Sansal, scrittore algerino: da orgoglio
della nazione a intellettuale ostracizzato

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Sul futuro dell’Islam e dell’umanità si interroga il romanzo 2084, La fine del mondo, di recente apparso in traduzione italiana per i tipi di Neri Pozza, grande successo editoriale d’Oltralpe – centomila copie vendute non appena pubblicato – nonché Grand Prix de l’Académie française nel 2015. Ne è autore Boualem Sansal (n. 1949), fra gli scrittori senz’altro più originali della nuova letteratura algerina, il quale, ispirandosi  al “racconto nero” del britannico antifascista della prima ora George Orwell (1903-1950) autore del leggendario 1984, ha inteso affrontare la questione del totalitarismo religioso e dello “jihadismo” per prospettarci uno scenario a dir poco da incubo in seguito alla strumentalizzazione politica dell’Islam.

Sul filo di un racconto pieno d’innocenza sarcastica, d’invenzioni eccentriche e inquietanti, Sansal, proprio sulla scia di Orwell, sbeffeggia le derive e l’ipocrisia del radicalismo religioso, quello islamico in particolare, che minaccia le democrazie: «La religione può far amare Dio, ma niente è più potente di lei per far odiare l’uomo e detestare l’umanità» è il motto che conclude il romanzo.

L’autore ambienta la narrazione in Abislibro sansaltan, un impero tanto vasto da ricoprire buona parte del mondo e che deve il suo nome al “profeta delegato” rappresentante in terra  Abi; ivi vige un regime  assolutista e settario da cui viene bandita qualsiasi opinione personale. Dubitare è proibito, così come avviene oggi nei Paesi a regime islamico totalitario. Tutto il popolo si trova pertanto sottomesso alla religione dell’unico dio Yölah e vive ufficialmente felice e fedele senza porsi domanda alcuna, sotto l’egida di una religione che ha tutte le risposte, «anche se alle persone non resta che morire per vivere felici», come recita il motto dell’esercito abistano. Ma a  mettere in dubbio le certezze imposte arriva il  buon profeta Ati che si lancia in un’inchiesta sull’esistenza di un popolo di emarginati, i makuf, i propagandisti della “Grande miscredenza” gli abitanti dei ghetti, del tutto estranei alla religione. Si fa strada allora in Ati la tentazione di scoprire la verità dei “rinnegati”.

Quanto ai precedenti Premi, dopo essere stata presente in tutte le selezioni, ad un certo punto dell’opera non figura più traccia nelle liste dei prestigiosi Renaudot e Médicis, nonché del Goncourt: “si tratta forse di islamofobia?” ci si è chiesti da più parti. Secondo Sansal «i giurati  temono quanto affermo  e gli editori non hanno osato attribuire un premio a un autore secondo il quale l’Islam è una vergogna».

E neanche in Algeria sembra che le autorità apprezzino il romanzo di Sansal, che vive in un villaggio sul mare nei pressi della capitale e che è intervenuto a più riprese, nel corso della guerra fondamentalista che ha devastato il Paese a partire dal 1991, per criticare l’estremismo islamico. Ha scritto tutti i suoi libri in francese in segno di rifiuto della progressiva ‘arabizzazione’ dell’Algeria. Ancora oggi subisce delle minacce, ma non intende espatriare, convinto che  «sarebbe come dare ragione agli integralisti». Egli annuncia piuttosto l’intenzione di «contribuire alla riconquista della democrazia dopo tanti anni di menzogne». E non manca di biasimare anche il governo, che nel 2003 ha ‘ripagato’ sia lui, privandolo della carica che rivestiva di alto funzionario del Ministero dell’industria, sia la sua consorte,  ostracizzata, in quanto «moglie di un traditore, pro-francese, antimusulmano».  Suo fratello, inoltre, si è trovato  costretto a chiudere la sua piccola  impresa commerciale.

Non è quindi la prima volta che Sansal subisce l’ostruzionismo del governo del suo Paese: il suo libro  Il villaggio del tedesco.  Ovvero il diario dei fratelli Schiller (apparso nel 2008, trad. Einaudi 2009), infatti, in cui l’autore paragona l’islamismo jihadista al nazismo, poté circolare in Algeria soltanto in maniera clandestina:  nel libro apparivano infatti diverse analogie fra il Terzo Reich  e certe caratteristiche dell’Algeria e degli altri regimi arabi, tra cui il partito unico, la militarizzazione, l’onnipresenza della polizia, la presenza di metodi quali il lavaggio del cervello, l’affermazione dell’esistenza di complotti, la glorificazione dei martiri e della guida suprema del Paese, i grandi raduni di massa, certi progetti faraonici di opere pubbliche. «Quando negli Stati limitrofi ci si sarà liberati di questo castello di menzogne, allora potrà cominciare la Primavera araba» affermò nel 2011, per spiegare le sue perplessità su quanto stava allora avvenendo in Nordafrica.

Eppure il suo primo romanzo, Le serment des barbares [Il giuramento dei barbari], apparso nel 1999, aveva fatto di lui quasi un eroe nazionale: «Ma immaginate il contesto – minimizza l’autore: «Il Presidente, tuttora in carica, Adbelaziz Bouteflika era appena giunto al potere dopo undici anni di violenze. Andava affermando  che la guerra era finita, e che  finalmente iniziava a soffiare un vento di straordinario ottimismo. Gli algerini, quindi, non potevano che andare fieri del fatto che un loro compatriota pubblicasse da Gallimard e che fosse candidato al Goncourt e ad altri grandi Premi. Ma in realtà mi leggevano pochissimo: i miei libri sono costosi, poiché non ho un editore algerino e vengono distribuiti dalla Francia».

Le cose cambiarono nel 2000 con L’enfant fou de l’arbre creux, [Il bambino matto dell’albero vuoto] «In cui affermavo che noi, gli algerini, siamo i primi responsabili di quanto ci accade: abbiamo permesso l’instaurarsi della dittatura, siamo andati ad ascoltare le prediche nella moschee». E questo «non me lo hanno perdonato, poiché in Algeria il popolo è intoccabile,  e non soltanto per gli islamici, per cui sono un apostata, ma anche per il regime, che mi ha trattato come un nemico».

Tornando a 2084, «non sarà al potere l’Islam che ho conosciuto nella mia infanzia – spiega  – e neanche quello attuale. Riscontro una differenza colossale fra l’Islam contemporaneo e la pratica ‘discreta’ di trent’anni or sono. Fino agli anni Novanta, l’Algeria era un Paese socialista, in cui la religione occupava uno spazio marginale, quale quello riservato attualmente al Cattolicesimo  in Francia. All’improvviso, questa ‘cosa’ lontana è venuta a imporsi ovunque, con discorsi, costruzioni di moschee… tutto si è modificato».

Ma le perplessità di Sansal non si fermano qui: «In questa evoluzione dell’esercizio della religione islamica – che si percepisce giorno dopo giorno – scompaiono alcuni termini, come ‘carità’, che veniva evocato più volte al giorno, e così ne è stato per la pratica a essa associata. Va sempre più imponendosi, invece, un vocabolario di tipo ‘marziale’». E prosegue: «Ritengo in generale che non si debba per forza amare le religioni, personalmente non ne prediligo alcuna». Insomma, se si trattasse di un francese dell’inizio del secolo scorso, potrebbe definirsi “anticlericale”, in quando, com’egli afferma, «Credo prima di tutto nella ragione umana: in essa riscontro molta più bellezza e spiritualità che in qualsiasi religione».

Vai a www.resetdoc.org

Titolo: 2084. La fine del mondo

Autore: Boualem Sansal

Editore: Neri Pozza

Pagine: 256

Prezzo: 17 €

Anno di pubblicazione: 2016



Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *