«La Storia ci chiama all’unità».
Un digiuno interreligioso anti-virus

Un messaggio in tredici diverse lingue per i “fratelli” nell’umanità a unirsi giovedì prossimo in un giorno di preghiera e digiuno per aiutare il mondo a liberarsi dalla pandemia. E’ il messaggio dell’Alto Comitato per la Fratellanza Umana e che i più ritengono un messaggio per i credenti nell’unico Dio. Ma, siccome la dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1791 li proclama sotto gli auspici dell’Essere Supremo e la scelta di  “libertà, uguaglianza e fratellanza” indica che è difficile ritenersi fratelli ma senza padre,  lo si può comprendere, usando un linguaggio ormai comune, come un messaggio a tutti gli uomini di buona volontà. Questo messaggio lo rivolge l’Alto Comitato per la Fratellanza Umana, istituito dopo la firma del documento sulla fratellanza umana davanti a centinaia di leader religiosi ad Abu Dhabi da Papa Francesco e dall’imam di al-Azhar, lo sceicco Ahmad al Tayyeb. In questo tempo segnato dal coronavirus, invitando ad “una giornata di preghiera, di digiuno e di invocazione per l’umanità” il documento dice: “Non dimentichiamo di rivolgerci a Dio Creatore in tale crisi”, in un momento in cui il mondo affronta il grave pericolo del Covid-19 “che minaccia la vita di milioni di persone in tutto il pianeta”. L’Alto Comitato per la Fratellanza Umana, nel quale è presente il rabbino emerito di Washington, Bruce Lustig,  ricorda il fondamentale ruolo dei medici e della ricerca scientifica.

Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, ha aderito con convinzione all’iniziativa, ne ha scritto su Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani e, interpellato al riguardo, ne sottolinea così il significato.

“Sì, è davvero da superare il tempo dei compartimenti stagni, dei muri, degli scontri di civiltà. Vorrei dire che tutti, al di là dei confini delle rispettive appartenenze, dovremmo prendere atto che abbiamo mangiato troppo, cioè che non abbiamo rispettato i limiti. L’idea, la nozione di limite è importante e le nostre società contemporanee hanno sovente creduto di poter superare i limiti, anche, se non soprattutto, nel rapporto con la natura.”

Lo possiamo dire con una parola che la caratterizzi questa cultura contemporanea?

Certo, a caratterizzarla è l’atteggiamento predatorio. Predatorio verso la natura, verso quello che io chiamo il creato, e quindi anche verso i poveri.

Nel suo discorso è evidente che l’ecosistema è stato violato e i poveri sono i poveri del quartiere, della città, ma anche quelli dei paesi più svantaggiati.

Questo allora è un tempo di conversione. La parola dovrebbe essere accettabile da tutti, ma siccome oggi non possiamo accettare di porre steccati o di consentire che rigidità linguistiche possano far divergere o peggio ancora dividere, si può anche dire che è tempo di attenzione. Attenzione vuol dire che se siamo d’accordo sul fatto che c’è stato un atteggiamento predatorio fino all’esplosione della pandemia allora non potremo pensare semplicemente di tornare indietro nel tempo quando tutto questo fosse passato, ma che dobbiamo prestare attenzione a come siamo caduti in questo atteggiamento predatorio e quindi orientarci verso una condivisione dei beni della terra.

Questo a suo avviso ha delle conseguenze pratiche, concrete, che riguardano ciascuno di noi?

In tutta sincerità vedo una conseguenza chiarissima: sbaglieremmo tutti, individualmente e collettivamente, se pensassimo di poter mettere al centro di tutto la difficoltà individuale: la difficoltà individuale c’è, ma al centro va posta la situazione complessiva che è di una gravità eccezionale. E’ troppo capire che abbiamo bisogno di fermarci un attimo, guardarci dentro, seriamente, e dirci che non abbiamo rispettato i limiti? La giornata di digiuno vuol dire questo. E’ una proposta, una proposta che certo non obbliga nessuno, ma che nel momento in cui viene formulata si aspetta la disponibilità ad una riflessione. La Storia – che avevamo messo da parte per le nostre piccole storie – chiama a un’unità che faccia perno su ciò che unisce.

Molti hanno osservato che la speranza o la certezza di dover fare da soli ci è stata confermata dalla retorica del “siamo in guerra”: facile dedurne che se siamo in guerra, allora il problema è sconfiggere un nemico, che starà fuori di noi. Ecco la tendenza, sempre più diffusa, a vedere o cercare nemici esterni più che nemici interni, come quelli di cui parla lei. Papa Francesco è stato il primo a sfidare questa retorica con un altro racconto, quello del “siamo tutti sulla stessa barca”. E per uno strano paradosso proprio gli ambienti ecclesiali più ostili a Francesco si sono saldati ad ambienti che potremmo chiamare di “laicismo estremo” nella denuncia di una finta pandemia inventata per privarci dei nostri diritti. Questa giornata di digiuno cerca di aggregare chi ha capito che la pandemia non è un’invenzione?

Certamente il papa ha indicato la realtà oggettiva, fattuale, dicendo che siamo tutti sulla stessa barca. Forse qualcuno non ha ancora capito che la pandemia è realmente tale. Non vorrei però che questa evidenza fosse banalizzata e voglio rivolgermi a chi si sente solo, o pensa di uscirne da solo: pensare di salvarsi da soli non ha senso, ci si salva insieme. La nostra piccola storia non arriverà alla salvezza se agiremo separatamente, individualmente. Facciamo un esempio: siamo consapevoli di quanto tempo si è perso per paura? Quanti paesi di tutto il mondo hanno perso tempo prezioso nella lotta o prevenzione della pandemia per aspettare, per rinviare, per non affrontare il problema? In sostanza, per fare da soli… Riconoscere la necessità di essere uniti, di rispondere insieme, comporta l’ammissione che abbiamo bisogno di aiutare e di essere aiutati, di avere e dare. Dobbiamo interpellare ma dobbiamo sentirci interpellati. Io oggi sono preoccupato per l’Africa: è un problema di cui sento scarsa consapevolezza.  Lei sa cosa significhi per l’Africa la fine delle rimesse dagli emigrati? Su scala continentale rappresentano il 7 o l’8% del Pil. Questo vuol dire che in alcuni paesi le rimesse degli emigrati costituiscono il 15, addirittura in qualche caso il 20% del Pil. Ecco allora che la visione di Francesco, capire che siamo tutti la stessa barca, ci aiuterà a renderci conto che in questa tempesta in cui ci troviamo tutti le imbarcazioni sono diverse, ma nessuno ha la portaerei inespugnabile, sicura. Devo dire che avverto il bisogno di dire grazie a un papa che aiuta un mondo senza leader a non perdere la bussola, anche se credo giusto riconoscere che la cancelliera Angela Merkel ci ha fatto capire che la leadership è possibile. Per quanto sia alla fine del suo mandato ha dimostrato che se vogliamo è possibile unirsi, capire le fondate esigenze dell’altro ponendo anche le proprie.

Non sente il rischio che queste iniziative finiscano con l’apparire belle all’apparenza ma prive di efficacia?

Davvero? Davvero mi chiede questo? E’ una domanda di cui mi rallegro perché io oggi sono sorpreso da una grande novità che pochi notano. Il mondo musulmano, che abbiamo sempre ritenuto chiuso o forse autoreferenziale se non ostile, ci sollecita all’unità. Quando ci fu l’incontro di Assisi, quando Giovanni Paolo II convocò ad Assisi tutti i leader religiosi del mondo, qualcuno in cuor suo pensò come lei dice. Poi per decenni noi della Comunità di Sant’Egidio abbiamo portato avanti quell’iniziativa con tanti amici, credendo nel cosiddetto Spirito di Assisi. Molto spesso ho sentito dire che questo bisogno, questo desiderio di fratellanza era una pellicola piacevolmente agitata, ma senza profondità. Oggi io vedo che il desiderio, il bisogno di fratellanza trova conferma importanti e non solo negli appelli. Non possiamo sottovalutare quanto si verifica in questa direzione, nel mondo musulmano e non solo.

 

Foto: Alberto Pizzoli / AFP

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