ZATTERA SCIOLTA

Giovanni Cominelli

Laurea in Filosofia nel 1968, dopo studi all'Università cattolica di Milano, alla Freie Universität di Berlino, all'Università statale di Milano. Esperto di politiche dell’istruzione. Eletto in Consiglio comunale a Milano e nel Consiglio regionale della Lombardia dal 1980 al 1990. Scrive di politiche dell’istruzione sulla Rivista “Nuova secondaria” e www.santalessandro.org, su Libertà eguale, su Mondoperaio. Ha scritto: - La caduta del vento leggero. Autobiografia di una generazione che voleva cambiare il mondo. Ed. Guerini 2008. - La scuola è finita… forse. Per insegnanti sulle tracce di sé. Ed. Guerini 2009 - Scuola: rompere il muro fra aula e vita. Ed. Guerini 2016 Ha curato i volumi collettivi: - La cittadinanza. Idee per una buona immigrazione. Ed. Franco Angeli 2004 - Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria? Ed. Guerini 2018

SUL DECLINO DEL LICEO CLASSICO

Editoriale da santalessandro.org
Settimanale on line della Diocesi di Bergamo
Sabato, 4 febbraio 2023
Giovanni Cominelli

IL SAPERE DI CIVILTA’ NON DEVE PASSARE SOLO DAL LICEO CLASSICO IN DECLINO

Nella sua Rubrica “il caffé” del 1° febbraio, sul Corriere, dove ricorda i tempi in cui, a scuola, leggeva sottobanco i pezzi di Gianni Brera – “uno che sapeva coniugare il racconto di una partita con l’epica di Omero” – Massimo Gramellini apre il corteo delle vedove in gramaglie del Liceo classico. La sfilata a lutto si mette in movimento ogni anno, alla fine di Gennaio, perché in questi giorni arrivano le statistiche degli iscritti alle Scuole secondarie superiori per l’anno scolastico successivo. Nell’anno scolastico 2023-24, dunque, solo il 5,8% dei ragazzi che usciranno dalla la Scuola media si iscriverà al Liceo classico. L’anno scorso la percentuale era già scesa al 6,2%. Eppure le iscrizioni ai Licei sono passate dal 56,6% al 57,1%. Poiché il Liceo scientifico resta stabile al 26%, quel che si deve registrare è l’incremento del Liceo delle Scienze Umane e dei Licei leggeri.
Secondo un luogo comune dominante, che Gramellini pienamente condivide, le famiglie e i loro ragazzi diserterebbero il Liceo classico, perché attratti da indirizzi che danno lavoro e soldi subito. Le statistiche, però, smentiscono questa vulgata: gli ITIS passano dal 20,4% al 19,4%; Informatica e Telecomunicazioni stanno ferme al 6,4%; Meccanica, Maccatronica e Chimica oscillano tra il 2,8 e il 2,4%. I Professionali scendono dal 12,7% al 12,1%. Solo in Lombardia si registra un +0,3% negli ITIS e un +0,2% nei Professionali.
Non è scopo di questa riflessione approfondire le cause molteplici della fuga dalla” formazione al lavoro” e dal lavoro quale emerge da questi dati. Si tratta di una tendenza tipica di molta parte dell’Occidente opulento, con la significativa eccezione della Germania e dei Paesi post-comunisti. Non c’è più bisogno che i figli si affrettino a integrare i bilanci familiari con il proprio lavoro. Perciò, le famiglie scelgono sempre di meno la formazione al lavoro.
Ma perché scelgono i Licei leggeri e sempre meno quello classico?
La causa è la più banale: le famiglie non vogliono che i figli facciano fatica, che si stressino, che “falliscano”. Non si tratta di una scelta culturale, ma di una scelta morale: è la diserzione educativa. Come ha dichiarato un Dirigente scolastico, le famiglie cercano per i figli “contesti che li mettano meno in difficoltà”. Dunque, no STEM, no Liceo classico… E’ la sindrome della bambagia. I figli non vanno portati all’incontro con il mondo reale, ne devono essere tenuti alla larga. Questo la dice lunga sulla cultura media del Paese, ripiegato su di sé, in fuga dalle tensioni della storia presente. Un Paese che sta consumando le scorte e le sementi.

Le preoccupazioni delle vedove in gramaglie non sono infondate. Per due ragioni. Il Liceo classico è sempre stato il luogo della formazione delle classi dirigenti socio-economiche e politiche dell’Italia dal 1861: liberali, fasciste, repubblicane. Una citazione di Tucidide o di Aristotele o di Cicerone o di San Paolo, un uso perfetto della sintassi e della semantica, una conoscenza profonda della storia d’Italia, una “moderatio” umanistica… tutto ciò le univa in un “idem sentire”. E ora?!
La seconda ragione: il declino del Liceo classico trascina a valle il “sapere di civiltà”, il patrimonio di sapere classico del Paese. Se il sapere da trasmettere ai nostri ragazzi è distribuito su un treno, le cui carrozze sono i Licei classici, i Licei scientifici – con e senza Latino – i Licei tecnici, gli Istituti Professionali di Stato, gli Istituti/Corsi professionali regionali, quello classico è accumulato solo nella prima carrozza. Per “classico”, si intende, in primo luogo, la Storia della Letteratura, la Storia della Filosofia, a partire dai Greci, dai Latini, dai Padri della Chiesa e, ovviamente, la Lingua greca e latina. Tutti gli altri indirizzi, a parte il Liceo scientifico con il Latino, ne sono privi. Le “ragioni di classe” di tale Ordinamento risalgono a Gabrio Casati, 1859. Giovanni Gentile le ha ribadite 100 anni fa: il Liceo classico per le classi dirigenti, tutto il resto per le classi subalterne. Così le ultime carrozze sono state abbandonate dai manutentori socio-politici. E questo ha comportato, negli ultimi decenni, che le famiglie, in cerca di riscatto sociale e capaci di consumo ostensivo, puntassero, prima, sul Liceo classico e oggi, a scendere, sui Licei leggeri, considerando l’Istruzione tecnica e professionale di serie B o C.

Qual è il peccato originale di questo Ordinamento? Che solo una parte minoritaria della popolazione è reputata degna di accedere all’Intero della civiltà europea ed occidentale, alle categorie fondative dello Spirito europeo. C’è poi un altro peccato, “solo” mortale: quello che privilegia il sapere umanistico rispetto a quello scientifico-tecnologico, coerentemente con l’ispirazione idealistica della cultura nazionale, quella della sinistra compresa. L’ultima discussione su questi temi fu quella che avvenne tra Togliatti e Concetto Marchesi da una parte e Elio Vittorini e Antonio Banfi dall’altra. Vittorini sostenne che tutti i ragazzi, quale che ne fosse la condizione socio-culturale di partenza, avevano diritto di accedere al nucleo del sapere di civiltà. E non era affatto necessario che passassero sotto le forche caudine del Latino e del Greco. I classici si possono leggere in Italiano, debitamente tradotti, così come avviene per l’Antico e per il Nuovo Testamento. Ma il gentilianesimo prevalse, di nuovo, in quel lontano inizio di gennaio 1946, al V Congresso del PCI, nel posto dove meno lo si sarebbe aspettato.

Ora, quale che sia la strada che ciascun ragazzo voglia percorrere – insegnante, matematico, cardio-chirurgo, elettrotecnico, falegname, allevatore, operatore ecologico… – dobbiamo prendere atto che egli ha diritto/dovere di attingere alle sorgenti universali della nostra storia e della nostra cultura. Anche se è ovvio che la didattica della Filosofia, della Letteratura e della Storia non può essere la stessa di quella praticata oggi nel Liceo classico. D’altronde, l’epistemologia di tale didattica è ferma a Francesco De Sanctis.
E il Liceo classico, allora? Se tutti gli indirizzi, dai Licei ai professionali, offrissero l’essenziale dell’eredità classico-cristiana, senza la ghigliottina del Latino e del Greco, queste due lingue potrebbero continuare ad essere oggetto di studio di un indirizzo specialistico del Liceo linguistico. Continuiamo ad avere bisogno di filologi, di traduttori, di linguisti.

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