ZATTERA SCIOLTA

Giovanni Cominelli

Laurea in Filosofia nel 1968, dopo studi all'Università cattolica di Milano, alla Freie Universität di Berlino, all'Università statale di Milano. Esperto di politiche dell’istruzione. Eletto in Consiglio comunale a Milano e nel Consiglio regionale della Lombardia dal 1980 al 1990. Scrive di politiche dell’istruzione sulla Rivista “Nuova secondaria” e www.santalessandro.org, su Libertà eguale, su Mondoperaio. Ha scritto: - La caduta del vento leggero. Autobiografia di una generazione che voleva cambiare il mondo. Ed. Guerini 2008. - La scuola è finita… forse. Per insegnanti sulle tracce di sé. Ed. Guerini 2009 - Scuola: rompere il muro fra aula e vita. Ed. Guerini 2016 Ha curato i volumi collettivi: - La cittadinanza. Idee per una buona immigrazione. Ed. Franco Angeli 2004 - Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria? Ed. Guerini 2018

Stato, nazione, persona. A cento anni dalla Riforma Gentile

Qui l’idea è quella di interrogare la ormai centenaria riforma di Giovanni Gentile del sistema di istruzione/educazione per cavarne qualche suggerimento per il presente. Mussolini la salutò con enfasi esagerata come “la più fascista delle riforme”. Così “fascista”, che la Repubblica l’ha tranquillamente adottata fino ai nostri giorni. L’architettura della scuola nell’anno scolastico in corso 2022-23 – assetto istituzionale, curriculum, ordinamenti, gestione del personale – è pur sempre quella costruita da Giovanni Gentile, approvata con legge delega n. 1601, il 3 dicembre del 1922, fresca di “marcia su Roma” e completata, attraverso diciannove regi decreti, di cui l’ultimo (n. 1200), fu emanato il 21 maggio 1924. In realtà, la riforma Gentile costituisce la coerentizzazione più rigorosa del modello europeo-continentale di istruzione/educazione.

Il modello europeo-continentale è fondato su quattro pilastri storici. 

Numero uno: la nascita dello Stato-nazione moderno come apparato politico-amministrativo. Gli Stati hanno bisogno di “cittadini”. Le “persone”, con tutta la varietà e ricchezza di singolari e irriducibili determinazioni fisiche, psichiche, devono essere trasformate in “cittadini”. Le istituzioni scolastiche sono uno degli strumenti fondamentali di questa trasformazione della persona in cittadino di Stato. Numero due. I 35 volumi dell’Encyclopédie: pubblicati sotto la direzione di Denis Diderot e di Jean Baptiste D’Alembert, forniscono i programmi di studio, le discipline alla scuola. Alle spalle sta tutta la filosofia illuministica del sapere: esso è il motore della liberazione umana, che deve essere accessibile a tutti.
Numero tre: la prima rivoluzione industriale. Alla nuova società civile che sta nascendo e allo Stato serve un sistema di istruzione e di educazione nazionale per generare cittadini/sudditi, tecnici, operai, amministratori e buoni soldati.
Infine, quattro: il 4 settembre 1791 l’Assemblea nazionale francese si pronuncia per un sistema di istruzione pubblica gratuito, aperto a tutti i cittadini, che poi Nicolas de Condorcet delineerà nel suo Rapport sur l’instruction publique del 1792.

Se consideriamo il quadrilatero di ogni sistema di istruzione (assetto istituzionale, curriculum, ordinamenti, personale), il sistema di istruzione francese, integrate e potentemente rafforzate le sue fondamenta ideologiche da Hegel, funge da modello per l’intera Europa. Il sapere viene amministrato e somministrato in maniera programmata, centralizzata, omogenea, eguale per tutti, sull’intero territorio nazionale. Ne consegue un’organizzazione didattica parcellizzata per materie e per ore di insegnamento/apprendimento.

È finalizzato alla formazione delle classi dirigenti, dei tecnici della gestione dello Stato amministrativo e della produzione. Quanto al popolo, deve essere messo in grado di comprendere i messaggi della politica e dello Stato e gli ordini che gli vengono impartiti sui luoghi di lavoro e sui campi di battaglia. A questo serve e basta la scuola elementare. Quanto al personale docente e dirigente, esso è funzionario dello Stato, cui soltanto risponde: una sorta di funzionario dell’Assoluto, assiso in cattedra. L’edilizia scolastica è coerente con questa impostazione: gli edifici scolastici hanno la stessa struttura fisica dei conventi, delle caserme, degli ospedali, delle carceri. Sono costruiti su uno o più piani, con un largo corridoio centrale, ai due lati del quale si aprono celle/aule tutte delle stesse dimensioni. Fino a nostri giorni, questo é il modello prevalente, quale conseguenza necessaria di un modello didattico-organizzativo.

L’Italia risorgimentale, quale modello?

Il marchese Gabrio Casati, nominato ministro dell’Istruzione nel luglio del 1859, si reca dal re a illustrare il progetto di legge di riforma del sistema educativo, destinato a diventare la prima legge della scuola dell’Italia unita: “Tre sistemi principali si offrivano da abbracciare: quello d’una libertà assoluta, la quale, come in Inghilterra, esclude ogni ingerenza governativa; quello in cui, come nel Belgio, è concesso agli stabilimenti privati di far concorrenza cogli istituti dello Stato; quello, infine, praticato in molti paesi della Germania, dove lo Stato provvede all’insegnamento non solo con istituti suoi propri, ma ne mantiene eziandio la direzione superiore, ammettendo però la concorrenza degli insegnamenti privati con quelli ufficiali”.

Esclusi i primi due modelli, per i rischi che una “libertà illimitata” avrebbe fatto correre al regime e al sistema politico, “restava da abbracciare il partito più sicuro, vale a dire un sistema di libertà media, sorretta da quelle cautele che la contengono”. Dunque, è il modello napoleonico-prussiano quello che decide di adottare il Regno sardo-piemontese con regio decreto legislativo del 13 novembre 1859, n. 3725, entrato in vigore con il decreto applicativo del 19 settembre 1860, e pertanto esteso con l’unificazione a tutta l’Italia di allora.

Benché non approvato dal parlamento, il decreto legislativo era entrato in vigore grazie ai poteri straordinari conferiti dal parlamento al governo del re in tempo di guerra. L’assetto istituzionale e amministrativo del sistema è fortemente centralistico e burocratico-piramidale, il modello organizzativo è l’esercito. Il ministro è affiancato dal consiglio superiore della Pubblica istruzione, composto da 21 membri di nomina regia. È un organismo che esiste tuttora, i membri oggi sono 36.

Il modello Gentile

Giovanni Gentile ha ripreso quel modello e lo ha razionalizzato, tenendo ovviamente conto della nuova situazione sociale e storica, filtrandolo, soprattutto per quanto riguardava i contenuti del curriculum, attraverso l’idealismo di De Sanctis e di Bertrando Spaventa. La scuola serve a costruire lo Stato. Senza Stato non c’è nazione; senza nazione, non c’è destino storico né collettivo né individuale. La statualità si concretizza nello Stato politico (nelle istituzioni politiche) e nello Stato amministrativo (burocrazia, esercito, magistratura – che è un potere politico e burocratico al tempo stesso – carabinieri, carceri). Nella peculiare storia italiana, lo Stato amministrativo ha riempito il vuoto di egemonia della classe politica risorgimentale.

Quale vuoto? Le elezioni del 17 marzo 1861: abitanti 22.182.377, aventi diritto di voto 419.938, votanti 239.583, voti validi 170.567. La classe dirigente era dunque debolissima, mentre l’analfabetismo sfiorava l’80 per cento. In questo contesto storico, la scuola fu pensata come un’articolazione dello Stato amministrativo centralistico, con la missione di far crescere una classe dirigente con le Artes liberales e di alfabetizzare cum juicio le masse subalterne, in una società fondamentalmente agraria. Ogni istituto scolastico è solo una rotella della macchina ministeriale. Il sistema di istruzione deve produrre élite ai vertici del sistema e distribuire tecnici, operai specializzati, lavoratori in basso. I curricula sono conseguenza del modello.

L’essenziale del gentilianesimo è questo legame consustanziale tra Stato politico e Stato amministrativo sul terreno strategico dell’educazione/istruzione.

Che cosa è accaduto dopo Gentile?

Questo legame non è stato sciolto con l’avvento della repubblica. Fu difeso strenuamente nel 1946 al VI Congresso del PCI da Togliatti e da Concetto Marchesi contro Elio Vittorini e Antonio Banfi. A sinistra si sosteneva, ovviamente, la necessità di allargare le maglie degli accessi, anche se Concetto Marchesi fu sempre contrario al progetto della scuola media unica. Ma lo schema gentiliano fu mantenuto.

Il legame tra Stato politico e Stato amministrativo è stato spezzato alla fine degli anni ’60-’70 dai movimenti studenteschi, che hanno buttato a mare l’idea della scuola che costruisce lo Stato, la nazione, la patria, la classe dirigente. Ma è rimasta la scuola come articolazione dello Stato amministrativo centralistico. Su questo impianto si sono trovati d’accordo l’intero arco costituzionale, i movimenti del ’68, i sindacati. I decreti delegati del 1974 ne sono stati l’esito finale.

Sono accadute, nel frattempo, alcune novità sovrastrutturali e strutturali, che hanno sconvolto l’ordine di successione e i contenuti del paradigma gentiliano Stato, nazione, persona. In primis, la pedagogia idealistica, che schiacciava la relazione educativa sull’identificazione con il maestro – il funzionario dell’Assoluto – è stata sostituita dalle pedagogie costruttiviste, funzionaliste, rousseauaine, deweyane, attiviste, personaliste, tanto di origine liberale quanto cattolica quanto di scuola psicanalitica, che hanno posto al centro l’individuo, la persona, le sue molteplici intelligenze, le sue dinamiche interiori. In una parola: la personalizzazione. È la pedagogia dei talenti, di cui ciascuno é dotato dalla lotteria della natura.

In secundis, la nazione – cioè la consapevolezza delle tradizioni comuni, della storia collettiva – si è andata smarrendo. Alcuni storici attribuiscono l’inizio di tale perdita all’8 settembre. In realtà, le ingenti trasformazioni socio-culturali indotte dallo sviluppo rapidissimo e disordinato degli anni ‘50/’60 hanno generato la “secolarizzazione” della nazione-patria – analoga a quella che ha colpito il cristianesimo – in forza della quale siamo diventati più ricchi che istruiti, più attenti all’interesse e al benessere individuale che a quello collettivo.

Poi lo Stato politico e lo Stato amministrativo hanno incominciato a entrare in crisi strutturale e di egemonia già negli anni ’70: crisi fiscale, debito pubblico per un verso; localismi, regionalismi, federalismi per un altro verso; per altro ancora, globalismo economico e geopolitico, sovrastatalismo continentale, almeno qui in Europa. Stanno emergendo sfide – dalla sicurezza, alla moneta, all’ecologia, all’immigrazione – che uno Stato da solo non è più in grado di affrontare. Infine la rete tecnologica dell’Infosfera avvolge e permea il pianeta, si insinua in profondità nella vita delle persone, sconvolge e moltiplica gli accessi al sapere, segna le relazioni tra gli uomini.

L’effetto di questi fatti è che ci troviamo di fronte un nuovo paradigma: l’individuo-persona, dal quale occorre muovere verso la nazione e lo Stato. Se ci si ferma all’individuo, la scommessa è perduta.

Un nuovo progetto?

All’ombra di questi fatti siamo costretti a riprogettare gli assetti istituzionali, curriculari, ordinamentali, professionali del sistema gentiliano, arrivato per inerzia corporativa, per pigrizia intellettuale, per pavidità conservatrice fino ai nostri giorni. Naturalmente in 100 anni qualcosa è cambiato: la scuola media unica del 1963; l’accesso da tutti i segmenti del sistema secondario di secondo grado a tutte le facoltà universitarie nel 1969; l’esame di Stato è stato modificato 14 volte dal 1923; Franca Falcucci ha aggiornato il curriculum della scuola primaria nel 1985 e ha tentato, senza riuscirvi, la riforma di quella secondaria di secondo grado per via amministrativa; Luigi Berlinguer ha introdotto l’autonomia nel 1997 e la legge sulle scuole paritarie nel 2000; Letizia Moratti ha promosso l’Invalsi…

L’autonomia scolastica era stata pensata, fin dalla Conferenza nazionale della scuola del 1990, Mattarella ministro, relatore Sabino Cassese, come il nuovo quadro istituzionale di governance dentro cui si potessero costruire i curricula, gli ordinamenti, gli assetti professionali, che fossero in grado di realizzare il principio-persona, di far crescere la società civile, di fare comunità, nazione, Stato, Europa. Pertanto, occorrevano: un curriculum nazionale, un sistema nazionale di valutazione rigorosa esterna delle scuole, un’articolazione/differenziazione della funzione docente, una revisione degli Ordinamenti – scansione temporali e indirizzi. Al momento, poco o nulla è accaduto. Le famiglie, la società civile, i sindacati, la politica si sono dedicati ad un accanito e sterile bricolage burocratico.

 

Introduzione al Convegno: Stato, Nazione, Persona. A cento anni dalla Riforma della Scuola di Giovanni Gentile – Liceo Carducci di Milano, 17 aprile 2023

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