COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Chi trova un nemico trova un tesoro?

Un dibattito televisivo tra Corrado  Augias e padre Antonio Spadaro ha fatto emergere  tante domande su che tipo di cristianesimo vogliano i non credenti ma anche sullo strano motivo perché cui del loro ateismo, Augias si è dichiarato tale, non si debba discutere mai. Tutti gli ateismi sono forse uguali? A me sembra di no, come diversi sono per me i cristianesimi.

L’ateismo, come sappiamo, ha avuto il suo momento di gloria mondiale con l’ateismo di stato sovietico. Ma la sua conclamata intenzione di realizzare il paradiso in terra non mi sembra che sia andata a buon fine. Tanto che da allora si sostiene di aver capito che le vie dell’infermo sono lastricate di buone intenzioni, dalle quali ci siamo salvati. Altrettanto può dirsi del cristianesimo, che ha registrato il fallimento ormai irreversibile del progetto unico della “cristianità”, dal quale ci siamo salvati. E di questo fallimento molti credenti hanno esultato. 

  

Così, mentre ascoltavo, mi sono chiesto come mai gli atei possano discutere sempre degli insuccessi e delle crisi altrui senza mai essere interpellati sugli insuccessi e le crisi delle loro esperienze. Non ne farò un problema di “ateologia”, ma mi sembra che né imporre né rimuovere Dio abbiano fatto del bene all’umanità. 

Qui emerge un altro problema: di quale ateismo e di quale cristianesimo si parla? Di ateismo non si è parlato, come sempre, quale esperienza concreta, di cristianesimo sì. Quello di Augias io lo ho percepito come un cristianesimo basato su una parola: “sacro”. Un sacro ovviamente oscuro, misterioso e imperscrutabile, che di qui sa far derivare verità  indiscutibili, esterne alla storia. Quello di padre Spadaro l’ho percepito come un cristianesimo diverso, perché la parola per lui irrinunciabile è stata “Vangelo”. Alla domanda se papa Francesco comunichi, entri in contatto, ha risposto che se lo fa è perché il Vangelo comunica, entra in contatto attraverso di lui.

Sono prospettive diverse, e mi è parso importante cercare di immaginare come questa sacralità oscura, imperscrutabile possa aiutarci in un momento che il papa di cui si parlava ha definito   “di cambiamento d’epoca” e come possa farlo un testo, in questo caso il Vangelo. 

 

Nel primo caso io mi sento a disagio: un discorso ancorato a questo insondabile  “sacro” cosa potrà dirmi con il suo essere fuori dalla storia davanti a un cambiamento d’epoca? Non so rispondere, ma penso che potrà ripropormi formule antiche, assolute. Il Vangelo, se penso al discorso della montagna, che un po’ ne è la sintesi, sembra dirmi che questo passaggio non era impensabile, né inevitabile.  Dunque in che epoca siamo entrati? 

La trasmissione mi ha obbligato, anche perché è stato citato, a rileggere Pier Paolo Pasolini, il suo famoso discorso al congresso dei radicali del 1975, letto postumo. Solo adesso ho capito che parlava di noi, oggi. Ecco la profezia di Pasolini, o almeno il suo passaggio a mio avviso essenziale: “ Tutti sanno che gli sfruttatori quando (attraverso gli sfruttati ) producono merce, producono in realtà umanità (rapporti sociali). Gli sfruttatori della seconda rivoluzione industriale (chiamata altrimenti consumismo: cioè grande quantità, beni superflui, funzione edonistica) producono nuova merce: sicché producono nuova umanità (nuovi rapporti sociali). Ora, durante i due secoli circa della sua storia, laprima rivoluzione industriale ha prodotto sempre rapporti sociali modificabili. La prova? La prova è data dalla sostanziale certezza della modificabilità dei rapporti sociali in coloro che lottavano in nome dell’alterità rivoluzionaria. Essi non hanno mai opposto all’economia e alla cultura del capitalismo un’alternativa, ma, appunto, un’alterità. Alterità che avrebbe dovuto modificare radicalmente i rapporti sociali esistenti: ossia, detta antropologicamente, la cultura esistente. In fondo il rapporto sociale che si incarnava nel rapporto tra servo della gleba e feudatario, non era poi molto diverso da quello che si incarnava nel rapporto tra operaio e padrone dell’industria: e comunque si tratta di rapporti sociali che si sono dimostrati ugualmente modificabili. Ma se la seconda rivoluzione industriale – attraverso le nuove immense possibilità che si è data – producesse da ora in poi dei rapporti sociali immodificabili? Questa è la grande e forse tragica domanda che oggi va posta. E questo è in definitiva il senso della borghesizzazione totale che si sta verificando in tutti i paesi: definitivamente nei grandi paesi capitalistici, drammaticamente in Italia. Da questo punto di vista le prospettive del capitale appaiono rosee. I bisogni indotti dal vecchio capitalismo erano in fondo molto simili ai bisogni primari. I bisogni invece che il nuovo capitalismo può indurre sono totalmente e perfettamente inutili e artificiali. Ecco perché, attraverso essi, il nuovo capitalismo non si limiterebbe a cambiare storicamente un tipo d’uomo: ma l’umanità stessa. Va aggiunto che il consumismo può creare dei rapporti sociali immodificabili, sia creando, nel caso peggiore, al posto del vecchio clericofascismo un nuovo tecnofascismo (che potrebbe comunque realizzarsi solo a patto di chiamarsi antifascismo), sia, com’è ormai più probabile, creando come contesto alla propria ideologia edonistica un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili. In ambedue i casi lo spazio per una reale alterità rivoluzionaria verrebbe ristretto all’utopia o al ricordo”.

Pasolini certamente era cattolico, ma denunciava il clericofascismo, e sosteneva chi lo combatteva: io credo che oggi sarebbe sorpreso che il mutamento d’epoca di cui parlava ricorda da vicino quello di cui parla Francesco, sebbene usino categorie e locuzioni diverse. Insomma, a molti direi che se si vuole davvero fronteggiare questo cambiamento d’epoca forse conviene cercare amici con i quali capirsi nonostante le diversità, piuttosto che nemici da ricondurre nei loro steccati. Così spegnendo il televisore mi sono detto “timeo FSSPX et seculares ferentes”.  

 

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