IL SOTTOSCRITTO

Gianni Bonina

Giornalista e scrittore. Vive a Modica. Ha pubblicato saggi di critica letteraria, romanzi, inchieste giornalistiche e reportage. È anche autore teatrale. Ha un blog all'indirizzo giannibonina.blogspot.com

La guerra che Putin perderà in Russia

Putin – e qualunque autocrate al mondo – può comandare i giovani con le armi ma non i giovani con i libri. Solo i soldati possono per il suo governo andare a morire e uccidere, non gli studenti: che sono uguali dappertutto, da Mosca a Kiev a Pechino a New York, perché studiano le stesse materie, amano gli stessi autori, vedono gli stessi film, usano le stesse tecnologie, hanno gli stessi sogni. La globalizzazione ha reso impossibile che un governo possa proporre a un popolo un’ideologia camuffata da ideale. Senza le motivazioni di identità nazionale che animano gli ucraini, attaccati e mossi in difesa del loro Paese e della loro libertà, anche i giovani di Kiev direbbero no a Zelensky se si fosse fatto guerrafondaio. Si è finalmente capito che ogni guerra nella storia e nel mondo non schiera mai uno Stato contro un altro o un popolo contro un popolo diverso, ma un governo contro un altro governo, un re contro un altro re, e ancor di più un premier contro un altro. Si è anche capito che i governi retti o dominati da un solo uomo difficilmente godono del favore popolare e in particolare delle generazioni giovani.
La guerra che si combatte in territorio ucraino si decide dunque in quello russo, al chiuso delle case e nelle riflessioni dei giovani messi di fronte a sanzioni ed embarghi che non colpiscono il governo di Putin ma la popolazione. Di fronte al chimerico e anacronistico disegno di un ritorno ai fasti dell’Unione sovietica, di fronte alle logiche novecentesche dei blocchi contrapposti, dei riarmi nucleari, dei principi comunisti o democratici, oggi i giovani anche russi rimangono indifferenti e antepongono aspirazioni che superano confini e cortine, trovando incomprensibili e scaduti programmi sciovinisti, imperialisti, revanchisti e redentisti. Superano ogni barriera con i social e comunicano da un continente all’altro in inglese, condividono le stesse piattaforme e la guerra la fanno nei giochi di ruolo.
A differenza che in una guerra regionale in Africa, in Asia o in Sudamerica, la forza della cultura e della coscienza europea sta manifestando tutta la sua capacità proprio in occasione della crisi ucraina, la prima guerra continentale tra Paesi europei sentita come propria dalle grandi democrazie occidentali e vista come assurda da popolazioni giovani e meno giovani che hanno letto alla stessa maniera il russo Dostoevskij e l’ucraino Gogol’, tifato per gli stessi campioni dello sport, seguendo con spirito ultranazionalistico manifestazioni come le Olimpiadi e i Campionati del mondo di calcio. A queste generazioni le ragioni di fondo della guerra ucraina appaiono estranee, ininfluenti, di nessuna importanza. Se dovessero decidere loro i confini sosterrebbero il principio di autodeterminazione ma soprattutto direbbero che il mondo ineluttabilmente va verso la qualità della vita, il meglio possibile, e non un’idea di vita, va verso la cultura dominante e persegue modelli di comportamento che si valgono della propria forza di accrescimento, per cui anche i giovani russi come quelli cinesi o afgani si dichiarerebbero occidentali se fossero dai loro governi resi liberi di farlo.
Putin vuole vincere la guerra quanto prima per mettere davanti al fatto compiuto non gli ucraini ma i suoi compatrioti. Come nell’antica Grecia le grandi guerre di attacco cominciano con il sì della maggioranza ma continuano con il no di una nuova maggioranza. E Putin lo sa. Come sa tuttavia che sono del tutto fondate le motivazioni della sua guerra, sempreché fossero altrettanto fondate le ragioni di una minaccia Nato alla Russia, di un porto nel Mar Nero, di un ripristino degli equilibri tra superpotenze. E non lo sono, perché il mondo occidentale la guerra se la fa nei mercati, negli scambi, nelle banche e non più nei campi di battaglia.
Tra Putin e Zelensky passa una generazione esatta, ventisei anni, quella che ha cambiato l’Europa. Putin pensa alla Grande Madre Russia e vede nell’informatica solo un’arma per danneggiare altri sistemi hackerandoli, Zelensky pensa all’Unione europea e usa i mezzi tecnologici, a cominciare dal suo smartpfhone, come strumento di nuova conoscenza. Come avvenne nella campagna di conquista di Roma contro la Grecia, la Russia di Putin potrà vincere l’Ucraina e soffocarla politicamente ma non potrà conquistarla anche culturalmente. Questa guerra insegnerà a Putin quanto servirà da lezione a ogni governatore passatista del futuro. Il caso di Greta Thunberg ha dimostrato su altra scala che i giovani hanno conquistato oggi la forza di fare sentire la loro voce. Non ci potrà essere governo che possa rifiutarsi di ascoltarla.

  1. ……”i giovani russi come quelli cinesi o afgani si dichiarerebbero occidentali se fossero dai loro governi liberi di farlo “.
    La ringrazio per la chiarezza del Suo articolo ,dopo tanto narcisismo televisivo di quelli : …..”il contesto/problema è più complicato ”
    Cordiali saluti
    Vincenzo Bertozzi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *