Germania, se il dopo-Merkel si tinge di verde: opportunità e nodi da sciogliere

Annalena Baerbock per i Verdi e Armin Laschet per la CDU-CSU. In meno di 24 ore sono infine emersi i candidati al Cancellierato delle due maggiori forze politiche tedesche. Con una differenza decisiva: la candidatura di Baerbock è stata un annuncio trionfale, quella di Laschet il risultato di uno psicodramma all’interno della Union. Uno scenario che sembra poter favorire ulteriormente i Grünen, ma anche altri partiti tedeschi. Il 26 settembre il risultato delle elezioni potrebbe diventare più eterogeneo del previsto.

Poco prima dell’annuncio dei candidati di Verdi e cristiano-democratici, i sondaggi davano ancora la CDU-CSU al 27%, i Verdi al 23%, la SPD al 15%, la FDP al 9%, AfD al 11% e la Linke all’7%. Poche ore dopo l’annuncio dei candidati, in un discusso sondaggio a caldo, i Verdi sono addirittura passati in testa con il 28%, mentre la CDU-CSU è crollata al 21% (sondaggi Forsa-RTL). L’alleanza di governo più possibile resterebbe tuttora quella Schwarz-Grün (Nero-Verde) tra cristiano democratici e Grünen, ma con un potenziale cambio delle gerarchie verso il Verde-Nero. Mancano tuttavia ancora 5 mesi al voto e l’attuale volatilità dei sondaggi non esprime ovviamente uno scenario chiaro. La CDU potrà restare in testa in altri sondaggi o, eventualmente, recuperare dopo una caduta. Al tempo stesso, con particolari evoluzioni ci potrebbe essere anche lo spazio per alleanze di governo come la Ampelkoalition (Verdi, SPD, FDP), una Jamaika-Koalition (CDU-CSU, Verdi, FDP), o persino un’improbabile alleanza Rot-Rot-Grün tutta di sinistra (Verdi, SPD, Linke). Quello che è certo è che i giochi per la prossima Bundestagswahl restano ancora aperti, mentre la scelta dei due candidati esprime già le coordinate dell’attuale posizionamento di Verdi e CDU-CSU sulla politica interna e, anche, sulla politica europea ed estera.

 

La fuga in avanti dei Verdi

Dopo una sfida molto disciplinata e senza asprezze con il co-leader di partito Robert Habeck, il 19 aprile Annalena Baerbock è stata scelta dai Verdi come candidata Cancelliera. È la prima volta nella loro storia che i Grünen esprimono direttamente un candidato alla guida del paese. Perché è la prima volta che intravedono la possibilità di arrivare così in alto. Baerbock è il simbolo di una fuga in avanti del partito liberal-ambientalista. I Verdi hanno rinunciato al carisma accomodante e al profilo da scrittore impegnato del 51enne Habeck e hanno invece voluto puntare sulla generazione politica di Baerbock: 40 anni, studi in scienze politiche, master in Public International Law alla London School of Economics.

Baerbock rappresenta di fatto l’evoluzione definitiva dei Grünen tedeschi: ecologista ma business-friendly, liberal ma potenzialmente aperta alla realpolitik, narrativamente empatica ma manageriale nella capacità gestionale. L’accoglienza mediatica di Bearbock, in Germania come all’estero, è significativa di come la candidata soddisfi perlomeno tutte le aspettative dell’impostazione liberal-cosmopolita occidentale, inclusa la difesa radicale dei valori della società aperta sui temi del multiculturalismo, dell’uguaglianza di genere e dei diritti civili. Nella sua fulminante carriera politica Baerbock è stata in verità solo parlamentare nel Land del Brandeburgo e, dal 2013, parlamentare al Bundestag. A chi la accusa di poca esperienza, la neo-candidata dei Verdi ha però più volte risposto di rappresentare “il nuovo e non lo status quo”. Una dichiarazione che in altre circostanze sarebbe stata criticata, ma che in Germania viene oggi presa sul serio proprio perché è chiaro quanto Baerbock sia in verità emanazione diretta e quasi perfetta dell’esperienza tattico-strategica del suo partito. Un partito che non è più da anni solo espressione di movimenti della contestazione ecologista, ma che governa in coalizione in 11 Länder su 16 ed è forza leader in un Land economicamente cruciale come il Baden-Württemberg.

Proprio il Baden-Württemberg, di cui è Ministro-Presidente il verde Winfried Kretschmann, è stato negli ultimi anni laboratorio dell’incontro tra ambientalismo e industria (soprattutto quella dell’auto, come Daimler e Porsche). Un incontro che, visto il ruolo determinante dell’automotive per la potenza economica tedesca, sarà anche una pietra angolare di un’eventuale partecipazione dei Verdi al prossimo governo o, addirittura, di un Cancellierato Baerbock. Il confronto-allineamento tra ambientalismo e produttività si è sviluppato molto negli ultimi tempi, con i CEO dei grandi gruppi automobilistici (a partire da Volkswagen) che lanciano quasi ogni mese una nuova tappa della loro rincorsa alla e-mobility (e alla produzione in-house di batterie per le stesse auto elettriche). Più complessivamente, del resto, un usuale sondaggio tra top-manager e decision makers economici tedeschi ha per la prima volta confermato la preferenza dell’élite economica tedesca proprio per un governo Schwarz-Grün (CDU-CSU e Verdi). Il momentum politico tedesco è quindi legato anche a questa circostanza: neanche il mondo economico vuole più l’ambientalismo all’opposizione, ma cerca invece un’alleanza per rilanciare i primati produttivi del “made in Germany” all’interno del Green Deal europeo.

 

Nodi di programma

Alleanza che, ovviamente, non è però così semplice. Tra il programma dei Verdi e la disponibilità alla svolta ecologica del mondo economico permangono differenze di ritmo, velocità, intensità, radicalità. I Verdi vogliono accelerare, ad esempio spingendo il più possibile la decarbonizzazione, inserendo profondi sgravi fiscali per ogni azienda eco-innovativa e puntando alla sola immatricolazione di auto a emissioni zero entro il 2030. Accelerazione da spingere al tempo stesso con un incremento della digitalizzazione e da assorbire socialmente con una nuova tassazione patrimoniale dei grandi redditi, un salario minimo a 12 euro all’ora e un maggiore investimento pubblico interno (da finanziare con debito, grazie a una riforma dei vincoli di bilancio sanciti nella Costituzione tedesca). In Germania permangono però settori e segmenti produttivi che temono che questo piano per fare del Paese una nuova avanguardia eco-produttiva comporti ugualmente una fase intermedia fortemente burocratizzata che possa causare specifiche difficoltà nella competizione con i competitor globali meno attenti alla protezione di clima e ambiente. Negli ultimi mesi la BDI, la Confindustria tedesca, ha espresso preoccupazioni in questo senso. Coniugare davvero, in fase di governo, le necessità dell’economia tedesca e la rivoluzione ecologica resta quindi il primo grande dossier per la Kanzlerkandidatin Baerbock e per i Grünen.

La fuga in avanti dei Verdi incontrerà poi anche altri ostacoli, soprattutto sul piano geopolitico. Sul dossier europeo i Verdi promettono di seguire il loro tradizionale europeismo, anche e soprattutto su un punto cruciale: l’istituzionalizzazione del Next Generation EU / Recovery Fund. Per i Verdi il programma è un passaggio costituente verso l’integrazione finanziaria europea. Posizione che vuole accelerare rispetto a specifici settori economici, politici e finanziari tedeschi che sono invece molto più titubanti e scettici in merito alla mutualizzazione europea dei destini finanziari (quando non strettamente irrinunciabile per la sopravvivenza del sistema Germania).

Più complessivamente, per i Verdi è destinata a emergere anche un’altra contraddizione, ancora più strutturale (anche se fino a oggi molto meno discussa). Si tratta della fine della completa sovrapponibilità tra europeismo e atlantismo. Una sovrapposizione che negli ultimi 20 anni ha contraddistinto il nucleo cruciale delle posizioni dei Verdi in politica estera. Oggi i Grünen sono certamente il partito tedesco più ostile alla Russia e alla Cina, che osteggiano innanzitutto in base alla violazione dei diritti umani di Mosca e Pechino. Il risultato geopolitico è però anche uno specifico neo-atlantismo verde, molto critico anche verso i legami commerciali tra Europa e Cina (si veda l’accordo CAI) o anche tra Europa e Russia (si veda il Nord Stream). Legami e corridoi verso est che, però, sembrano sempre più entrati in profondità negli equilibri di interessi degli stati UE, nel tradizionale asse franco-tedesco e nella stessa realtà economica tedesca (con un interscambio complessivo di import-export di 209 miliardi di euro, Pechino è stata per il quarto anno consecutivo il maggiore trading partner della Germania). Sul lungo periodo, quindi, potranno essere proprio questi dilemmi geopolitici a trasformarsi nelle più grandi sfide per il futuro politico dei Grünen tedeschi.

 

Sulla difensiva

Nessun candidato al Cancellierato della Union CDU-CSU ha mai avuto una partenza difficile come quella di Armin Laschet. Eletto Presidente della CDU solo a gennaio per sostituire la dimissionaria Annegret Kramp-Karrenbauer, Laschet si è trovato presto in una sfida sempre più aspra con Markus Söder, il leader della CSU (partito-sorella bavarese). Quest’ultimo ha goduto per settimane del favore di tutti i sondaggi, sia tra gli elettori della CDU-CSU sia tra i tedeschi in generale. Un aspetto importante in un momento in cui i cristiano-democratici, dopo un 2020 costituito dal rally ‘round the flag’ effect in favore della leadership di Merkel, sono ora in crisi di consensi proprio per la gestione della pandemia Covid e per i ritardi nella campagna vaccinale. Negli ultimi giorni della sfida Laschet-Söder, conclusasi solo martedì 20 aprile, si sono poi schierati a favore del bavarese addirittura molti dei direttivi di Land della CDU, preoccupati di fronte all’idea di una debacle elettorale a settembre.

Alla fine, però, Laschet ha letteralmente forzato la mano dall’alto, sfruttando il sostegno del presidium nazionale del proprio partito e imponendosi comunque come candidato e possibile Cancelliere. Le dinamiche della scelta del Kanzlerkandidat della CDU-CSU hanno però inevitabilmente rivelato la profonda crisi di un partito ormai orfano della forza disciplinante di Merkel e svuotato di vivacità e idee dopo 16 anni di calibrato merkelismo. Scelto come rappresentante più diretto proprio del centrismo merkeliano, Laschet è oggi espressione dell’autoconservazione del partito e della sua istituzionalizzazione come forza centrista sempre pronta alla mediazione e al compromesso. Posizionamento che, vista anche l’esperienza di Laschet come attuale Ministro-Presidente del Nord Reno-Vestfalia (il più popoloso Land della Germania), fa del candidato CDU comunque un buon interlocutore per il già citato mondo economico e finanziario tedesco, così come per tutte le parti sociali che si muovono nella tradizione dell’economia sociale di mercato.

La capacità di compromesso rende Laschet anche un buon possibile alleato per i Verdi o altri partiti di coalizione. Ma se nessuno mette in dubbio queste qualità del candidato CDU nella gestione dei poteri e delle alleanze, al tempo stesso il suo carisma e il suo appeal non sono ancora mai decollati. Laschet paga chiaramente il suo essere troppo vincolato a un’idea di “weiter so” (“avanti così”) in un paese e in un mondo che vivono invece una radicale e talvolta scioccante trasformazione. C’è chi teme inoltre che l’impostazione centrista di Laschet non possa contendere alcun voto ai Verdi e, invece, ne possa costare molti di più verso destra, in favore dei liberal-liberisti di FDP o, anche, a vantaggio della destra estrema di AfD (soprattutto negli stati della Germania orientale, in cui AfD si è territorializzata come forza politica dell’insoddisfazione sociale).

Sul dossier UE, Laschet promette di confermarsi un europeista legato alla tradizione dell’asse franco-tedesco e, al tempo stesso, molto aperto geopoliticamente anche a un dialogo che vada al di là del (seppur primario) legame transatlantico. Su questioni decisive come il Next Generation EU, il candidato CDU-CSU seguirebbe certamente l’apertura calcolata di Merkel nel 2020, fedele a un pragmatismo legato allo slogan, ripetuto da Laschet proprio pochi minuti dopo la propria nomina, secondo cui “la Germania non è forte, se non è forte l’Europa”. Proprio sull’abbandono del rigorismo finanziario, però, per Laschet e i centristi CDU c’è il rischio che si consolidi nell’area della destra conservatrice del partito un nuovo fronte ultra-rigorista e progressivamente euroscettico.

Armin Laschet avrà ora cinque mesi per riconquistare consenso all’interno del proprio partito, trovare una sua narrativa politica ed evitare che le elezioni del 26 settembre si trasformino in un fallimento per i cristiano-democratici. Per farlo dovrà sperare anche nella capacità del governo Merkel IV di uscire al più presto dalla pandemia tramite una campagna vaccinale che sia all’altezza del brand tedesco di efficienza (brand che negli ultimi mesi è stato invece sempre più smentito nei fatti). Quello che è sicuro è che, comunque vada, la fine del merkelismo continuerà a essere costituita da strappi, incognite e stravolgimenti che non coinvolgeranno solo la CDU ma tutta la costellazione politica tedesca. Come previsto, la fine del merkelismo non sarà un pranzo di gala.

 

Foto: Annegret Hilse / Pool / AFP

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