LA BELLA CONFUSIONE

Oscar Iarussi

Giornalista e scrittore, in libreria con "Amarcord Fellini. L'alfabeto di Federico" (Il Mulino ed., 2020)

Carlo Mazzacurati e il candore dell’Italia minore

Carlo Mazzacurati

Addio al regista e sceneggiatore Carlo Mazzacurati. Aveva 57 anni ed era malato da tempo. Nato a Padova, nel 1979 esordì con il road movie «Vagabondi» (1979). Nel 1985 insieme  all’amico Franco Bernini scrive la sceneggiatura di «Notte italiana», che diventerà un film due anni dopo grazie alla produzione della Sacher Film di Nanni Moretti, col quale Carlo sarà impegnato anche in piccole parti di attore. Nel 1989 è la volta di «Il prete bello» dall’omonimo romanzo di Goffredo Parise, mentre nel 1992 realizza «Un’altra vita». Del 1994 è «Il toro» che vince il Leone d’argento a Venezia. Quindi «Vesna va veloce» (1996), «L’estate di Davide» (1998) e nel 1999 la serie dei «Ritratti» concepiti insieme  a Marco Paolini, una raccolta di dialoghi con i protagonisti veneti della cultura (Andrea Zanzotto, Mario Rigoni Stern, e Luigi Meneghello). Gira quindi «La lingua del santo», presentato ancora in concorso a Venezia, «A cavallo della tigre» e «L’amore ritrovato». Del 2007 è «La giusta distanza» e nel 2010 firma «La Passione» con Silvio Orlando, ultimo lungometraggio di Mazzacurati a uscire nelle sale (presto sarà sugli schermi «La sedia della felicità» presentato in anteprima al Torino Film festival nel 2013). Proponiamo qui di seguito una recensione del settembre 2010 di «La Passione»,  a mo’ di omaggio a un autore tra i più sensibili e ironici della sua generazione.

Di registi in crisi creativa ed esistenziale, dopo 8 ½ di Fellini, è quasi impossibile narrare senza cadere in luoghi comuni. Una felice eccezione viene da La Passione di Carlo Mazzacurati, visto in concorso alla Mostra di Venezia, sceneggiato fra gli altri da Doriana Leondeff e prodotto dalla «Fandango» di Domenico Procacci. È un film che diverte (molto) e commuove soprattutto nell’epilogo, in primis grazie alla prova di Silvio Orlando. L’attore napoletano è appunto un regista cinquantenne, Gianni Dubois, afflitto da un «fermo biologico» quinquennale. Non riesce a trovare una buona idea per una pellicola, sebbene un produttore lo incalzi in cerca di un soggetto per una divetta televisiva, regina dell’auditel, smaniosa di nobilitarsi con una prova sul grande schermo (lei è Cristiana Capotondi). È praticamente l’ultima spiaggia per un autore ormai quasi dimenticato da tutti, ignorato dall’«albero genealogico» del cinema italiano di un quotidiano che pure menziona i colleghi stranieri o dal cognome esotico come il suo: «Ozpetek c’è, Di Robilant c’è, Winspeare pure, perché diavolo Dubois non c’è?».

Non bastasse questo affanno, nei giorni cruciali del previsto incontro a Roma tra la capricciosa star televisiva e Gianni, questi si trova relegato in un paesino della Toscana dove un guasto idraulico nel suo appartamento vacanziero ha provocato danni a un affresco cinquecentesco nella chiesa adiacente. Il sindaco del piccolo comune (Stefania Sandrelli) avanza una proposta irrifiutabile: se accetterà di fare la regia della Passione del venerdì santo, il municipio chiuderà un occhio sullo sfregio al bene artistico; in caso contrario, una denuncia sarà inevitabile. La situazione si rivela esilarante. Il Nostro è infatti contemporaneamente impegnato su due fronti: i preparativi per una Via Crucis a dir poco scalcagnata, e, d’altro canto, la necessità di mantenere i contatti telefonici con il produttore e l’attrice in ambasce. Ma in quel lembo di Toscana non c’è assolutamente campo per i telefoni cellulari, se non sul minuscolo terrazzo della casa di una vecchia scorbutica. Per fortuna, un ex ladruncolo già allievo di Gianni in un seminario teatrale dietro le sbarre di Rebibbia (Giuseppe Battiston) si presta a fargli da assistente alla regia. Le prove coinvolgono quasi tutti in paese a cominciare da una giovane, tormentata polacca che gestisce un bar, appena mollata dal fidanzato musicista (Kasia Smutniak). Il Cristo dovrebbe essere interpretato da un bizzarro meteorologo di una Tv locale, che non ne azzecca una (Corrado Guzzanti) e riesce a farsi male alla vigilia del debutto, schiacciato sotto il peso di una croce che aveva preteso fosse lignea, massiccia, in onore al realismo della performance.

Eppure infine la Passione sarà rappresentata con inatteso successo, proprio in virtù dell’improvvisata e folle compagine teatrale. Un catartico acquazzone suggella il tutto, a dispetto della Pasqua «serena fino a martedì» annunciata dal Profeta del Meteo. È un riscatto per Dubois, il quale intanto ha trovato persino la forza di mandare al diavolo la giovane diva, quando lei ha sgranato gli occhi, non avendo mai sentito parlare di Adele H, una delle eroine di Truffaut. Il film di Mazzacurati dice la sua a proposito del rapporto tra candore e fantasia, libertà e creazione artistica. E lo fa alla maniera del regista padovano di Notte italiana e La giusta distanza: vena agrodolce, ironico realismo, ovvero critica svagata e non meno pungente della vita quotidiana, e un senso «narrativo» per il paesaggio di un’Italia minore che fa pensare e sognare.

«LA PASSIONE» di Carlo Mazzacurati. Interpreti principali: Silvio Orlando, Marco Messeri, Stefania Sandrelli, Giuseppe Battiston, Corrado Guzzanti, Kasia Smutniak, Cristiana Capotondi. Commedia, Italia, 2010. Durata: 106 minuti

 

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