COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Frontiera Amazzonia: un libro che spiega la sfida globale

Se il cardinale Brandmuller leggesse “Frontiera Amazzonia. Viaggio nel cuore della terra ferita” forse non si chiederebbe più per quale motivo tra pochi giorni comincerà in Vaticano il sinodo sull’Amazzonia. Il libro di Lucia Capuzzi e di Stefania Falasca è infatti un racconto che sanguina, e che spiega benissimo perché la Chiesa di Francesco non possa tacere, girarsi dall’altra parte. Lì vivono solo tre milioni di persone, ha obiettato il cardinale. Non è vero, tre milioni sono gli indigeni, i “figli del fiume”. Ma gli abitanti, se si considerano le città di coloni, sono molti di più. Ma non è questione di numeri. E’ questione di modello di sviluppo. E il viaggio di Lucia Capuzzi e Stefania Falasca ci pone davanti a questo modello di sviluppo insostenibile. 

Si comincia, guarda un po’, con l’oro. Non più quello bianco, il caucciù, che gli indios ridotti in cattività erano costretti a strappare come sangue dalle vene degli alberi. No, il nuovo oro è quello giallo, di cui il Perù è il sesto esportatore mondiale, 160 o 170 tonnellate annue. “Buona parte di queste- almeno il 22 per cento, ma potrebbe essere il triplo- vengono estratte a Madre de Dios, senza che  una sola miniera legalmente riconosciuta. Non solo. Il 44,5% per cento del Pil regionale dipende dal business dell’oro, il quale al 95% per cento, è di origine sconosciuta.” Economia di rapina, spirito di dominio, è questa la civiltà dei civilizzatori?  

Non sono questioni del sottosuolo però i postri-bar, di cui il volume offre un’accurata e agghiacciante presentazione. Le autrici narrano di La Pampa, dove solo la piazza centrale ospitava 32 locali a luci rosse. Quante minorenni e quante maggiorenni vi erano costrette a prostituirsi? Bella domanda, diciamo tantissime. Stavano lì a dare conforto a chi doveva lavorare nelle miniere illegali, che tra il 2013 e il 2016 hanno divorato 30.500 ettari di bosco? Forse sì, di sicuro erano minacciate di ritorsioni contro le loro famiglie, e se la polizia cercava di liberarle, le maggiorenni negavano di stare lì in schiavitù, per evitare guai ai loro cari. E’ un altro tratto del dominio, della rapina, questa volta di vite, di anime. 

Le nuove arrivate si distinguono dai capelli, ancora neri, mentre quelle giunte da tempo sono ormai bionde platino, raccontano Lucia e Stefania. Anche queste sono questioni che non sembrano giustificare un sinodo? Come quelle relative al saccheggio della cordigliera? Vediamo. A Quito qualche tempo fa si illustrò al popolo la bellezza della nuova costituzione che coinvolgeva le comunità negli investimenti ad alto impatto. Ben presto però il coinvolgimento si è trasformato in generico diritto di informativa e sono arrivati i megaprogetti strategici ed ecco ventisei permessi di megaimpianti di estrazione in mano a cinesi, canadesi e australiani. Presto si processeranno 60mila tonnellate di roccia al giorno, grazie al lavoro a ciclo continuo degli operai, in servizio h24. Serviranno 16.540 metri cubi d’acqua, cioè 1950 litri al secondo. Facile immaginare l’inquinamento, acustico e ambientale, che ne scaturirà. Non esagera Rosa Sànchez a dire che presto lì non ci sarà più nessuno, “ci avranno uccisi o costretti a fuggire.” E il petrolio? Sono privi d’oro nero in Amazzonia? No, non lo sono. 

Andando nelle provincie di Orellana e Sucumbòs si scoprono cose interessantissime, per esempio che questa regione è stata acquistata dalla società petrolifera Texaco tanto tempo fa: acquistata a sua volta nel 2001 dalla Chevron, la Texaco aveva nel suo portafoglio questo territorio di quasi mezzo milione di ettari. In realtà il contratto parlava di 1,5 milioni di ettari, mentre la compagnia ecuadoriana, neonata, comprava però quote dagli americani. Come nella Russia di Gogol gli abitanti di Orellana e Sucumbòs sembrano le anime morte del terzo millennio.  

E siamo solo al quarto capitolo: dobbiamo ancora parlare del narcotraffico, della soia killer, del legname insanguinato. Il capitolo sull’incendio, ovviamente, non c’è. 

Di sicuro completare questa incredibile lettura, di un libro redatto con una cura e una poeticità rare, aiuterebbe anche i più prevenuti a capire cosa sia quell’ecologia integrale di cui si parlerà ai sinodo. Un’ecologia che riguarda la vita della natura quale parte della nostra vita, che riguarda la vita della flora e della fauna come parte del nostro sistema, che riguarda quelle culture come parte della nostra cultura. Avrebbe aiutato tanto cominciarlo e finirlo questo libro, anche il cardinale Brandmuller ne avrebbe avuto sicuro giovamento. Ma il tempo è poco, il tempo incalza, il sinodo incalza, come capire tutto, come farsi un’idea in tempo per la prossima domenica, giornata d’inizio di questi lavori sinodali? Un’idea c’è; leggere l’incantevole introduzione delle autrici. Sono solo due pagine, ma durano una vita: “Il Rio delle Amazzoni è come un’arteria del continente e del mondo, scorre come vene e della fauna del territorio, come sorgente dei suoi popoli, delle sue culture e delle sue espressioni spirituali. Il Grande fiume senza i suoi popoli non ha più nessuno in grado di dargli voce e di restituirgli i contorni. Senza il battito del Grande fiume, un intero universo si ritrova afono, senza vita.” 

Il viaggio comincia lì dove Francesco ha parlato per la prima volta di sinodo, percorre tutta questa area e arriva a farci capire di che sinodo stiamo parlando: “L’Amazzonia non è un altro mondo, lontano ed esotico. E’ lo specchio del nostro. Ed è una questione di vita o di morte. Nostra, loro di tutti”. 

All’inizio dell’epoca portoghese in Amazzonia vivevano venti milioni di indigeni. La loro spiritualità arricchiva quella del mondo, prima che si pensasse di poterla cancellare. 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *