Pluralismo religioso e fallimento dell’islam politico

Il risorgente radicalismo e la presenza sempre più invadente di gruppi islamici estremisti mette in pericolo il pluralismo e la democrazia indonesiana? L’islam politico sta sfruttando vie democratiche per conquistare sempre maggiori spazi di potere (secondo la cosiddetta teoria della “trappola della democrazia”)? Potrebbe esserci all’orizzonte un Califfato nell’arcipelago indonesiano? Sono interrogativi, questi, che oggi animano il dibattito sull’islam indonesiano e che interessano la società civile, i circoli culturali, l’arena politica e i mass-media, ma anche i commentatori internazionali.

Sono interrogativi che sommuovono l’intellighenzia islamica indonesiana ma anche i leader delle minoranze religiose e, d’altro canto, interpellano la politica, il governo, le istituzioni. Tali pregnanti questioni, però, a ben guardare, non destano eccessiva preoccupazione in studiosi del calibro di Azymardi Azra, un lungo curriculum di docente alla “Syarif Hidayatullah” State Islamic University a Giacarta e oggi consigliere del vice presidente indonesiano Jusuf Kalla. Secondo Azra – intervenuto di recente a un seminario organizzato a Roma dal Ministero degli esteri dal titolo “Pluralismo e integrazione nelle società indonesiane e italiani: prospettive, opportunità, sfide” – il possibile tentativo dell’islam politico di usare gli strumenti della democrazia per modificare l’assetto dello stato e imporre un modello teocratico come il Califfato è destinato a fallire miseramente in Indonesia. E anche la propaganda che da alcuni anni promuovono gruppi o militanti jihadisti vicini allo Stato Islamico (Isis), pur avendo il potere di generare qualche episodico evento di violenza, non riuscirà a modificare sostanzialmente gli equilibri sociali e politici della nazione, nè a compiere una metamorfosi dell’Islam Nusantara, visione e forma tipica indonesiana della religione del Profeta.

Mezzi democratici per andare al potere

La tesi che circola tra gli analisti, in Oriente e in Occidente, parte dal constatare un dato reale: gruppi indonesiani considerati come espressione del’islam politico sono noti e sempre più presenti nelle cronache. Questi includono Front Pelemba Islam (FPI), Gerakan Nasional Pengawal Fatwa Majelis Ulama Indonesia (GNPF-MUI), Hizbut Tahrir Indonesia ma anche alcune correnti e fazioni che fanno capolino nelle maggiori organizzazioni musulmane della società civile, come Muhammadiyah. Ora, per realizzare il progetto di governare la società secondo una interpretazione restrittiva dell’islam, tali gruppi hanno iniziato a rendere pubbliche le proprie aspirazioni attraverso metodi e mezzi democratici.

In passato, l’islam politico ha avuto ben poca partecipazione e visibilità nella vita della democrazia indonesiana. In varie occasioni, questi gruppi hanno anche apertamente contestato lo stesso sistema democratico. Nel 2013, il leader del FPI, in occasione delle elezioni generali, predicava che sostenere la democrazia per i musulmani era nocivo quanto mangiare carne di maiale. Inoltre i gruppi pervasi dall’ideologia di stampo wahabita, mutuata dal mondo arabo, non hanno mai saputo costruire una coalizione politica e la frammentazione li ha resi generalmente incapaci di mobilitare le masse e avere un’influenza significativa nella società.

Dopo la fine dell’Orde Baru e della Reformasi, i gruppi radicali islamici che hanno cercato di espandere la propria influenza nella sfera pubblica sono stati sempre etichettati quali “formazioni minoritarie, contrarie alla democrazia e al pluralismo”, “gruppi deviati”, ostili alla tolleranza e all’ideologia nazionale della Pancasila (la “Carta dei cinque principi” alla base dello stato).

Negli ultimi due anni, però, la svolta è stata piuttosto evidente. Una serie di grandi manifestazioni e una mobilitazione di massa, segnate dallo slogan Aksi Bela Islam (“Azione in difesa dell’islam”) sembrano aver fatto guadagnare slancio e simpatia pubblica all’islam politico. Nelle grandi assemblee dei suoi sostenitori, si chiedevano “libertà di espressione” e “uguaglianza davanti alla legge”, invocando principi tipici dello stato di diritto e della democrazia. Paradossalmente, l’islam politico si è anche appropriato, in modo strumentale e funzionale ai suoi obiettivi, della Pancasila: trovando, in tal modo, la via per difendersi dalle accuse di “attentare all’unità dell’Indonesia” e per mettere in cattiva luce nemici scomodi come le minoranze cristiane (i cattolici, ad esempio, sono stati accusati di violare la Pancasila perché definiti “politeisti”, con riferimento alla dottrina della trinità).

Tali abili manovre hanno permesso ai gruppi promotori dell’islamizzazione dello stato di ottenere un certo riconoscimento nella società indonesiana, nonostante l’evidente ambiguità della propria narrazione. Di fronte alla crescente influenza, il governo e la società civile hanno continuato a offrire all’opinione pubblica una rappresentazione negativa di tali gruppi, denunciandoli come “antidemocratici” e segnalandoli come una minaccia per la nazione: è nata così la nuova legge, promossa dal governo di Joko Widodo e approvata dal Parlamento, che dà all’esecutivo il potere di mette al bando organizzazioni di massa senza passare per i tribunali. Ne ha fatto le spese il gruppo Hizbut Tahrir Indonesia, sciolto dal governo. Tali mosse, però, potrebbero rivelarsi perfino controproducenti e, secondo alcuni osservatori, potrebbero alimentare il paradigma vittimista, dando ai seguaci dei gruppi estremisti ragioni sempre più forti per restare uniti e rafforzare la propria identità.

La solidità del pluralismo

Di fronte a questo scenario e alle prospettive che si aprono per il futuro della società e dell’islam indonesiano, Azyumardi Azra non nega che ci si trova in una fase storica delicata, ma spegne ogni allarmismo: lo studioso afferma di confidare nella natura peculiare dell’islam indonesiano, segnata da un paradigma strutturale di convivenza, pluralismo e inclusione. Inoltre a livello politico, rileva, i cittadini indonesiani hanno spesso dato il loro voto e garantito la vittoria elettorale a partiti non islamici, dando prova di come l’elemento strettamente religioso non sia determinante per le loro scelte: la coscienza democratica e pluralista della nazione resta, allora, una garanzia.

Azra ricorda che l’Indonesia è uno stato multiculturale, con oltre 17.000 isole, 300 gruppi etnici e più di 700 lingue vive, parlate nelle diverse regioni e isole. Sulla Pancasila si fonda il motto nazionale “Bhinneka Tunggal Ika” (“unità nella diversità”) che presuppone, assorbe e risolve ab origine la questione del pluralismo religioso. Il motto afferma in sé che la pluralità è un dato di realtà da cui partire e la ritiene perfino espressione di un disegno divino. In quest’ottica, la questione del pluralismo non viene affrontata solo in termini di realtà di una società diversificata e complessa, formata da razze e religioni diverse, ma anche nell’ottica della costruzione di un genuino coinvolgimento delle diversità nell’ambito della società. Il pluralismo diventa così una componente strutturale preziosa del tessuto sociale che dà vita alla pacifica convivenza grazie a meccanismi politici e sociali di bilanciamento tra tutte le comunità che compongono la società. Il pluralismo religioso, nota Azra, ha quattro importanti caratteristiche: il coinvolgimento attivo di soggetti diversi; la ricerca attiva della comprensione reciproca e profondo rispetto della differenza; il confronto fecondo tra i soggetti coinvolti; un dialogo vissuto in un atteggiamento di ascolto, apertura mentale, volontà di condividere. Sono queste, spiega Azra, le caratteristiche dell’Islam Nusantara (Islam dell’Indonesia) che, seguendo la wasathiyah, cioè una “via di mezzo”, ha una validità non solo geografica e culturale: la sua validità rimarca lo studioso, si basa sull’ortodossia islamica che consiste nell’unire la teologia asharita, la scuola scuola giuridica shafi’ita e il sufismo. La coesione di questi tre elementi caratterizza l’Islam Nusantara: la teologia asharita sottolinea l’atteggiamento di moderazione tra rivelazione e ragione, mentre la scuola giuridica shafi’ita, unita al sufismo, rende questa espressione dell’islam inclusiva e tollerante. Con la coesione di questi tre elementi, l’ortodossia dell’Islam Nusantara è diventata una tradizione consolidata, fondata e dominante fin dal XVII secolo, ricorda Azra.

L’Islam indonesiano, ben rappresentato da vaste organizzazioni sociali come Nahdlatul Ulama e Muhammadiyah – che, pur con diversi accenti, afferiscono al medesimo paradigma filosofico e religioso – ha tutti i requisiti per realizzare una civiltà autenticamente islamica e insieme autenticamente rispettosa di ogni uomo, osserva Azra, resistendo alle sirene dell’islam politico o alla volgare propaganda terrorista di organizzazioni come lo Stato Islamico. Il volto dell’islam indonesiano è troppo forte per essere stravolto, argomenta, ma ha bisogno di essere consolidato. La sua forza, secondo il Azyumardi Azra, sta proprio nella natura e nel carattere delle organizzazioni islamiche di massa, Nahdlatul Ulama e Muhammadiyah, che sono indipendenti dallo stato e della struttura del potere: sono dotate di moschee grandi e piccole, scuole, madrase (scuole religiose), collegi e università, ospedali e centri di assistenza sociale e comunitaria, cooperative e altre attività economiche. Non ci sono in altri paesi del mondo musulmano organizzazioni comunitarie con tale carattere, ricchezza e capillare declinazione sociale. Consolidare l’Islam Nusantara, conclude Azra, significa agire per prevenire le infiltrazioni radicali, e parlare chiaramente, a livello di leader politici e religiosi, contro intolleranza, radicalismo e terrorismo. Senza sottovalutare quest’opera di necessario rafforzamento. L’islam indonesiano potrà avere, così, un ruolo-guida per il progresso della civiltà islamica globale e rappresentare un modello concreto e praticabile di piena compatibilità con la democrazia e i diritti umani.

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