La scelta per il Quirinale?
Non un sondaggio per la leadership

Dossier
Sommario

Pubblichiamo contemporaneamente su Reset e su Mondoperaio alcune riflessioni sulla scelta del candidato alla Presidenza della Repubblica.

L’esperienza recente e positiva nella elezione del presidente della Repubblica (con Ciampi e con Napolitano) contraddice apertamente i criteri di “gradimento” che sembrano affacciarsi oggi per la scelta dei candidati. Parlo non solo di chi invoca un “no” assoluto alla politica come i grillini, ma anche di quello che sembra essere l’orientamento di Renzi. Dico “sembra” perché risulta soltanto da alcune indiscrezioni, che andrebbero poi verificate. In base a queste indiscrezioni i candidati sarebbero valutati non tanto per le loro competenze quanto per il loro rendimento elettorale; Renzi cioè immaginerebbe, secondo questa versione, il presidente come un prolungamento dell’azione e soprattutto dell’immagine del governo. Ora, non giova certo a facilitare una scelta il fatto che la minoranza del Pd in questi mesi abbia mostrato di avere come unico obbiettivo quello di ostacolare in Parlamento il cammino del segretario del proprio partito. Non è una novità nella storia della Repubblica, ma di questi tempi l’autolesionismo può produrre danni più gravi che durante i decenni dominati dalla Dc e dalle sue molteplici correnti. E questa condotta può indurre ad errori, sia chi la tiene sia chi la avversa.

Vale la pena allora di ricordare che l’elezione del presidente è di secondo grado e dunque costituzionalmente sottratta al giudizio diretto degli elettori. E infatti questo metodo ha portato alla massima carica dello stato, con Ciampi e Napolitano, due figure che difficilmente avrebbero trionfato in una gara elettorale per la leadership: Ciampi veniva dalla Banca d’Italia, Napolitano ha avuto una gloriosa carriera parlamentare, ma da riformista coraggioso quale è sempre stato, non veniva generalmente acclamato come capopopolo. Eppure entrambi hanno dato – forse anche per queste loro caratteristiche di appartenenti all’élite “antipopulista” – buona prova di equilibrio e sapienza istituzionale. Avevano insomma le doti per gestire situazioni difficili con grande talento e anche con creatività, grazie alla loro formazione, cultura, preparazione internazionale, prestigio nel mondo.

L’idea di collegare la scelta del candidato al Quirinale al livello di consensi di cui il governo, ogni governo, ha bisogno, – tema che sembra affacciarsi tra i renziani – non sta dunque in piedi neanche un po’, trattandosi appunto di una scelta da condividere con l’opposizione. In tempi di forte ventilazione populista nei discorsi pubblici, ad opera di movimenti specializzati, e di giornali, come Il Fatto, che ne fanno la propria bandiera, non c’è occasione migliore di questa, l’elezione del presidente, per sottrarre una scelta chiave per la Repubblica alla bagarre mediatica e ai “no nazareno”. E anche per sottrarre lo stesso Renzi alle vendette incrociate della vecchia guardia Pd. Valga dunque come criterio quello delle qualità del candidato: cultura istituzionale, affidabilità democratica, capacità di garantire tutti gli italiani e di difendere il paese in Europa in fasi che saranno ancora economicamente tempestose, profilo internazionale chiaro e forte. Io vorrei anche che continuasse a sostenere e difendere l’azione riformatrice che il governo ha intrapreso, così come, fin quando ha potuto, ha fatto Napolitano. Non è difficile dare a questo candidato, in primo luogo, il nome di Giuliano Amato, anche perché sembra possibile radunare intorno al suo nome una maggioranza molto ampia fin dall’avvio.

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