Varsavia si ribella al diritto europeo.
Sull’Ue l’ombra della Polexit

Varsavia e Bruxelles non sono mai state così lontane. Una sentenza del Tribunale Costituzionale polacco ha stabilito che il diritto europeo non ha la precedenza sulla Costituzione. Sotto esame erano alcune disposizioni dei trattati europei che normano il modo in cui le leggi comunitarie si rapportano con quelle nazionali. Il verdetto di incostituzionalità di tali disposizioni, pronunciato dalla presidente del Tribunale Julia Przyłębska, è stato motivato dal fatto che impedirebbero alla Polonia di funzionare come Paese sovrano e democratico. È stato inoltre rilevato che gli organi europei agiscono al di fuori del potere conferitogli dai trattati, e che in tali condizioni la Costituzione cessa di essere la legge suprema della repubblica polacca.

A rivolgersi al Tribunale era stato nello scorso marzo il primo ministro Mateusz Morawiecki, dopo che la Corte di Giustizia europea aveva definito incompatibile con il diritto europeo la riforma della magistratura approvata dal suo governo.

La sentenza non giunge totalmente inaspettata. Il Tribunale Costituzionale polacco fu il primo organo ad essere “catturato” da Diritto e Giustizia, il partito conservatore che governa il Paese dal 2015. Tutti i 15 togati che compongono attualmente la Corte costituzionale sono espressione del suo governo monocolore: un organo che dai più viene ritenuto uno strumento nelle mani dell’esecutivo.

Nel corso delle cinque udienze che sono servite per giungere al pronunciamento finale l’unico rappresentante istituzionale che si è posto in difesa dei trattati europei è stato il Difensore Civico Marcin Wiącek, insieme al suo staff. Osservando l’atteggiamento della maggioranza dei giudici, da subito ci sono stati pochi dubbi su quale sarebbe stato l’esito finale.

Per entrare in vigore la sentenza dovrà ora essere pubblicata nella gazzetta ufficiale. Analogamente a quanto accaduto l’anno scorso per la sentenza sull’aborto, è plausibile pensare che non sarà una cosa immediata.

 

Bomba politica

Il pronunciamento di ieri è un vero e proprio attacco alle fondamenta su cui si basa l’Unione europea ed è lecito aspettarsi che la Commissione prenda delle contromisure. Il rischio che altri Paesi a trazione sovranista decidano di imitare la Polonia è troppo alto.

Per il momento la replica è stata affidata a uno stringato comunicato, in cui si riafferma il primato delle leggi europee su quelle nazionali, e in cui si sottolinea come le sentenze della Corte di Giustizia europea siano vincolanti per i membri dell’Unione.

In un altro passaggio viene sottolineato come la Commissione non esiterà a utilizzare tutti i poteri stabiliti dai trattati per salvaguardare l’integrità del diritto europeo.

Sul fronte opposto il ministro della Giustizia di Varsavia Zbigniew Ziobro ha salutato il pronunciamento del Tribunale come una sentenza di portata storica, che ha fissato i limiti dell’integrazione europea e delle interferenze di Bruxelles.

Donald Tusk, leader dell’opposizione ed ex presidente del consiglio europeo ha invece convocato per domenica alle 18 una manifestazione di piazza in difesa della Polonia europea.

 

Sarà Polexit?

Lo spettro che si agita nella mente di molti è quello della fuoruscita della Polonia dal blocco comunitario. Su questo punto si è espresso chiaramente il leader di Diritto e Giustizia Jarosław Kaczyński un paio di settimane fa, quando ha escluso ogni possibilità di “Polexit”. E d’altra parte i sondaggi indicano che questa eventualità sarebbe ben poco gradita ai polacchi. Secondo un’indagine Ipsos diffusa qualche giorno fa, l’88% delle persone non vuole uscire dall’Unione. Allo stesso tempo però metà degli intervistati teme che il governo possa intraprendere questa strada.

Lo stesso timore traspare dal comunicato del Partito Popolare europeo, nel quale si afferma come sia difficile credere alle rassicurazioni delle autorità polacche circa la loro volontà di restare tra i 27, quando le loro azioni portano nella direzione opposta.

Uno scenario possibile è che la pubblicazione della sentenza venga congelata in attesa di vedere quali saranno le mosse dell’Unione europea. Tenere la situazione in “freezer” fornirebbe a Varsavia la possibilità di avere un’arma di ricatto nei confronti della controparte.

 

Minacce e sanzioni

Le tempistiche del pronunciamento della sentenza si intersecano con un’altra questione che si sta trascinando da qualche mese: quella finanziaria.

Il nodo della Giustizia aveva portato la Commissione europea a congelare preventivamente i 57 miliardi di euro che spettano alla Polonia dal fondo Next Generation Eu. Nei mesi scorsi Varsavia si era rifiutata di ottemperare all’ordine di sospendere l’attività della Camera di disciplina della Corte suprema, un organo di controllo dei giudici introdotto con l’ultima riforma della giustizia, che limita fortemente l’indipendenza dei magistrati. A nulla è valsa la lettera inviata a metà agosto dal governo, con la quale si prometteva la sospensione dell’attività. Le rassicurazioni non devono essere suonate convincenti a Bruxelles. A inizio settembre il Commissario europeo all’economia Paolo Gentiloni aveva reso noto questo problema e ad alti livelli erano iniziate le trattative per giungere a un accordo. Qualche giorno fa Morawiecki aveva però dichiarato che la Polonia può fare a meno dei finanziamenti. Un’affermazione difficilmente credibile, ma sintomo che il dialogo era giunto a un punto di stallo.

Sta diventando evidente che l’Unione europea ha deciso di utilizzare l’arma dei soldi come deterrente nei confronti dei Paesi riottosi. Parimenti alla Polonia, l’unico altro Paese a cui è stato bloccato il Recovery Fund è l’Ungheria.

Per le inadempienze sulla Camera di Disciplina la Commissione ha chiesto alla Corte di giustizia europea di applicare delle sanzioni pecuniarie alla Polonia. Non sarebbero le prime. Nello scorso maggio il massimo tribunale europeo aveva ordinato a Varsavia di terminare le attività della miniera di lignite di Turów, nel sudovest del Paese. L’impianto si trova al confine con la Repubblica Ceca, che ne ha denunciato un effetto drenante sulle sue falde acquifere. Anche in quel caso la Polonia non ha osservato la sentenza e le sono state comminate 500mila euro di multa per ogni giorno in cui lo stabilimento resterà in funzione.

Un altro fronte di scontro nei mesi scorsi era stato quelli dei diritti della comunità LGBT. Negli ultimi due anni un centinaio di enti locali e cinque voivodati (il corrispettivo delle regioni italiane) hanno sottoscritto delle risoluzioni contro la cosiddetta ideologia LGBT. Dopo aver avviato una procedura d’infrazione la Commissione ha fatto recapitare ai cinque voivodati delle lettere in cui si minacciava il blocco dei finanziamenti del fondo React Eu a loro destinati. Nel giro di qualche settimana quattro di loro (Precarpazia, Santacroce, voivodato di Lublino e Piccola Polonia) hanno ritirato la delibera. Ad oggi solo il voivodato di Łódź ha mantenuto la risoluzione.

Un piccolo segnale positivo nel mezzo di un confronto che si avvia sempre di più in un terreno inesplorato.

 

Foto: Una donna mostra una copia della Costituzione polacca, in attesa del verdetto della Corte Costituzionale sul primato tra diritto nazionale ed europeo – Varsavia, 7 ottobre 2021 (Jaap Arriens / AFP).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *