Obama dice sì al matrimonio gay
Il parere della Nussbaum

Il mese di maggio 2012 ha visto due passaggi politici importanti sul tema dei matrimoni gay: per la prima volta un presidente degli Usa, per di più in campagna elettorale, si è dichiarato apertamente favorevole alle unioni tra due persone dello stesso sesso; e per la prima volta si sono celebrate le nozze gay di un politico newyorchese, aspirante, per di più, alla carica di sindaco della città. Barack Obama, il primo presidente afroamericano, e Christine Quinn, portavoce del consiglio municipale della Grande Mela, hanno fatto pendere vistosamente il piatto di questa bilancia.
D’altronde l’ultimo sondaggio Gallup, reso noto lo scorso 8 maggio, dice che gli americani favorevoli alle nozze gay sono ormai oltre il 50%. Al precedente rilevamento, un quindicennio fa, erano il 25%. E se Mitt Romney, in corsa contro Obama per la Casa Bianca, nei giorni successivi ha tesaurizzato una crescita di consensi, lui stesso, nel dire no alle nozze omosessuali, ha usato una formula circostanziata: sono i “matrimoni” tra persone dello stesso sesso a riscuotere il suo “no”. Non le unioni in sé, quindi.
Qui vi proponiamo l’analisi che, in proposito, la filosofa Martha C. Nussbaum svolge nel suo libro in Italia tradotto per Il Saggiatore
Dal disgusto all’umanità. L’orientamento sessuale di fronte alla legge.

Il matrimonio è una realtà onnipresente e fondamentale. Gli individui di ogni classe sociale, ogni razza ed etnia, ogni confessione o non confessione religiosa si sposano in tutti gli Stati Uniti, in ogni regione del Paese. Per molti, inoltre, se non per la maggioranza, il matrimonio non è una cosa di poco conto. È un elemento chiave della ricerca della felicità, qualcosa cui le persone aspirano e continuano ad aspirare, incessantemente, anche quando la loro esperienza è stata meno che felice. Sentirsi dire «Non puoi sposarti» significa quindi essere esclusi da uno dei rituali che scandiscono il ciclo di vita americano.
Sarebbe stato possibile affidare le chiavi di accesso al regno della vita coniugale solo ai privati cittadini: corpi religiosi e rispettivi leader, famiglie, altre parti della società civile, e così è stato in molte società nel corso della storia. Negli Stati Uniti, tuttavia, come nella maggior parte delle nazioni moderne, è oggi lo Stato ad avere quelle chiavi. Anche se unita in matrimonio dalla propria chiesa o gruppo religioso di appartenenza, una coppia non è sposata nel senso che conta ai fini sociali e politici finché non ha ricevuto un’autorizzazione al matrimonio da parte dello Stato. A differenza degli attori privati, tuttavia, lo Stato non ha assoluta libertà nel decidere chi possa e chi non possa sposarsi. Il coinvolgimento dello Stato solleva questioni fondamentali di eguaglianza di status civile e politico.

Il matrimonio omosessuale è al momento una delle questioni politiche più controverse negli Stati Uniti. Nel novembre 2008 i californiani hanno votato a favore della Proposition 8, un referendum che revocava il diritto di sposarsi alle coppie omosessuali che si erano viste riconosciute quel diritto dai tribunali. Quello stesso giorno, gli elettori della California hanno votato a favore di un’estensiva legislazione di protezione degli animali da trattamenti crudeli negli allevamenti industriali, mostrando con questo di non essere rigidi tradizionalisti, né insensibili alla sofferenza, e tuttavia, una maggioranza ha ritenuto opportuno negare ad alcuni dei suoi concittadini un diritto fondamentale, in un modo che è stato percepito dalla comunità omosessuale come profondamente degradante e umiliante. Nel maggio successivo, la Corte Suprema della California ha confermato il risultato del referendum, pur non annullando i matrimoni legittimamente celebrati in precedenza. L’intera materia sarà presto sottoposta nuovamente agli elettori. Analizzare tale questione può aiutarci a comprendere cosa sta succedendo nel nostro Paese, e in che direzione muoverci.

Prima di affrontare il tema del matrimonio omosessuale, dobbiamo definire cos’è il matrimonio. E appare subito evidente che esso non ha un singolo aspetto: è plurale sia nella sostanza sia nel significato. L’istituzione del matrimonio racchiude e sostiene molteplici componenti della vita umana: relazioni sessuali, amicizia e compagnia, amore, dialogo, procreazione e allevamento dei figli, responsabilità reciproca. I matrimoni possono esistere in assenza di uno qualsiasi di questi elementi (abbiamo sempre accordato autorizzazioni al matrimonio a persone sterili, troppo vecchie per avere figli, irresponsabili e a persone incapaci di amore e di amicizia. Impotenza, disinteresse per il sesso e il rifiuto di avere rapporti sessuali possono costituire basi per il divorzio, ma non precludono il matrimonio). Possono esistere anche in assenza di tutti questi elementi, anche se unioni di questo tipo sono probabilmente infelici. Ciascuno di questi aspetti cruciali della vita umana, a sua volta, può darsi al di fuori del matrimonio, e possono persino sussistere tutti al di fuori del matrimonio, come dimostrano le molte coppie non sposate che conducono vite di intimità, amicizia e responsabilità reciproca, e che hanno e crescono dei figli (benché questi, considerati illegittimi, abbiano generalmente sofferto di svantaggi sociali e giuridici). Nondimeno, quando ci chiediamo quale sia la sostanza del matrimonio, tipicamente pensiamo a quell’insieme di cose.

Neanche il significato del matrimonio è univoco. Il matrimonio ha, anzitutto, una dimensione di diritto civile. Le persone sposate ricevono dallo Stato una serie di benefici che i non sposati solitamente non hanno: un trattamento favorevole in materia di tasse, eredità e assicurazioni; diritti di immigrazione; diritti di adozione e custodia; diritti decisionali e di visita nel campo sanitario e in caso di sepoltura; esonero del coniuge dall’obbligo di testimoniare in tribunale e molti altri.
In secondo luogo, il matrimonio ha una dimensione espressiva. Quando due persone si sposano, tipicamente dichiarano il proprio amore e la propria devozione di fronte a dei testimoni. La maggior parte degli sposi considera tale dichiarazione un fatto molto importante della propria vita: la possibilità di fare quell’affermazione, e di farla liberamente (non sotto minaccia), è considerata costitutiva della libertà umana degli adulti. Generalmente si ritiene che la dichiarazione della coppia che si sposa implichi una risposta da parte della società: noi ci dichiariamo amore e devozione, e la società, in risposta, riconosce e nobilita il nostro impegno reciproco.
Il matrimonio ha, infine, un aspetto religioso. Per molti individui un matrimonio non è completo se non è solennemente riconosciuto dalle autorità rilevanti nella loro religione, in base alle sue regole.

Benché il matrimonio abbia tre aspetti distinti, attualmente lo Stato gioca un ruolo fondamentale in ciascuno di essi: conferisce e amministra benefici; opera, o così sembra, come un agente di riconoscimento o attribuzione di dignità e stringe alleanze con i corpi religiosi. I membri del clero hanno sempre fatto parte del novero di coloro che sono autorizzati a celebrare matrimoni legalmente validi. Le religioni possono rifiutare di sposare persone che sono idonee al matrimonio dal punto di vista dello Stato, e possono anche accettare di sposare persone che non sono idonee per il matrimonio sancito dallo Stato. Oggi, però, gran parte dei matrimoni ufficiali contratti negli Stati Uniti è celebrata in luoghi religiosi da personale religioso. Ciò che si celebra (quando c’è un’autorizzazione da parte dello Stato), tuttavia, non è solo un rituale religioso, ma anche un rito di passaggio di natura pubblica, l’entrata in uno status civile privilegiato.

Per beneficiare di questo privilegio legale, non occorre dimostrare di essere persone per bene. Criminali, genitori divorziati che non pagano gli assegni di mantenimento per i figli, persone con una storia di violenza domestica o abuso psicologico, evasori fiscali, drogati, stupratori, assassini, razzisti, antisemiti e bigotti vari possono tutti sposarsi se vogliono, e anzi si ritiene che siano titolari di un diritto costituzionale fondamentale in tal senso… a patto che vogliano sposare una persona di sesso opposto. Benché alcune religioni raccomandino una consulenza prematrimoniale e non permettano di sposare individui che non sembrano pronti al matrimonio, lo Stato non opera questa distinzione. Il capriccio più estemporaneo può trasformarsi in un matrimonio, con l’unico ostacolo del tempo necessario a ottenere un’autorizzazione. Inoltre, le regole non impongono alcun limite circa chi sia autorizzato a celebrare un matrimonio. Si può essere ordinati su internet ministri dell’Universal Life Church o di qualche altra religione online. Alcuni stati incoraggiano gli amici della coppia a celebrare la funzione, permettendo a ciascun individuo di farlo al massimo una volta l’anno.
Né le persone devono in alcun modo condurre uno stile di vita sessuale gradito alla maggioranza per potersi sposare. Pedofili, sadici, masochisti, sodomiti, transessuali: tutti possono essere uniti in matrimonio dallo Stato, a patto che sposino qualcuno del sesso opposto.

Alla luce di tutto questo, l’idea che nel celebrare matrimoni lo Stato accordi espressamente la propria approvazione o conferisca dignità appare improbabile. C’è in realtà qualcosa di strano nella miscela di noncuranza e solennità con cui lo Stato agisce in quanto officiante di matrimoni. E tuttavia, la maggior parte degli individui pensa che lo Stato, nel rilasciare un certificato di matrimonio esprima approvazione e, nel negarlo, disapprovazione.
Qual è l’oggetto del dibattito sul matrimonio omosessuale? Non è certo se le relazioni omosessuali possano esprimere la sostanza del matrimonio: pochi sarebbero disposti a negare che gay e lesbiche siano capaci di amicizia, intimità, «amorosa e piacevole corrispondenza» e responsabilità reciproca, né che possano avere e crescere dei figli (siano essi figli di un precedente matrimonio, generati dalla coppia attraverso l’inseminazione artificiale o una madre surrogata, o adottati). E certamente nessuno negherebbe che gay e lesbiche siano capaci di intimità sessuale, poiché tipicamente è proprio questo il fulcro dell’ostilità nei confronti delle relazioni omosessuali.

E il dibattito non riguarda neppure, almeno al momento, gli aspetti civili del matrimonio: stiamo ormai muovendo verso un consenso generale rispetto al fatto che coppie omosessuali e coppie eterosessuali debbano avere eguali diritti civili. I leader di entrambi i principali partiti politici hanno apparentemente fatto propria questa posizione durante la campagna presidenziale del 2008 – sebbene non tutti i repubblicani abbiano pienamente avallato un regime di unioni civili, e fino a questo momento solo uno sparuto numero di stati abbia legalizzato le unioni civili con privilegi materiali equivalenti a quelli del matrimonio (come discuterò tra breve, tuttavia, il Defense of Marriage Act sancisce che nessuna unione o matrimonio tra coppie dello stesso sesso è pienamente eguale dal punto di vista materiale a un matrimonio tra persone di sesso opposto).

Infine, il dibattito non riguarda gli aspetti religiosi del matrimonio. Quasi tutte le religioni principali hanno i propri dibattiti interni, spesso accesi, rispetto allo status delle unioni omosessuali. Alcune denominazioni – gli universalisti unitariani e l’ebraismo riformato e conservatore – hanno riconosciuto il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Altre, come la Chiesa episcopale protestante degli Stati Uniti, hanno assunto una posizione benevola nei confronti di tali unioni.

Presbiteriani, luterani e metodisti sono attualmente divisi sulla questione, e lo stesso vale per i cattolici americani, laici e clericali, benché la gerarchia ecclesiastica sia fermamente contraria. Altre religioni ancora (la Chiesa battista del Sud, la Chiesa di Gesù Cristo dei santi dell’ultimo giorno) sembrano decisamente contrarie, nel loro complesso, al riconoscimento di queste unioni. Oggi negli Stati Uniti non esiste una posizione religiosa univoca in materia, ma i dibattiti più animati avvengono di solito all’interno dei corpi religiosi e al livello delle singole denominazioni; non è questo fervore a tracimare nella pubblica arena. Qualunque fosse la posizione della legge, inoltre, le specifiche religioni sarebbero libere di sposare o non sposare le coppie omosessuali.
Il dibattito pubblico, invece, ruota principalmente intorno alla dimensione espressiva, pubblica e condivisa, del matrimonio. È qui che risiede la differenza tra unioni civili e matrimonio, ed è questa la materia del contendere quando le coppie omosessuali rifiutano l’offerta di compromesso delle unioni civili, richiedendo invece niente di meno del matrimonio. È perché questo sembra conferire qualche tipo di dignità o approvazione pubblica alle parti interessate e alla loro unione che l’esclusione di gay e lesbiche è considerata (anche quando questi hanno diritto a unioni civili che conferiscono gli stessi benefici del matrimonio) stigmatizzante e degradante, sollevando questioni di eguaglianza civile ed eguaglianza della legge.

La dimensione espressiva del matrimonio solleva diverse questioni. Anzitutto, assumendo che il rilascio di un’autorizzazione al matrimonio esprima un tipo di approvazione pubblica, lo Stato dovrebbe essere chiamato a favorire, o a nobilitare, certe unioni piuttosto che altre? In altre parole, esistono buone ragioni pubbliche per cui lo Stato debba occuparsi di matrimonio tout court, piuttosto che solo di unioni civili? Secondo, se queste buone ragioni esistono, quali sono gli argomenti favorevoli e contrari all’ammissione delle coppie omosessuali allo status di coppia sposata, e cosa dovremmo pensarne?
È molto importante tenere queste due domande distinte. È possibile sostenere, come farò, che nella misura in cui lo Stato è coinvolto nelle faccende matrimoniali, considerazioni di eguaglianza impongono di rendere il matrimonio accessibile anche alle coppie dello stesso sesso – ma che sarebbe molto meglio, sia in termini di teoria politica sia di politiche pubbliche, se lo Stato si astenesse dal celebrare matrimoni, lasciando la sfera espressiva alle religioni e agli altri gruppi privati cui le persone aderiscono, e offrisse unioni civili alle coppie sia omosessuali che eterosessuali.

Dobbiamo tenere in mente un elemento importante relativo al federalismo. Nessuno Stato può indipendentemente dagli altri istituire unioni per i gay e le lesbiche, si chiamino esse «unioni civili» o «matrimoni», che siano esattamente eguali ai matrimoni eterosessuali, perché il Defense of Marriage Act federale stabilisce che gli altri stati non sarebbero obbligati a riconoscere tali unioni e che esse non sarebbero riconosciute dal governo federale. Questo è un problema rilevante tanto sul piano materiale quanto su quello del significato. Il dipartimento di Giustizia dell’amministrazione Obama continua a sostenere il Defense of Marriage Act, benché il presidente durante la campagna elettorale avesse dichiarato che ne avrebbe richiesta l’abrogazione.

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