Gli attacchi Houthi,
un’escalation nella regione?

La guerra a Gaza si è estesa a una nuova area: il Mar Rosso. Nelle ultime settimane, gli Houthi dello Yemen hanno preso di mira navi da carico “israeliane” – attaccandone soprattutto altre – a sostegno di Hamas. Gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno risposto bombardando diversi obiettivi degli Houthi in Yemen. Sulla posta in gioco per gli Houthi e sui rischi di un più ampio conflitto ad alta intensità, Reset ha intervistato Hussein Ibish, ricercatore senior presso l’Arab Gulf States Institute di Washington.

 

Perché gli Houthi hanno iniziato a prendere di mira le navi occidentali nel Mar Rosso? Qual è il legame con Gaza e in che modo questi attacchi, con cui gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno contrattaccato le basi degli Houthis in Yemen, influenzano gli Stati del Golfo?

Tutto questo è parte o una ripercussione della guerra a Gaza, perché se non fosse in corso questi attacchi non sarebbero accaduti ora. È un’opportunità per gli Houthi, da un lato, e per i loro sostenitori o amici iraniani, dall’altro, di far valere punti diversi per perseguire obiettivi diversi, in parallelo. Innanzitutto, gli Houthi sono più vicini agli iraniani di quanto si pensi e più desiderosi di far parte del cosiddetto “Asse della Resistenza“, cioè la rete di gruppi di miliziani nel mondo arabo guidata dalla Forza Quds del Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica iraniana. La Forza Quds è l’ala del Corpo responsabile delle operazioni al di fuori del Paese e cerca di coordinare questi gruppi. Tuttavia, da quando Qassem Soleimani è stato ucciso dagli Stati Uniti, il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah è emerso come una sorta di figura unificante de facto tra i gruppi arabi. Al loro interno esiste un coordinamento verticale, gerarchico. La Forza Quds prende le decisioni e i gruppi si inchinano alla sua autorità.

Ma ci sono alcune eccezioni. Una è il regime di Bashar al-Assad. È un regime alawita, un misto di sciiti e cattolici, ed è un regime indipendente. Un’altra è Hamas, un gruppo sunnita vicino alla Fratellanza Musulmana che ha un matrimonio di convenienza con l'”Asse della Resistenza”. Tuttavia, nel decennio di spaccatura settaria dopo la Primavera araba, Hamas ha dovuto abbandonare quell’alleanza, lasciare la Siria e il suo denaro, che era per lo più in immobili in Siria, e fuggire in Qatar, dove si trova ancora la maggior parte dei suoi leader. Hamas è un membro a fasi alterne perché sunnita. L’ultimo membro, anch’esso mezzo dentro e mezzo fuori, è quello degli Houthi perché sono sciiti, ma sono sciiti zaiditi, non sciiti duodecimani. Gli iraniani, gli sciiti iracheni, gli sciiti libanesi, i bahreiniti e gli sciiti sauditi sono sciiti duodecimani.

 

Qual è l’obiettivo degli Houthi?

Durante la guerra con l’Arabia Saudita, gli Houthi sono diventati sempre più dipendenti dal Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica iraniana e da Teheran per i missili e le attrezzature. Sono diventati sempre più dipendenti anche per la posizione militare conquistata contro i sauditi. L’intervento degli Houthi contro la navigazione commerciale internazionale – con circa 27 attacchi a navi internazionali dal 17 ottobre scorso – è uno sforzo molto aggressivo per diventare non solo un membro effettivo dell'”Asse della Resistenza”, ma un membro chiave: gli Houthi sono in competizione con Herzbollah per essere il membro più potente. Si è sempre pensato che Hezbollah fosse più potente grazie ai suoi missili e razzi, alla sua esperienza e al fatto che è un ibrido tra una milizia e un esercito convenzionale. Ma anche gli Houthi sono un ibrido tra milizia ed esercito convenzionale, il che significa che sono in grado di conquistare e mantenere il territorio, e sono molto potenti grazie alla loro posizione strategica e alla loro preparazione alla battaglia. Pertanto, non si limitano a dichiarare la loro presenza regionale, ma dicono che siamo una parte importante di questo Asse, mentre non possono essere i leader del gruppo perché zaiditi. Perché ora? A mio avviso, hanno acquisito potere, territorio e autorità nello Yemen settentrionale. Non completamente, certo, non l’hanno mai fatto.

 

Come si intrecciano questi attacchi con la guerra nello Yemen?

Sembra che anche gli Houthi pensino che la loro integrazione nell’”Asse della Resistenza” sia in qualche modo importante a livello interno. La loro legittimità vacilla per tutto il potere che hanno preso con la forza: nel nord dello Yemen ci sono ancora molte persone che sono governate dagli Houthi ma non sono convinte della loro autorità. La causa palestinese, che è molto popolare, è un tentativo per loro di guadagnare popolarità e legittimità in patria.

 

Qual è la posta in gioco per gli americani e gli inglesi?

Ci sono otto cruciali colli di bottiglia nel mondo per la navigazione commerciale globale. Tre di questi si trovano intorno alla Penisola arabica: lo Stretto di Hormuz, lo Stretto di Bab al-Mandab, che è esattamente il punto in cui gli Houthi stanno danneggiando la navigazione, all’imboccatura del Mar Rosso e, dall’altra parte del Mar Rosso, il Canale di Suez. Ad esempio, il 12 per cento del commercio mondiale passa tra il Canale di Suez e Bab al-Mandab. L’alternativa è un viaggio molto costoso intorno al Capo di Buona Speranza. Tra il 40 e il 55 per cento del consumo energetico annuale della Cina passa attraverso lo Stretto di Hormuz. Inoltre, più del 40 per cento, credo il 60 per cento, dei suoi prodotti manifatturieri, destinati all’Europa e agli Stati Uniti, passa attraverso lo stretto di Bab al-Mandab e il Canale di Suez. La principale base militare cinese al di fuori delle sue immediate vicinanze si trova a Gibuti, a 40 chilometri dallo stretto di Bab al-Mandab. Non è un caso che l’abbiano collocata lì.

Ecco perché negli ultimi anni, soprattutto dopo l’invasione dell’Ucraina, il pensiero strategico americano si è sempre più concentrato su come la presenza e il dominio navale degli Stati Uniti intorno alla penisola arabica sia un vantaggio geostrategico fondamentale rispetto a Pechino, la sua principale grande potenza rivale. La vecchia formulazione di Washington secondo cui gli interessi principali degli Stati Uniti sono il petrolio, Israele e forse l’antiterrorismo, e che quindi per mantenere la propria presenza bisogna occuparsi di petrolio, Israele e antiterrorismo, è ormai superata. Almeno dall’invasione dell’Ucraina, la preoccupazione principale è la sicurezza marittima e il mantenimento del flusso commerciale, con gli Stati Uniti come garanti che la navigazione resti indisturbata.

 

Qual è il ruolo dell’Iran negli attacchi degli Houthi?

La presenza dell’Iran in Yemen è molto forte. Più di quanto si ammetta. Quello che l’Iran sta cercando di dire indirettamente è: primo, se noi e la nostra alleanza non facciamo parte di un regime di sicurezza marittima in queste acque, non ce ne sarà uno. Secondo, se non possiamo comprare e vendere liberamente il nostro petrolio, a nessun altro sarà permesso di comprare e vendere qualcos’altro senza subire molestie. La minaccia per l’Iran è rappresentata dalle sanzioni, mentre la minaccia che può imporre è la sua presenza nella regione del Golfo o quella degli Houthi nello stretto di Bab al-Mandab.

L’Occidente la vede come una forma di pirateria, e lo è. C’è anche una lunga storia di rapporti con i pirati che interferiscono con la navigazione internazionale, e non importa se gli Houthi soddisfano la definizione ufficiale di pirateria. Ecco perché l’Occidente sta utilizzando il modello di come sono stati affrontati ad esempio i pirati somali: non si possono sconfiggere pattugliando le acque con le navi militari, bisogna entrare e attaccarli e rendere troppo oneroso per loro continuare. Tornando all’Iran, credo anche che sarà un fattore di contenimento per gli Houthi, non un fattore di accelerazione perché non vogliono una guerra più ampia, che sfugga davvero al controllo e che possa coinvolgere loro e gli americani.

 

L’Arabia Saudita non ha mai commentato gli attacchi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna contro gli Houthi dello Yemen. Perché?

I sauditi non sono ancora sicuri degli americani. La situazione è iniziata con il fallimento di Camp David nel 2000, ma soprattutto con Barack Obama e la questione della “linea rossa” in Siria, dove Obama non ha dato seguito alla sua minaccia ad Assad sulle armi chimiche. Poi i negoziati nucleari con l’Iran e il JCPOA. Poi arriva Donald Trump, e pensano che sia fantastico, ma poi si rivela ancora più inaffidabile e imprevedibile di chiunque altro.

I sauditi non sanno quando e se gli Stati Uniti interverranno o meno a loro favore. Il Bahrein ha ottenuto un piccolo accordo che prevedeva una maggiore consultazione. Non è abbastanza. Un’offerta simile è stata fatta agli Emirati Arabi Uniti. L’Arabia Saudita ha cercato per anni di ottenere da Washington un nuovo accordo di sicurezza – per iscritto – senza ottenere nulla. Finché non lo otterrà, continuerà a credere che Washington sia inaffidabile.

Negli ultimi due anni, i sauditi hanno quindi cercato di ripristinare le relazioni diplomatiche e il dialogo diplomatico con l’Iran per ottenere una tregua nello Yemen. Mohammed Bin Salman ha dimostrato di saper imparare negli anni e ha ovviamente imparato che l’Arabia Saudita non ha il potere di impegnarsi in un conflitto, quindi la cosa migliore è la stabilità, la sicurezza e la cooperazione con chiunque voglia essere un “amico”. Tuttavia, ci sono questi fattori di instabilità. Dopo la guerra di Gaza, i sauditi hanno avuto una serie di incontri con gli iraniani per mantenere bassa la tensione. Poi hanno lavorato con gli iraniani per organizzare una riunione dell’OIC.

Un altro elemento è la coalizione contro gli Houthi, guidata da Gran Bretagna e Stati Uniti. Ha un solo membro arabo, il Bahrein, e non include nessuno degli Stati che si affacciano sul Mar Rosso: non ne parte Israele, così come l’Egitto e l’Arabia Saudita. Arabia Saudita, Egitto e Israele sono però tutti membri de facto. Probabilmente anche gli Emirati Arabi Uniti in un certo senso. Ma visto che vogliono mantenere le tensioni al minimo per loro stessi, i sauditi non si stanno unendo a questa lotta contro gli Houthi e stanno invece criticando in forma lieve gli americani per il loro coinvolgimento.

C’è anche una certa dose di autocompiacimento da parte dei sauditi, perché gli americani hanno dato loro filo da torcere negli ultimi due o tre anni a proposito degli Houthi. Dicono: “Ora li state combattendo e volete che noi veniamo ad aiutarvi”. Si godono lo spettacolo.

 

C’è il rischio di una guerra regionale più ampia?

Il rischio è molto grande. Ogni volta che si apre un altro fronte con più attori, aumenta l’instabilità. Quello che abbiamo è come il confine con il Libano, un altro pericoloso punto caldo. Tuttavia, non è abbastanza incontrollato da poter dire che c’è una seconda guerra in corso o che la situazione è fuori controllo. È molto pericoloso però perché si potrebbe arrivare al punto in cui gli Houthi e gli americani vengono trascinati in qualcosa di molto più estremo.

 

 

Immagine di copertina: alcune navi cargo nel porto commerciale di Haifa, Israele, 13 dicembre 2023. (Foto di Mati Milstein/NurPhoto via Afp).

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