La vittoria sarda di Todde peggio
di un Pandoro Ferragni per Meloni

C’è anche Carlo V fra gli sconfitti delle elezioni regionali in Sardegna. “Pocos, locos y mal unidos” era l’anatema con cui l’imperatore, di passaggio ad Alghero rientrando dal disastro dell’ultima crociata (1535), condannava all’eterna sconfitta i sardi: “Pochi, matti e assai divisi”. Sbiadito emblema della sinistra vincente (2004), Renato Soru sembrava dovesse confermare la nemesi storica. E invece l’unità ritrovata fra Pd e Cinquestelle nel nome di Alessandra Todde è riuscita a deviare, seppure di pochi gradi, a favore del centrosinistra la banderuola segnavento della politica sarda. Anche di quella italiana. Nell’attraversare il Tirreno, succede infatti che la brezza isolana sia rinforzata, arrivando nel continente fino a Roma con la potenza impetuosa del maestrale.

Tutte le prime pagine all’unisono (eccetto La Verità) attribuiscono al voto locale un valore nazionale. E basta un attimo, un impennamento dello spirito collettivo, per trasformare il voto regionale in un sondaggio dal vivo sul governo di Giorgia Meloni. Bastano quasi 3mila voti, circa lo 0,5 per cento, per trasformare Todde in una nuova Eleonora d’Arborea, la statista che promulgò la prima Costituzione del mondo (Carta de logu, 1392) per governare il Giudicato d’Arborea.

 

Egemonia usurpata

Che il re sia nudo appare subito evidente leggendo in filigrana le percentuali del voto sardo: la destra non è la forza maggioritaria del Paese, la sua egemonia è usurpata, paradossale frutto di un sistema elettorale perverso in cui una somma di minoranze partitiche si trasforma in una maggioranza politica tenuta insieme dal collante di un capo carismatico vincente. Insegna la dottrina nell’era del populismo di massa che il carisma non sopporta la battuta d’arresto, che ha bisogno di essere alimentato dalla conferma continua del suo potere, che non prevede la sconfitta, perché solo il perpetuarsi delle vittorie può garantire il consenso.

Al fondo del populismo di Giorgia Meloni c’è un tratto, una sintonia nel profondo con l’aria del tempo mediatico che stiamo attraversando: il consenso politico finisce per somigliare al consenso digitale deformando i paradigmi ideali e culturali della classe politica. Così viene interpretato il comizio-spettacolo con cui Meloni ha chiuso la campagna elettorale a Cagliari, fra battute e vocette, urletti e boccucce da puro avanspettacolo. Chissà, se avesse vinto il centrodestra non si sarebbe notato, con la sconfitta invece appare lampante la sua farsesca inadeguatezza. Nell’era digitale si sa, basta un pandoro sbagliato, la brutta sorpresa di un uovo di Pasqua, per trasformare i follower in hater, con il conseguente svuotamento degli immensi serbatoi del consenso populista. È successo a Chiara Ferragni! Potrebbe succedere a Giorgia Meloni?

 

Il paradigma Sardegna

Ricorrendo al suo incommensurabile archivio della cronaca politica, un deposito di storie che fanno la storia, Filippo Ceccarelli ha teorizzato il paradigma profetico della Sardegna, “l’isola che anticipa il destino dei leader”. Gli esempi non lasciano dubbi: nel 2019 il voto isolano annuncia il successo nel voto europeo di Matteo Salvini e registra le prime crepe nella compattezza del consenso grillino; nel 2009 le percentuali costringono Walter Veltroni alle dimissioni dalla segreteria del Pd, il partito che aveva appena fondato; nel 2004 la discesa in campo di Renato Soru indica che in Italia sta per perdere mordente, dopo dieci anni, la prima discesa in campo di Silvio Berlusconi. Vent’anni dopo, sulle schede lenzuolo, ritroviamo ancora Soru nell’ingrato ruolo di guastatore. Una scelta impolitica, perseguita con cocciuta determinazione caratteriale, che sembrava destinata a far naufragare il primo tentativo di alleanza fra Elly Schlein e Giuseppe Conte e con essa tutta l’architettura della difficile costruzione di una concreta alternativa al centro destra.

 

Fortza paris

Invece, dall’analisi delle percentuali, sembra che Soru abbia sottratto una discreta percentuale di voti anche al candidato fortemente voluto da Fratelli d’Italia, Paolo Truzzu, al posto del presidente uscente, il pessimo Solinas che aveva vinto cinque anni fa sull’onda del successo di Salvini. Ma non è solo questo il paradosso Soru. Perché la percentuale delle sue cinque liste, un tondo 8 per cento, sommato allo 0,6 per cento della lista di Lucia Chessa, in sede di commento post-elettorale va sommato al 42,6 per cento delle liste che hanno portato alla vittoria Alessandra Todde, per un totale di 51,2. È una astuta falsificazione considerare il centrodestra con il 48,8 per cento maggioritario ed egemone sull’elettorato sardo. Insomma, con o senza Soru, i voti delle sue liste saranno cruciali per un centrosinistra diffuso che ora può vincere davvero.

Avanti fortza paris”, (avanti tutti insieme) cantavano nel ’15-‘18 i vittoriosi fantaccini della Brigata Sassari all’assalto delle trincee austroungariche.

 

Foto di copertina: Alessandra Todde. Foto di Eliano Imperato/Controluce via Afp.

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