Religione, nella Turchia di Erdogan
la diplomazia si fa con il “Diyanet”

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Istituito nel 1924 dell’allora neonata Repubblica turca, il Dipartimento degli Affari Religiosi (Diyanet) turco ha compiuto il suo novantunesimo anniversario il mese scorso. Al lento tramonto dei successi della politica estera di Ankara, sempre più soffocata tra le tensioni dei vicini d’Oriente e le malcelate insofferenze Europee, è proprio il Diyanet a tentare la ripresa e rendersi protagonista di un nuovo dinamismo a livello internazionale.

Istituto che sovraintende alle strutture religiose e alle circa 85 mila moschee disposte in modo capillare fin nelle più piccole frazioni del territorio turco, il Dipartimento per gli Affari Religiosi ha vissuto negli anni di governo del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) una primavera d’espansione senza precedenti. A dimostrarlo sono diversi indicatori. Basta osservare il budget dell’organizzazione, cresciuto del 176 per cento tra 2002 e 2012 e l’incremento del personale, aumentato di circa 47 mila impiegati nell’arco di un decennio. Nel 2013, il bilancio del Dipartimento ha coperto l’equivalente delle spese di ben otto ministeri, ricevendo un finanziamento due volte maggiore a quello concesso al ministero della salute.

Ugualmente, dopo due tentativi falliti – nel 2011 e nel 2012 – di incrementarne il potere d’azione, lo scorso agosto il Diyanet è stato posto sotto diretto controllo dell’ufficio del primo ministro, con aperta dichiarazione di attribuirgli una “missione internazionale”.

La nuova prerogativa del Dipartimento si era resa palese già dal 2013, in un attivismo che gioca su più tavoli: dall’educazione all’assistenza, dalle visite diplomatiche alle conferenze internazionali. Il rapporto d’attività di fine anno rivela un totale di 200.267 seminari e corsi organizzati allo scopo di “promuovere una comprensione corretta dell’Islam” all’estero. Circa 75 i ricevimenti di delegazioni straniere, mentre si procede agli accordi preliminari per l’apertura di nuove sedi di rappresentanza nelle Repubbliche turcofone dell’Asia Centrale. Nel novembre 2014, Istanbul è stata sede del primo “Summit dei Leader Religiosi dell’America Latina”, ospitando 76 rappresentanti provenienti da 40 paesi e ponendo la Turchia al centro di una vasta costellazione di organizzazioni come il Network dei musulmani europei, la Conferenza dei leader religiosi dei Balcani, l’Iniziativa per la moderazione e la pace degli studiosi dell’Islam.

La creazione di un polo internazionale per gli studi islamici, con un’attenzione specifica per gli studenti delle repubbliche centro-asiatiche, dei Balcani e dei paesi africani, appare tra i nuovi obiettivi dell’istituto. La missione educatrice del Diyanet ha già accolto circa 1200 studenti provenienti da queste aree per corsi di corano, 986 nuovi iscritti alle facoltà di teologia, 80 dottorandi e 1.365 nuovi allievi nei licei religiosi (imam-hatip) di tutto il paese. Nell’ottobre 2014, il presidente del Dipartimento, Mehmet Gormez, ha anche dichiarato la volontà di istituire a Istanbul un’università religiosa internazionale, in aperta concorrenza e sfida con le esistenti istituzioni in Malesia e Pakistan, compresa la storica università Al-Azhar del Cairo.

Il riflesso più spettacolare della nuova primavera del Diyanet è tuttavia quella che è stata nominata la “diplomazia delle moschee”: 50 nuovi edifici completati in 25 paesi dal 1975, supporto alla costruzione di nuove moschee e scuole in 79 paesi nel 2013. Da una sezione ad hoc del sito della fondazione legata al Dipartimento (TDV, Camilere Yardim), è possibile seguire la progressione dei nuovi progetti. Impressionante la varietà geografica: Cipro, Kazakistan, Kirgizistan, Russia, Bielorussia, Filippine, Inghilterra, Somalia. Già lo scorso maggio aveva inviato aiuti economici agli imam, alle strutture religiose e alle moschee colpite dalle inondazioni in Bosnia ed Erzegovina, provvedendo anche agli aiuti economici e ai corsi d’insegnamento per i figli delle famiglie siriane rifugiate in Turchia.

In Albania, Ankara si è impegnata nella costruzione di quella che è promessa diventare “la più grande moschea dei Balcani”, in grado di ospitare 4500 fedeli ed equipaggiata al meglio: un salone per le conferenze, dieci sale studio, una libreria, un museo a due piani, ristorante e centro culturale inclusi.

Le aspirazioni del Diyanet si sono spinte ben oltre il continente europeo, toccando di recente anche le sponde di Cuba. A febbraio, durante una visita sull’isola, il Presidente della Repubblica turca Recep Tayyip Erdogan ha annunciato al governo cubano di voler costruire sulle coste dell’Havana una gemella della barocca moschea di Ortakoy. Qui i desideri di Ankara si sono scontrati con la rapidità dell’Arabia Saudita, concorrente nell’espansione verso i musulmani d’occidente e prima arrivata sull’isola grazie a un accordo firmato in anticipo con le autorità cubane.

Concorrenti oltreoceano e in politica estera, Ankara e Riyadh hanno saputo però superare le ostilità reciproche nell’organizzazione dell’Hajj, il pellegrinaggio a La Mecca. Il Diyanet ha ottenuto nel settembre 2014 proprio dall’Arabia Saudita il premio di miglior fornitore di servizi per i pellegrini in soggiorno a La Mecca. Il premio è legato alla realizzazione di una maxi-cucina centrale servita da 130 impiegati e in grado di distribuire specialità turche per un’utenza di circa 40 mila pellegrini al giorno.

Multipolare e dinamica, la diplomazia del Dipartimento degli Affari Religiosi sembra proporre sotto nuove forme quelle che erano state le carte vincenti della politica estera turca a metà anni duemila: un gioco ritmico, pluri-direzionale. Sfumata la popolarità del modello democratico turco, Ankara sembra cucire per se stessa un nuovo vestito di leader islamico-sunnita d’Oriente e Occidente.

Basterà, tuttavia, una strategia paternalistico-assistenzialista per spolverare il soft power e il ruolo di guida soffocato prima sotto i lacrimogeni di Gezi Park, poi negli scandali di corruzione del governo AKP, e oggi nelle dichiarate nostalgie neo-post ottomane di Erdogan?

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