elettorale, scrive il Corriere.

E poi

Sul Sole Mario Platero e Marco Valsania intervistano Satya Nadella, ceo di Microsoft, oggi a Roma per “accelerare con la sua azienda e con Fondazione Cariplo e Invitalia il contributo che la tecnologia digitale può dare a crescita e occupazione, partendo dai semi più promettenti, dalle start up e da un nuovo progetto che sarà lanciato oggi a Roma, GrowIT Up”. Al parco della musica sono attesi oltre 5000 partecipanti per un forum dal titolo Future Decoded”: studenti, start up, sviluppatori di information technology e Cxo, i chief experience officer responsabili dell’interfaccia tra aziende tech e utenti.

Spazio sul Corriere per il futuro dell’Area Expo, con interviste al rettore del Politecnico Azzone (che dice che è positivamente colpito dalla scelta di aver individuato un obiettivo e un nutrito numero di ricercatori che arriveranno da tutto il mondo, ma non dal metodo, perché “non si capisce perché non sia stato aperto un bando internazionale”, perché insomma il governo abbia già deciso quale sarà il soggetto attuatore) ed a Salvatore Veca, il filosofo che aveva lanciato il “Laboratorio Expo” che poi si è tradotto nella “Carta di Milano”, il documento sottoscritto da quasi 100 capi di Stato e di governo e consegnato al segretario generale Onu sullo slogan Feeding the planet. Ora lancia un “Feeding the planet Institute”, un “centro di ricerca” che “creerà posti di lavoro”.

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