Hocine Aït Ahmed: militante rivoluzionario,
difensore delle libertà politiche

Il militante politico non fa miracoli. Non è neppure un gladiatore dei tempi moderni. Lui è, nel migliore dei casi e quando le condizioni della sua società lo permettono, un cittadino cosciente della posta in gioco.
Hocine Aït Ahmed

Lo scorso 23 dicembre a Losanna, in Svizzera, si è spento, Hocine Aït Ahmed. L’Algeria ha così perduto uno dei padri fondatori della vittoriosa guerra di liberazione contro il dominio coloniale francese, un infaticabile difensore delle libertà politiche, e un uomo che ha fatto della coerenza intellettuale e dell’idiosincrasia per il potere declinato come mera gestione dell’esistente i suoi credo. Con questo articolo non vogliamo però aggiungerci alla retorica sequela di pronunciamenti che hanno preceduto e seguito il funerale di Aït Ahmed, tenutosi il 1 gennaio nel suo villaggio natale di Aït-Yahia in Kabylia, la principale regione berbera dell’Algeria. Dopo tutto, quella finta ideologia della concordia che porta a mostrare sempre massimo rispetto per i morti, avendone peraltro osteggiato con forza l’azione in vita, rappresenta proprio uno dei tanti bersagli che l’avventura di Aït Ahmed sembra voler colpire. Detta altrimenti, ci sentiamo quasi certi nell’affermare che il cordoglio e le frasi di circostanza usate, tra gli altri, dal presidente francese François Hollande, dal suo omologo algerino Abdelaziz Bouteflika, e dal primo ministro Abdelmalek Sellal avrebbero irritato non poco lo storico militante rivoluzionario. Al contrario, il bagno di folla che ha accompagnato il suo feretro dall’aeroporto di Algeri fino alla sepoltura finale, in un tragitto scandito da una presenza massiccia e militante di giovani che hanno espresso un fortissimo risentimento nei confronti delle autorità algerine e pieno supporto all’Aït Ahmed uomo prima ancora che politico, lo avrebbero inorgoglito. In quest’ottica e senza retorica ripercorriamo la sua storia, sicuri che non solo rappresenti un esempio di lealtà e coerenza, ma anche una propizia occasione per ricostruire le principali tappe del recente passato algerino fino ai giorni nostri.

La gioventù, la lotta di liberazione, il carcere

Hocine Aït Ahmed nasce il 20 agosto 1926 nel piccolo villaggio di Aït-Yahia nella provincia di Tizi Ouzou. Il contesto nel quale cresce è quello del ferreo dominio francese – che si era gradualmente imposto sull’intero paese a partire dalla lontana campagna di Algeri del 1830 – e della ripresa dopo una lunga fase di debolezza del movimento nazionalista algerino. Aït Ahmed lascia presto la Kabylia per trasferirsi a Ben Aknoun, sobborgo di Algeri, dove frequenta il liceo della zona. A soli 16 anni aderisce al Parti du People Algérien (PPA), la nuova formazione diretta da Messali Hadj che combatte per l’indipendenza algerina dopo che l’Etoile Nord-Africaine (ENA) era stata dichiarata fuorilegge dalle autorità francesi. La carriera politica di Aït Ahmed è fulminea, diventa il più giovane membro del Comitato Centrale del PPA e matura rapidamente la convinzione che solo un’insurrezione armata avrebbe potuto forzare i francesi ad abbandonare l’Algeria. Il PPA è dichiarato fuorilegge nel 1939, ma continua ad operare sottotraccia fino all’amnistia del 1946 quando confluisce nel nascente Mouvement pour le Triomphe des Libertés Démocratiques (MTLD). Il congresso fondativo del MTLD che si tiene nel febbraio 1947 non scioglie però la precedente organizzazione del PPA, che viene mantenuta segreta con il preciso scopo di creare una forza paramilitare – l’Organisation Spéciale (OS) – dedita all’addestramento militare delle forze rivoluzionarie. Aït Ahmed diviene, dopo la malattia che colpisce Mohamed Belouizad, il capo dell’OS prima che l’accusa di “berberismo” lo porti ad essere sostituito da Ahmed Ben Bella (destinato poi a diventare il primo presidente della repubblica algerina) e che la scoperta da parte delle autorità francesi determini la dissoluzione dell’organizzazione.
Il primo maggio 1952 poi, alla vigilia del colpo di stato che porterà Gamal Nasser al potere, Aït Ahmed sbarca al Cairo come delegato del PPA-MTLD con il preciso compito di dare visibilità internazionale alla lotta algerina. La crisi interna al movimento nazionalista ed il crescente accentramento di poteri che caratterizza la leadership di Messali Hadj porta 22 uomini che avevano intessuto legami all’interno dell’OS a lanciare l’insurrezione armata il 1 novembre 1954: la firma dell’attacco è del fino a quel momento sconosciuto Front de Libération Nationale (FLN).
Aït Ahmed viene nominato membro della delegazione estera del FLN e nell’aprile del 1956 porta all’attenzione delle Nazioni Unite il caso algerino suscitando le polemiche francesi.
Qualche mese più tardi, mentre si trova in volo dal Marocco a Tunisi dove avrebbe dovuto tenere una conferenza, viene arrestato dalle autorità francesi assieme a Mohamed Boudiaf, Ahmed Ben Bella, Mohamed Khider, e Mostafa Lacheraf. Rimarrà in carcere fino al cessate il fuoco del 1962.

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Da destra verso sinistra: Ben Bella, Boudiaf, Aït Ahmed, Lacheraf, e Khider.

 

Lo scontro con il gruppo di Tlemcen e la fallita insurrezione

L’arresto non bloccò comunque l’attività rivoluzionaria di Aït Ahmed che ideò e promosse dal carcere il proposito di creare un governo provvisorio della repubblica algerina (GPRA, l’acronimo francese) con il duplice scopo di formare la futura istituzione incaricata di guidare il paese nel post-liberazione e di superare le discrepanze emerse al Congresso di Soummam nell’agosto del 1956. La firma degli accordi di Evian tra il GPRA ed il governo francese del generale Charles de Gaulle nel 1962, che posero fine al lungo conflitto, fecero detonare le numerose discrepanze all’interno del movimento nazionalista che sette anni di guerra di liberazione avevano contribuito a creare e, al tempo stesso, mantenuto in secondo ordine di fronte al prioritario scopo di concentrare tutte le forze contro il potente nemico francese. Lo showdown che contrappose Ben Bella, supportato dal colonnello Houari Boumedienne e dal cosiddetto gruppo di Tlemcen, contro il GPRA rischiò di condurre l’Algeria alla guerra civile prima di essere risolto a favore dei primi. Nel settembre del 1962 Aït Ahmed viene eletto – all’interno dell’unica e bloccata lista ammessa – membro dell’assemblea costituente, dove combatte per l’affermazione di un sistema pluralistico in campo politico ed ispirato ai principi di eguaglianza nella sfera sociale. I suoi sforzi sono però vani e si scontrano con l’istaurazione di un regime a partito unico (il FLN, ovviamente) che rimane saldamente nelle mani delle forze militari, capaci di controllare fin da subito cinque ministeri chiave. La situazione diventa molto tesa in Kabylia, la regione che con più forza aveva sostenuto il GPRA nello scontro contro il gruppo di Tlemcen. Aït Ahmed fonda nel 1963 il Front des Forces Socialistes (FFS) e prova a prendere la testa di una rivolta che ha ormai assunto i tratti di un’insurrezione armata. Lo scontro con le forze guidata da Boumedienne è però impari e si risolve in un bagno di sangue con almeno 400 morti e l’arresto dello stesso Aït Ahmed nell’ottobre del 1964 che viene prima condannato a morte e poi graziato; viene quindi condotto nella prigione di Lambèse. La parabola politica di uno dei padri dell’indipendenza algerina sembra così al capolinea. Anche perché, mentre sono in corso trattative tra il presidente Ben Bella (afflitto dalle difficoltà del periodo post-bellico e dalla disgregazione della sua coalizione) e Aït Ahmed per il ritorno ad un moderato pluralismo politico, un colpo di stato guidato da Houari Boumedienne il 29 giugno 1965 interrompe bruscamente e definitivamente il percorso intrapreso.

La fuga e l’esilio

Trasferito nella prigione di El Harrach, Aït Ahmed fugge rocambolescamente il primo maggio 1966 e si rifugia in Svizzera dove condurrà un lunghissimo esilio durato 23 anni. In questo periodo si dedica alla stesura delle memorie personali, e ad un intenso studio che lo condurrà prima a laurearsi in giurisprudenza a Losanna e a conseguire poi il dottorato nel 1975 a Nancy con una tesi dal titolo Les Droits de l’Homme dans la Charte et la Pratique de l’OUA. A queste attività intellettuali ed accademiche accompagnerà sempre un impegno costante nel campo politico, sia dirigendo “per fax” – come viene spesso detto con una vena di ironia – il clandestino FFS sia con un contatto diretto con tutti gli espatriati politici ed i giovani algerini che osteggiano il nuovo regime plasmato dalla figura carismatica di Houari Boumedienne. Nei fatti però, il contesto nel quale operano Aït Ahmed ed i suoi compagni di partito è particolarmente difficile. La legittimità di cui gode il regime post-rivoluzionario è enorme, il processo di accelerata industrializzazione promosso attraverso un ruolo cruciale da parte dello stato porta l’Algeria a conseguire tassi di crescita altissimi, mentre le politiche sociali espansive ed un esteso, per quanto scarsamente efficiente, sistema di welfare conquistano vasti consensi tra le fasce meno abbienti. Insomma, gli anni settanta, scanditi da repressione e consenso, vedono limitate possibilità per le forze d’opposizione e rimangono il decennio nel quale la figura di Aït Ahmed gioca un ruolo abbastanza limitato. Le condizioni cambiano però rapidamente quando nel dicembre del 1978 una rarissima malattia conduce alla prematura morte Boumedienne che viene sostituito da Chadli Benjedid. Il nuovo presidente si impegna in un processo di parziale liberalizzazione economica nel tentativo di contrastare gli eccessi di un sistema iper accentrato e statalizzato, ma il nuovo corso incontrerà presto ostacoli insormontabili. Come segno di cattivo presagio il 1980 è subito caratterizzato da una vasta sollevazione che coinvolge l’intera Kabylia e che diverrà nota con il nome di “primavera berbera”. Per Aït Ahmed è l’occasione giusta per tornare al centro della battaglia politica. Questa volta però, a differenza di quanto successo nel 1963-4, l’eroico combattente rivoluzionario invita alla moderazione e cerca di inserire le rivendicazioni regionaliste all’interno della più ampia battaglia per il pluralismo politico. Al riguardo qualcuno parlerà di “crescita e maturazione” di Aït Ahmed, mentre i suoi critici lo accuseranno di “imborghesimento”. Al netto delle polemiche, il rifiuto della violenza come mezzo politico diverrà una posizione discriminante del FFS. Posizione che innalzandone la statura internazionale lo porterà a perdere il contatto con quelle frange giovanili per niente inclini al compromesso.

Tre ritorni, due delusioni e un funerale

L’improvvisa e drastica caduta del prezzo del petrolio sui mercati internazionali nel 1985-6 e gli effetti delle politiche di impianto liberista varate dal regime di Chadli conducono ad un crescente malessere sociale che sfocia in scioperi, manifestazioni, ed agitazioni di varia natura. Per fronteggiare una rivolta di proporzioni mai viste nell’ottobre del 1988 viene chiamato in causa l’esercito che risponde aprendo il fuoco su manifestanti disarmati. Le proteste sono sedate, ma nel tentativo di ottenere un più ampio margine di manovra Chadli decide di dare una lettura politica della crisi, mettendo in campo un vasto processo di liberalizzazione che porta ad abbandonare il regime a partito unico, varare una nuova costituzione, e abbracciare il pluralismo politico. Dopo 26 anni di clandestinità il FFS ottiene finalmente riconoscimento legale e nell’autunno del 1989 Hocine Aït Ahmed rimette piede in Algeria dopo un esilio durato 23 lunghissimi anni. A dispetto di una senza precedenti – almeno per il mondo arabo – apertura dei canali di dissenso e di partecipazione politica, la contesa si riduce però rapidamente ad un ballottaggio tra il vecchio regime rappresentato dal FLN e le forze islamiste raggruppate nel Front Islamique du Salut (FIS). I secondi ottengono vaste vittorie alle elezioni locali, oltre a conquistare un ben più rilevante successo al primo turno delle elezioni parlamentari del dicembre 1991. Le voci di un imminente colpo di stato da parte dei militari per prevenire dopo il secondo turno un parlamento a guida islamista si fanno sempre più insistenti ed il due gennaio 1992 il FFS organizza ad Algeri la più grande manifestazione della storia algerina, guidata dallo slogan “né con lo stato di polizia né con la repubblica integralista”. L’apprezzabile tentativo di rifiutare la politica “campista” e di indicare una terza via non riesce però a prevenire l’ingresso dei militari in politica, col conseguente blocco del secondo turno delle elezioni legislative, la destituzione del presidente Chadli, e la messa fuori legge del FIS. In una situazione di grande instabilità Mohamed Boudiaf, eroe della guerra di liberazione, viene nominato presidente. Nell’estate del 1992 però, questi viene misteriosamente ucciso in dinamiche mai completamente chiarite e Aït Ahmed lascia nuovamente il paese mentre questo sprofonda in una lunga e crudele guerra civile che causerà circa 200,000 vittime. Passerano quasi altri sette anni prima che Aït Ahmed rientri nuovamente in Algeria il 2 febbraio 1999, annunciando solo tre giorni dopo la propria candidatura alle elezioni presidenziali della successiva primavera. Con grande sorpresa però, proprio nelle battute finali di una campagna elettorale che lo aveva portato a girare tutto il paese decide insieme ad altri cinque candidati di ritirarsi, contestando la presenza di irregolarità e scorrettezze volte a far trionfare il candidato prescelto dal regime, quel Abdelaziz Bouteflika che in perfetta solitudine conquisterà la presidenza dell’Algeria. Nei giorni immediatamente seguenti un grave infarto costringe Aït Ahmed ad un ricovero d’urgenza all’ospedale di Losanna dove dopo una lunga malattia muore il 23 dicembre scorso. Rientrando per il suo ultimo viaggio in Algeria il quadro che ha trovato non è poi molto diverso da quello che aveva lasciato nel 1999: Bouteflika, per quanto gravemente malato, è ancora presidente, il FLN continua ad essere il partito al governo, ed i militari rimangono il potere ultimo e decisivo. Al tempo stesso però, oltre un milione di algerini secondo il FFS (la metà circa molto più verosimilmente) lo ha voluto salutare per l’ultima volta, rendendo omaggio ad una vita coerente e militante. Il triste potere da una parte e la rettitudine di Aït Ahmed dall’altra. Come sempre, verrebbe da dire.

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