Contro Fiat: Passera, Fornero…e Romney

 

Le aperture

La Repubblica: “’La Fiat fermi i licenziamenti’. Fornero e Passera contro Marchionne”. “Polemica sui diciannove dipendenti di Pomigliano. Della Valle: Napolitano e Monti ci proteggano da Agnelli e il suo Ad”. A centro pagina: “Nasce il ticket tra Grillo e Di Pietro. ‘L’ex pm al Colle’”.Il Tesoro: due miliardi per i salari”.

Il Foglio offre una conversazione con il giuslavorista Pietro Ichino: “Ecco perché sbaglia chi sta delegittimando Marchionne in Italia. ‘In qualsiasi altro paese occidentale la sentenza sui licenziamenti di Pomigliano non sarebbe stata questa’”.

La Stampa: “Province, il piano di Monti per tagliare le prefetture”. “A gennaio parte l’accorpamento degli uffici territoriali: risparmi per oltre 100 milioni”. “Manovra, ondata di emendamenti. 890 solo dalla maggioranza”.

Il Giornale: “Grillo sta con i comunisti. Il comico getta la maschera e candida il giustizialista Di Pietro al Quirinale”

Di Pietro-Grillo, è un terremoto. Il leader del Movimento 5 Stelle candida Tonino al Quirinale: ‘Ha commesso degli errori, ma è onesto ed è l’unico che ha sempre combattuto il Cavaliere’. L’Idv si spacca dopo che al ‘Fatto’ l’ex pm ha detto: ‘Dopo Report il partito è morto’”.

Europa: “Grillo si mangia Di Pietro e gioca con il Quirinale”. “Scambio di promesse: ‘I nostri voti al M5S’, ‘E noi ti mandiamo sul Colle’”.Tra polemiche interne e crisi elettorale: il capogruppo Idv Donadi annuncia l’addio’”.

L’Unità apre con una intervista su L’Unità: “’Così cambieremo l’Italia’. Intervista a Bersani: se andremo al governo moralità e lavoro le nostre priorità”.

Il Sole 24 Ore: “Riforme, l’attuazione sale al 17,4 per cento. Accelerano Salva-Italia, Cresci-Italia e Semplificazioni fiscali. In ritardo il 42 per cento degli atti”.

Libero a centro pagina – l’apertura è ancora dedicata alle “centinaia di posti” di lavoro disponibili in Italia – si occupa delle elezioni presidenziali Usa: “Schiaffo di Romney: ‘Finiamo come l’Italia’. Belpaese zimbello della compagnia elettorale Usa”. La notizia è anche sulla Stampa (“Affondo di Romney. ‘Se vince Obama Usa come l’Italia’”, sul Corriere della Sera, La Repubblica, Il Sole 24 Ore.

 

Fiat

 

Sulla vicenda Fiat Il Foglio intervista il giuslavorista Pietro Ichino: “Quello della Fiat di Pomigliano potrebbe essere usato come caso di scuola per lo studio delle cause e degli effetti del malfunzionamento di un sistema di relazioni industriali. Ciascuna delle due parti ha qualche ragione di accusare l’altra di qualche malefatta. Ha ragione la Fiom, quando accusa Marchionne di aver discriminato i suoi iscritti nelle assunzioni. Ma ha ragione anche Marchionne, quando accusa la Fiom di aver fatto la guerra fin dall’inizio, cioè dalla primavera del 2010, contro il suo piano industriale, sulla base di un principio che solo un anno dopo, con la firma dell’accordo interconfederale del 28 giugno, la stessa Cgil avrebbe riconosciuto come sbagliato: quello della assoluta inderogabilità del contratto collettivo nazionale. Logica e buonsenso avrebbero voluto che la Fiom rinunciasse alla guerriglia giudiziaria contro il piano industriale Fiat, firmando gli accordi aziendali e ottenendo così il riconoscimento dei suoi rappresentanti negli stabilimenti”, che oggi – ai sensi dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori – è consentito solo alle sigle sindacali firmatarie di accordi. Ancora Ichino: “Secondo la legge italiana l’ad di Fiat ha il diritto di non riconoscere le rappresentanze del sindacato che non ha firmato alcun contratto collettivo applicato in azienda, ma non ha il diritto di discriminare – come potrebbe invece fare in America – i suoi iscritti. Ciononostante, a mio avviso, il provvedimento adottato dal giudice in questo caso è inappropriato”. In qualsiasi altro Paese si sarebbe adottata una misura risarcitoria, anche perché la “costituzione coattiva di un numero elevato di rapporti di lavoro, visto che a questi primi 19 lavoratori potrebbero seguirne nel prossimo futuro altri 126, produce l’effetto di una eccedenza di personale con la conseguente legittimazione dell’impresa ad aprire una procedura di licenziamento collettivo. D?altra parte, non è ragionevole mantenere in organico 145 persone in eccesso rispetto all’organico di cui ha bisogno, tanto meno in un periodi di crisi”. Insomma: “L’interventismo giudiziario non aiuta”. La proposta di Ichino è quella di convocare le parti per un tentativo di voltare pagina rispetto alla situazione assurda che si è determinata. “E farei tutto il possibile per indurre la Fiom a firmare gli accordi aziendali di Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco, cessando le ostilità e ottenendo il riconoscimento dei suoi rappresentanti in azienda. E per indurre la Fiat a rinunciare al licenziamento collettivo, risolvendo il problema con un contratto di solidarietà in attesa della congiuntura positiva”.

 

Ieri il ministro Passera ha commentato la decisione Fiat: “L’azienda è libera ma non mi sono piaciuti” i provvedimenti annunciati. In serata poi il ministro Fornero – come spiega La Repubblica – ha diffuso un comunicato: “Constato con rammarico e preoccupazion la novità che fa evolvere le relazioni industriali nel senso dello scontro e dell’indurimento della contrapposizione; la mancanza di una volontà di dialogo da entrambe le parti; l’assenza di una posizione comune da parte sindacale”. Il ministro annuncia che si “adopererà per quanto di sua competenza per fermare l’avvitamento in una spirale nella quale tutti sono perdenti”, ed invita la Fiat a “soprassedere alle procedure di avvio in mobilità del personale in attesa della verifica di una possibilità di dialogo che non riguardi solo il fatto specifico, ma l’insieme delle relazioni sindacali in azienda”.

 

Sul Sole 24 Ore un commento di Alberto Orioli parla di “doppia forzatura” da parte di Fiat e di Fiom, e si cita una frase di Agnelli: “Nella vita si può scegliere se essere come Tyson o come Talleyrand”. Scrive Orioli che “ora è il momento della diplomazia, non della boxe”.

 

L’Unità intervista lo storico dell’industria Giuseppe Berta: “E’ da tempo che sostengo intanto che i piani di Marchionne non sono piani. I piani per essere tali dovrebbero indicare una strategia, contenere dati, scadenze, impegni, investimenti, indicazione precisa delle risorse finanziarie”, “Marchionne dipinge scenari che di volta in volta cambia, adatta, evocando ora una possibilità, ora un’altra”. E spiega: “Adesso la strategia si riassumerebbe nel rilancio dell’Alfa, dopo aver sancito la morte della Lancia, e nella scommessa sulla Maserati, contando sull’alta gamma e facendo per questo a spallate con i tedeschi”. Certo, “la Maserati potrebbe riproporsi con ottimi modelli. Ma parliamo di auto di lusso, di una nicchia”. Però Marchionne vanta i successi americani, dice che da lì arriveranno i soldi. “Prima deve concludere con Chrysler, e non sembra scontato, perché i sindacati non sembrano disposti a vendere alle cifre indicate da Marchionne, vogliono tenere i controllo”, e se vince Romney “non illudiamoci: Marchionne e la Fiat non avrebbero vita facile”.

 

 

Usa

 

I quotidiani ricordano, a proposito delle presidenziali Usa, che il candidato repubblicano Romney aveva lanciato uno spot in Michigan, Ohio e Iowa domenica scorsa in cui si accusava Obama di aver “venduto la Chrysler agli italiani, che stanno andando a costruire jeep in Cina”. Il Sole 24 Ore scrive che la “tregua” dell’uragano Sandy è finita e i due candidati hanno ripreso le redini di una aggressiva campagna elettorale combattuta all’ultimo voto. Romney ha sollevato lo spettro della crisi europea per denunciare che una rielezione di Obama porterebbe l’America sulla stessa, rovinosa strada del debito. Concentrandosi sulla Virginia, stato incerto nel 2008 conquistato da Obama, Romney ha partecipato a tre eventi in cui la crisi europea e l’auto sono stati i suoi arieti: “Se siete un imprenditore dovete chiedervi: siamo sulla strada della Grecia? Di una crisi come quella che vediamo in Italia e in Spagna? Se continuiamo a spendere 1000 miliardi più di quanti ne entrano nelle nostre casse, l’America si troverà su questa strada”.

 

Sul fronte opposto – scrive La Stampa – Obama parla nell’arco di poche ore prima di Wisconsin e poi in Colorado, tentando di consolidare l’effetto Sandy, visto che otto cittadini su dieci apprezzano la sua gestione dell’emergenza: “Abbiamo affrontato uno degli uragani peggiori della nostra vita – ha detto il Presidente – siamo stati a fianco delle vittime ed aiutato i sopravvissuti. Quando i disastri ci colpiscono, l’America dà il meglio. Non ci sono più democratici o repubblicani, ma solo americani”. E’ per il corrispondente del quotidiano un “linguaggio da comandante in capo, per presentarsi nelle vesti di leader bipartisan capace di attirare i voti del cinque per cento degli elettori ancora incerti”. E a sostenerlo trova il sindaco di New York Michael Bloomberg, che si dichiara a favore della sua rielezione: per Il Sole 24 Ore è un “colpo di scena” nella corsa per le presidenziali, perché Bloomberg è sempre stato geloso della sua indipendenza politica. Imprenditore di fama al terzo mandato, nel 2004 aveva sostenuto Bush, e nel 2008 era rimasto agnostico, flirtando con una propria candidatura presidenziale che facesse appello ad elettori moderati. Adesso ha annunciato di voler scendere in campo, convinto dalla leadership mostrata da Obama nella lotta all’effetto serra. “Obama ha compiuto passi decisivi per ridurre il consumo di carburanti fossili”, “un candidato vede il cambiamento climatico come un problema urgente che minaccia il pianeta, l’altro no. Voglio che il nostro presidente metta la conoscenza scientifica e la gestione del rischio davanti a strategie elettorali. Il Paese e il mondo devono andare avanti”. Bloomberg ha accusato Romney di aver cambiato posizione sulle questioni ambientali, ma non solo. Ha parlato di “inversioni di marcia” compiute dal candidato repubblicano su temi che al sindaco stanno a cuore, quali immigrazione, sanità, controllo delle armi, aborto, matrimoni gay, sostenuti da Obama, quale discriminante nella “marcia di libertà dell’America”: “Io voglio che il nostro Presidente stia dalla parte giusta della storia”.

 

La Repubblica, che al “fotofinish Casa Bianca” dedica sei pagine con un inserto, riferisce anche di una pesante dichiarazione della General Motors, in risposta alle notizie diffuse da Romney sulla delocalizzazione in Asia della produzione di Suv: “Mitt Romney è entrato in un universo parallelo”. Ora si tratterà di vedere se l’universo parallelo di Romney risulterà credibile agli elettori: è la sua versione dei fatti sulla crisi, le terapie per uscirne allorché viene descritto la politica di questi anni di Obama come un esempio estremo di “statalismo, clientelismo, spesa pubblica erogata agli amici” , come dice il candidato vicepresidente Paul Ryan. Un economista ascoltato da ambedue le parti come Alan S. Blinder, spiega che in qualche modo possono coesistere due visioni opposte: “La prima: quattro anni dopo il terribile panico finanziario che seguì ilcrack di Lehman Brothers è ancora malata. Seconda verità: sta migliorando”. Scrive Federico Rampini che Romney dice la verità quando afferma che la crescita è rallentata negli ultimi tre anni: dal 2,4 del 2010 all’1,7 di quest’anno, ma il bilancio è più positivo se si guarda alla disoccupazione, che è scesa dal 10 per cento a sotto l’8 per cento. Romney evita di ricordare che ha avuto le mani (quasi) libere solo per il primo biennio. Nel 2010 i Repubblicani hanno vinto le elezioni di midterm, hanno conquistato la maggioranza alla Camera e da allora hanno praticato un ostruzionismo sistematico su ogni legge di entrata e di spesa. Se il Presidente fosse riuscito a varare l’anno scorso il suo american jobs act – 250 miliardi di sgravi e 200 di investimenti – oggi il livello della disoccupazione sarebbe più basso e la crescita più vigorosa.

Un altro articolo (Alexander Stille) si occupa del voto giovanile, che fu determinante nel 2008: questa volta potrebbe subire una flessione di circa il 20 per cento.E conta anche il fatto che il sistema americano non facilita la registrazione al voto. Anzi, spesso la ostacola. In America per votare è necessario registrarsi, ma molti Stati non permettono agli studenti di registrarsi nel luogo dove studiano, anche se ci vivono da oltre 4 anni. Peraltro molti Stati – e in particolare alcuni swing states, quelli in bilico che potrebbero decidere su queste elezioni – hanno varato delle leggi per rendere obbligatorio il possesso di un documento di identità quando ci si presenta alle urne. Negli Usa non esiste la carta di identità nazionale, e generalmente un elettore deve depositare la sua firma quando si registra. La firma viene controllata alle urne per confermare l’identità ed evitare brogli. Ma molti giovani (come molti neri e ispanici) non hanno la patente di guida, e molti Stati hanno deciso di non accettare le tessere elettorali per registrarsi al voto. Lo scopo è quello di ridurre il voto giovanile. Ed è questa la ragione per cui molti Stati controllati dai Repubblicani hanno reso più difficile votare. In Stati chiave come Pennsylvanya, Ohio e Florida i repubblicani hanno introdotto norme che diminuiscono il numero dei votanti, accorciando gli orari di apertura delle urne, eliminando spesso il voto anticipato (un sistema usato da molti elettori neri nel 2008).

 

 

 

Sulle elezioni Usa leggi l’analisi di Martino Mazzonis, su Reset

 

Italia

 

Ieri Beppe Grillo si è prodotto in un endorsement per Di Pietro con queste parole: “Il mio auspicio è che il prossimo presidente della Repubblica sia Antonio Di Pietro, l’unico che ha tenuto la schiena dritta in un Parlamento di pigmei. Secondo il Corriere questa dichiarazione ha colto di sorpresa i lettori del blog di Grillo, che peraltro non sembrano apprezzare granché. Molti ricordano gli scandali che hanno coinvolto di recente il partito di Di Pietro. Cì’è chi chiede ironicamente: e suo figlio dove lo mettiamo? Ai lavori pubblici? E chi si rivolge direttamente a Grillo: “Beppe, ma l’hai visto Report?”. Ma c’è anche ci appoggia, facendo già nomi della nuova nomenklatura: “Di Pietro capo dello Stato, De Magistris all’interno. Saviano all’Istruzione, Ingroia alla giustizia, Grillo primo ministro e ministro del Tesoro”

 

Grillo nel suo post ammette che Di Pietro ha commesso “errori” inserendo nel partito “persone imprensentabili come De Gregorio e Scilipoti”. Ma “lui soltanto ha combattuto il berlusconismo”, “isolato”, e “mal sopportato” dai “Pdmenoellini” (il Pd).

Su Il Fatto quotidiano, in prima, editoriale di Marco Travaglio, che ricorda gli anni in cui Di Pietrop è stato sottoposto a linciaggio da parte dei “cosiddetti giornali indipendenti”: “Con tutti i suoi difetti ed errori – scrive Travaglio – Di Pietro non si è mai lasciato omologare”. E se “nel ventennio berlusconiano Di Pietro era un pericolo, perché impediva al centrosinistra di inciuciare con B, oggi che l’inciucio è cosa fatta (vedrete che delizia nella prossima legislatura) il pericolo per il sistema è doppio: se i cento e più giovani di 5 Stelle che invaderanno le Camere trovassero sponda in un partito già strutturato all’opposizione, irriducibile nel Palazzo e fuori, la miscela esplosiva potrebbe far saltare tutto”.

L’Unità intervista il segretario Pd Bersani e gli chiede se non sarà Grillo il vero vincitore delle prossime elezioni: “Se il modello 5 Stelle, come meccanismo di partecipazione, fosse trasferito alla dimensione di governo – dice Bersani – sarebbe un nuovo eccezionalismo italiano, sarebbe fuori da ogni esperienza di democrazia rappresentativa”. Se avrete la maggioranza in parlamento quali saranno le priorità? “Moralità e lavoro”. Che rapporti dovrà avere con le parti sociali il prossimo governo? “Intanto, dovrà evitare di ritenere che parlare con i corpi sociali sia un impaccio”, “e poi non dovrà ribadire una concertazione vacua e verbale”. Bisogna ripartire da rapporti concreti, trasparenti, esigibili, darsi degli obiettivi misurabili. Non possiamo più battezzare come concertazione una cosa troppo vaga perché ne perdono di credibilità il sistema e tutte le rappresentanze, non solo il governo”. Bersani dice di ritenere prezioso il rapporto dell’Esecutivo con le organizzazioni sociali: “Tutte, non solo quelle economiche”, “vorrei vedere nella sala verde la Caritas, l’Arci, le Acli, le associazioni del terzo settore. Le chiamerei per prime a Palazzo Chigi per discutere con loro come dare sollievo alla crisi sociale”.

Su Il Foglio Daniela Santanché parla delle primarie in casa Pdl: “Non è che io non mi fidi di Angelino Alfano, ma se le cose vanno avanti così le primarie Pdl saranno una truffa”. Servono “regole semplici e trasparenti, pari opportunità per tutti i partecipanti e grande apertura al nuovo”, ma “la bozza di regolamento che si sta discutendo in queste ore” è “gravemente insufficiente, per non dire pessima: una truffa, appunto. Si pretende infatti che ogni candidato raccolga 10 mila firme in almeno 5 regioni nel tempo record di una settimana su moduli ufficiali del partito controfirmati da esponenti del partito. Con queste regole, rischiamo di avere un solo candidato: il segretario”.

Internazionale

Il Corriere della Sera intervista Peer Steinbruck, il socialdemocratico tedesco che sfiderà Angela Merkel nella carica di Cancelliere alle elezioni del 2013. Accusa il governo di partire da una “analisi insufficiente della crisi”, ritenendo che si tratti di una crisi del debito pubblico degli Stati. E’ così solo parzialmente. A questa analisi insufficiente segue una terapia sbagliata, e questa terapia viene praticata da due anni: risparmiare, risparmiare, risparmiare”. Per Steibruck “serve una stabilizzazione del nostro sistema bancario malato e una regolamentazione, ed è necessario un stimolo per la crescita”. Soprattutto in molti Paesi mediterranei per combattere una disoccupazione troppo alta.

L’Unità intervista Abdulbaset Sieda, presidente del Consiglio nazionale siriano e di etnia curda. Dice che in Siria “l’estremismo cresce sull’inerzia del mondo”. Nei giorni scorsi la segretaria di Stato Usa ha invitato l’opposizione siriana a resistere agli estremisti islamici: “Noi non stiamo solo ‘resistendo’ agli estremisti’, stiamo facendo molto di più”: estendendo il fronte anti-Assad “coinvolgendo ampi settori della società siriana e unendo forze di diverso orientamento politico e religioso. Se l’estremismo cresce le responsabilità vanno ricercate in altre direzioni”. Per esempio nell’inerzia internazionale: “non abbiamo mai chiesto un intervento militare”, ma di permettere a quanti si sono ribellati di avere la possibilità di liberarsi da un regime sanguinario: “abbiamo chiesto l’isolamento del regime, l’apertura di corridoi umanitari protetti da una forza internazionale”. E poi: “Non stiamo combattendo un regime dispotico per veder poi instaurato un ‘regime della sharia’. Quella ad Assad è un’opposizione inclusiva. Sappiamo distinguere tra il clan Assad e quanti hanno servito lo Stato”, “la nuova Siria sarà un Paese civile, democratico, pluralista e lo Stato sarà neutrale per quanto riguarda l’appartenenza religiosa e le etnie”.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *